Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 39252 depositata il 30 agosto 2018
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, la Corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile l’istanza di revisione della sentenza emessa dal Tribunale di Nocera il 23 gennaio 2017, irrevocabile il 20 maggio 2017, che ha condannato alla pena di anni uno di reclusione FS, per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 4 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante della GE.I.NORD srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava per l’anno 2009 elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo, evadendo l’IVA per un importo di 361.235 euro e l’IRES per un importo di 187.485 euro.
2. Avverso l’indicata ordinanza, la FS, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in riferimento all’art.634 cod. proc. pen. e relativo vizio motivazionale. Assume la ricorrente che la Corte territoriale, esorbitando dai limitati poteri di cognizione previsti nella fase pregiudiziale di ammissibilità della richiesta, avrebbe erroneamente valutato l’inefficacia probatoria degli elementi probatori prospettati con la richiesta di revisione, ossia due sentenze emesse dalla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno in data 21 dicembre 2015 e 4 aprile 2016 per cessazione della materia di contendere, avendo l’Agenzie delle entrate annullato, in autotutela, gli accertamenti in capo alla GE.I.NORD e alla FS, sentenze da considerarsi “prova nuova” in quanto non valutate dal Tribunale di Nocera, non essendovi di esse traccia nella motivazione.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 630 lett. c), 631 e 634, nonché 234 e 238 bis cod. proc. pen. Ad avviso della ricorrente, l’atto di autotutela, adottato dell’Agenzia delle Entrate-direzione di Salerno, con cui è stato annullato l’avviso di accertamento, avrebbe riconosciuto l’inesistenza del credito tributario e, di conseguenza, avrebbe fatto venire meno ab initio l’illiceità della condotta contestata alla ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In primo luogo va ribadito che, in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (per tutti, Sez. U, n. 624 del 26/09/2001 – dep. 09/01/2002, Pisano, Rv. 220443).
3. Va, inoltre, ricordato che, in tema di giudizio di revisione, l’inammissibilità della richiesta per manifesta infondatezza sussiste se le ragioni poste a suo fondamento risultino, dalla domanda in sé e per sé considerata, evidentemente inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, essendo invece riservata alla fase del merito ogni valutazione sull’effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (Sez. 2, n. 11453 del 10/03/2015 – dep. 19/03/2015, Riselli, Rv. 263162). Di conseguenza, attesa l’espressa previsione, nell’art. 634 cod. proc. pen., come autonoma causa di inammissibilità della richiesta, della “manifesta infondatezza” della medesima, risulta attribuito alla corte d’appello, nella fase preliminare prevista dalla medesima disposizione, un limitato potere-dovere di valutazione, anche nel merito, della oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente, ancorché costituiti da “prove” formalmente qualificabili come “nuove”, a dar luogo ad una necessaria pronuncia di proscioglimento. È dunque necessaria e legittima la delibazione prognostica circa il grado di affidabilità e di conferenza dei nova, che non si traduca tuttavia in un’approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito (Sez. 5, n. 11659 del 22/11/2004 – dep. 24/03/2005, Dimic, Rv. 231138).
4. Ciò chiarito, la Corte territoriale ha ritenuto che l’annullamento degli avvisi di accertamento in capo alla GE.I.NORD e alla FS, che hanno comportato la declaratoria di estinzione del giudizio davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno per intervenuta cessazione della materia del contendere, non possa considerarsi prova nuova, perché rappresenta una decisione alla quale la commissione tributaria è giunta sulla base di criteri meno rigorosi, che trovano applicazione nel procedimento tributario, ma non nel processo penale.
5. Si tratta di una motivazione giuridicamente corretta. Va, infatti, rilevato che, a mente dell’art. 631 cod. proc. pen., a pena di inammissibilità, l’istante deve evidenziare che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione “devono essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto ai sensi degli artt. 529, 530 o 531”. Pertanto, deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee ictu ocull a determinare un effetto demolitorio del giudicato (da ultimo, cfr. Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017 – dep. 29/09/2017, Di Stefano, Rv. 271071).
6. E proprio questo è, a ben vedere, il caso di specie, avendo la Corte territoriale correttamente ritenuto che gli elementi indicati dalla ricorrente sianò ictu °culi inidonei a comportare la revisione del giudicato.
E difatti, nel caso di condanna definitiva per reati tributari, non può considerarsi prova nuova, a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen., tale da comportare un effetto demolitorio del giudicato, il mero annullamento in autotutela, da parte dell’amministrazione finanziaria, dell’avviso di accertamento relativo alle imposte ritenute evase nel giudizio penale, dovendo l’istante dimostrare che detto annullamento abbia un’incidenza decisiva sul compendio probatorio posto a fondamento del giudizio penale di condanna, tale, quindi, da comportare la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi degli artt. 529, 530 o 531 cod. proc. pen.
7. Ciò chiarito, il ricorso è del tutto generico, in quanto si limita a indicare un mero elemento probatorio, e non anche le conseguenze, desumibