CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39230 depositata il 29 agosto 2018
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 22.01.2018, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza Tribunale di Lecco 2.02.2016, appellata dal S., assolveva il medesimo dal reato di cui al capo b) della rubrica per non aver commesso il fatto, rideterminando, per l’effetto, la pena per il residuo reato di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000, in 1 anno e 4 mesi di reclusione, riducendo la durata delle pene accessorie temporanee ex art. 12, d. lgs. n. 74 del 2000, in misura corrispondente a quella della pena principale, confermando pertanto, sul punto, la sentenza impugnata che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di omessa dichiarazione dei redditi IRES/IVA, nella qualità di amministratore e legale rappresentante della Azienda Agricola AB s.r.I., relativamente all’anno di imposta 2011, in relazione a fatti commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel capo a) della rubrica.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del ricorrente, iscritto all’Albo speciale ex art. 613, cod. proc. pen., prospettando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con tale motivo, violazione di legge e vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione degli elementi di fatto e di diritto in punto di sussistenza del reato ex art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000.
In sintesi, la motivazione della sentenza sarebbe censurabile laddove ha ritenuto sussistere il dolo specifico del reato di omessa dichiarazione; i giudici di merito avrebbero trascurato, nel valutare gli elementi a sostegno della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, l’impossibilità per l’imputato di conoscere delle operazioni immobiliari poste in essere nell’aprile 2011 dal precedente socio ed amministratore, tale S.; in sintesi, rileva il ricorrente, al fine di meglio lumeggiare la propria prospettazione difensiva, che egli aveva assunto la carica di legale rappresentante della società a far data dal 14.10.2011, avendo acquistato prima le sole quote sociali, pari al 25% di quelle aziendali, dal S., precedente amministratore; le imposte evase (IRES/IVA) relativamente al periodo di imposta 2011, si riferiscono a due operazioni immobiliari compiute nel periodo in cui la società era amministrata dal precedente amministratore S., ed avevano ad oggetto la vendita di un terreno agricolo e di un fabbricato della società Carmen Progedil, operazioni conclusesi con atto di compravendita stipulato in data 21.04.2011; una volta assunta la carica di amministratore nell’ottobre 2001, il S. aveva più volte richiesto al precedente amministratore la consegna delle scritture contabili, al fine di consentirgli di proseguire l’attività di impresa, senza però mai ottenere alcunchè, come del resto riconosciuto dalle stesse indagini della GdF; ne discende, secondo la difesa del ricorrente, che questi non era a conoscenza, all’atto dell’assunzione della carica di amministratore, della mancata presentazione delle dichiarazioni degli anni precedenti, essendo stato peraltro assolto dall’art. 10, d. lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo b), essendosi accertato che delle incombenze fiscali si era occupato il precedente amministratore; la Corte d’appello non avrebbe valutato l’inattività della società, a riprova del fatto che la mancanza della documentazione contabile e fiscale non rinvenuta dal S. al momento dell’assunzione della carica di amministratore non aveva permesso a quest’ultimo di dar corso all’attività d’impresa; inoltre, i giudici di appello, a differenza di quanto prospettato dal primo giudice, non aveva ritenuto opportuno considerare l’esistenza di un accordo tra imputato e precedente amministratore, al fine di tenere indenne il S. dalle responsabilità penali; la Corte territoriale, invero, avrebbe presunto come l’imputato doveva essere sicuramente a conoscenza della situazione economico-patrimoniale della società al fine di evadere le imposte IRES/IVA, omettendo quindi di presentare la dichiarazione entro il 30.09.2012, in relazione a redditi conseguiti nell’anno di imposta 2011, tra cui gli importi delle predette vendite immobiliari; detta presunzione, tuttavia, non troverebbe alcun riscontro, nemmeno indiziario, nelle emergenze processuali, fondandosi esclusivamente sul “non poteva non sapere”, ossia sull’affermazione per cui l’imputato, al momento di assumere la carica di amministratore, non poteva non sapere dei redditi conseguiti dalla società nel corso dell’amministrazione della stessa parte del S., omettendo quindi provvedere volutamente al deposito della relativa dichiarazione fiscale al fine di evadere le predette imposte; l’elemento soggettivo dunque sarebbe stato imputato a titolo di dolo eventuale, ossia nel senso che il ricorrente avrebbe accettato il rischio, ove non fosse stata consegnata la documentazione contabile e fiscale, di non presentare le dichiarazioni fiscali, incorrendo nella contestazione relativa; tale ricostruzione, tuttavia, si scontra con la natura di reato a dolo specifico del delitto di cui all’art. 5, e con la situazione di fatto emersa dagli atti, ossia che la mancata consegna della documentazione contabile e fiscale della società da parte del precedete amministratore determinava l’impossibilità diretta da parte del ricorrente di provvedere alla presentazione delle dichiarazioni fiscali, ciò scusando la sua condotta omissiva; difetterebbe, quindi, nella motivazione della Corte d’appello l’indicazione degli elementi di prova a sostegno della volontà del ricorrente di omettere consapevolmente la presentazione delle dichiarazioni fiscali e, quindi, il difetto di prova certa della sussistenza del dolo specifico normativamente richiesto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
4. Quanto argomentato dai giudici di merito consente di ritenere infatti corretta la soluzione dei giudici territoriali circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali IRES/IVA in relazione al periodo di imposta 2011.
In particolare, i giudici di appello, dopo aver ricordato la natura di reato omissivo proprio di natura meramente dichiarativa del delitto di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000, ricordano come al ricorrente è stata contestata la mancata presentazione della dichiarazione unificata relativa al periodo di imposta 2011 che, come riportato nel capo di imputazione, doveva essere presentata in data 30.09.2012, con termine di rilievo penale fissato nei 90 gg. successivi, ossia il 29.12.2012; tanto premesso, i giudici di merito ricordano che l’imputato era divenuto dapprima socio (acquisto quote 27.09.2011) e poi amministratore della società (14.10.2011), dunque nello stesso anno di imposta in relazione al quale era stata omessa la dichiarazione, dunque era indubbio che il dovere di redigere e presentare tale dichiarazione rientrava senza alcun dubbio tra le sue incombenze.
I giudici di merito respingono l’assunto difensivo secondo cui questi non fosse a conoscenza dell’omessa presentazione da parte del S., precedente amministratore, delle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta precedenti al 2011, per non aver mai ottenuto da quest’ultimo la documentazione amministrativo-contabile della società, in base all’assunto che appariva alquanto implausibile che l’imputato avesse dapprima acquistato le quote sociali e successivamente rivestito la carica di amministratore senza ottenere alcuna informazione sulla stessa società, essendo in ogni caso suo preciso dovere di verificarne la situazione economica e l’adempimento degli obblighi di documentazione contabile e fiscale. A tal fine, i giudici di merito valorizzano, in chiave soggettiva, i precedenti penali del reo, relativi a reati societari, traendone argomento per affermare che gli stessi siano particolarmente indicativi del fatto che l’imputato sia un soggetto in grado di comprendere perfettamente le responsabilità ed i compiti derivanti dal ruolo ricoperto nell’azienda agricola AB s.r.l., tra cui rientrano a pieno titolo tutte le incombenze fiscali e, in primo luogo, la presentazione della dichiarazione IRES/IVA; in base a tali rilievi, i giudici di appello ritengono che, a prescindere dall’esistenza di un pregresso accordo criminoso tra il precedente amministratore e l’imputato subentrato nella gestione societaria, presunto dal primo giudice, il S. fosse sicuramente a conoscenza della situazione economica e patrimoniale della società e, al fine di evadere le imposte IRES/IVA, in cui dovevano confluire i redditi conseguiti nel 2011, tra cui vi erano gli ingenti proventi derivanti dalle due vendite immobiliari conclude dal precedente amministratore in data 21.04.2011. A ciò si aggiunge, in sentenza, che era preciso obbligo dell’amministratore predisporre nell’anno 2012 la dichiarazione fiscale relativa all’anno precedente, attivandosi presso il precedente amministratore per l’acquisizione dei dati contabili e fiscali necessari.
5. Infine, osserva il Collegio, nessun elemento a sostegno della tesi difensiva risulta emergere dalla motivazione della sentenza quanto all’assoluzione riportata per il delitto sub b). Ed infatti, si legge (pag. 7 sentenza impugnata) che il capo sub b) di imputazione non facesse riferimento all’anno 2011, bensì all’occultamento o distruzione della documentazione fiscale relativa agli anni 2008/2009, non rinvenuta dai verificatori. I giudici, dunque, non hanno escluso il coinvolgimento del S. dall’imputazione di cui all’art. 10, d. lgs. n. 74 del 2000 in relazione all’anno di imposta 2011 (anzi, affermando espressamente come in relazione a tale periodo d’imposta, risulti pacifico come la distruzione/occultamento della documentazione siano stati finalizzati all’evasione delle imposte in modo tale da occultare le due vendite immobiliari, individuate dalla GdF solo grazie agli accertamenti tramite Anagrafe tributaria), ma lo hanno mandato assolto solo perché l’anno 2011 non era stato contestato, donde si giustificava l’assoluzione per non aver commesso il fatto per gli anni 2008/2009, in cui l’imputato non aveva alcuna relazione significativa con la società, avendo acquisito quote sociali ed assunto la carica gestoria soltanto nel settembre /ottobre 2011.
6. Ritiene il Collegio che, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive non hanno pregio, dovendosi ritenere raggiunta la prova della sussistenza del dolo in capo al ricorrente.
Secondo il testo dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000 vigente all’epoca dei fatti, «È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 77.468,53».
Il testo attualmente vigente prevede, invece, che «È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila».
Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in esame, la cui struttura materiale è rimasta immutata a seguito del d.lgs n. 158/2015, è necessaria, dunque, la rappresentazione e volizione della omessa dichiarazione e del superamento della soglia di punibilità e il dolo specifico di evasione in quanto il contribuente deve perseguire il “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”.
7. Orbene, non possono esservi dubbi, da un lato, circa la rappresentazione e volizione della omessa dichiarazione, atteso che questi aveva già assunto la carica a far data dall’ottobre 2011 e l’obbligo dichiarativo correlato al periodo di imposta 2011 scadeva l’anno successivo, in particolare alla data del 29.12.2012, tenuto conto del termine di rilievo penale fissato in gg. 90 dopo la scadenza (30.09.2012). Di tale scadenza, all’evidenza, il ricorrente era perfettamente consapevole in quanto amministratore alla data della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione.
Quanto, poi, alla prova del dolo specifico di evasione, convince la spiegazione fornita dalla Corte d’appello sul punto. Ed invero, è indubbio (come già affermato in altre circostanza da questa Corte, ad esempio in relazione al delitto di cui all’art. 10-ter, d. lgs. n. 74d del 2000: v., ad es. Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015 – dep. 18/08/2015, Alfieri, Rv. 264882), che il nuovo amministratore che subentra nella carica ha l’onere di verificare la contabilità, i bilanci e le ultime dichiarazioni dei redditi, perché qualora ciò non avvenga non solo sarà chiamato a rispondere del reato del mancato versamento delle imposte in precedenza non versate, ma anche del reato di omessa presentazione della dichiarazione fiscale, e, per l’assenza di tale preventivo controllo, deve ritenuto responsabile quantomeno a titolo di dolo eventuale. La responsabilità per i reati tributari è, di norma, attribuita all’amministratore pro-tempore, individuato secondo le norme civilistiche, che rappresenta e gestisce l’ente e, quindi, chi assume la carica di amministratore va ad accettare volontariamente anche le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Nel momento in cui si assume la rappresentanza legale di una società di capitali, è indispensabile che venga posta in essere un’attività ricognitiva finalizzata a rilevare almeno le più evidenti anomalie contabili e fiscali in modo da evitare, in futuro, contestazioni sull’operato altrui, ciò in particolar modo, per facili riscontri ictu oculi ovvero quelli per i quali un subentrante, con un minimo di diligenza, sia in condizione di poter facilmente verificare la sussistenza di omissioni quali, ad esempio, la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali per gli anni di imposta precedenti o la verifica dell’esistenza di redditi o operazioni imponibili.
8. Non può, peraltro, essere esclusa la configurabilità del dolo eventuale nell’ipotesi in cui un amministratore abbia consapevolmente omesso di esercitare i doveri impostigli dalla legge con la previsione della conseguente mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali nel termine di legge ed abbia accettato il rischio che, anche a causa della sua condotta omissiva, venisse integrato il delitto di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000. Nel dolo eventuale, infatti, si considerano voluti non solo i risultati che l’agente abbia posto come fine ultimo dell’azione, ma anche quelli che sono previsti quale conseguenza del proprio comportamento.
Ciò avviene non solo ogni qualvolta tali risultati appaiono certi, ma altresì quando appaiono probabili. E, nel caso di specie, non solo era probabile ma era assolutamente certo che la condotta dell’imputato (non potendo certo essere ritenuta scubile per essersi limitato a chiedere, senza successo, al precedente amministratore, i documenti amministrativo-contabili, atteso che questi, a fronte dell’inerzia” del precedente amministratore, avrebbe potuto/dovuto presentare denuncia nei confronti dello stesso), avrebbe determinato la compiuta integrazione del delitto di cui all’art. 5 citato. Tale condotta, punibile a dolo eventuale, del resto appariva altresì sorretta dal “curriculum” penale del reo, che, avendo al suo attivo una serie di precedenti penali in tema di reato societari, denotava in sostanza particolare dimestichezza con la materia così sorreggendo la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato; trattasi di affermazione che si sottare a censura, atteso che la configurabilità del dolo in relazione a peculiari tipologie di reato (come ad esempio, i reati finanziari, tributari, societari e fallimentari) ben può essere desunta dai precedenti penali specifici, che costituiscono indice della proclività del reo alla violazione della norma penale speciale.
La responsabilità penale, tuttavia, con particolare riferimento alla materia penal- tributaria, ovviamente, impone il ricorso a parametri valutativi diversi nel caso di eventuali contestazioni di reati dichiarativi che non si risolvano nell’omesso versamento di tributi o nell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali (ad esempio, nel caso del pregresso utilizzo di fatture false), in quanto in tali casi l’illecito non è parimenti individuabile con la medesima immediatezza e, quindi, in tale caso per l’incriminazione dell’amministratore subentrante dovrà necessariamente provarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, anche la sua conoscenza delle violazioni contabili e fiscali commesse in precedenza.
9. Il ricorso dev’essere, complessivamente, rigettato conseguendone la condanna alle spese processuali a norma dell’art. 616, c.p.p.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso o e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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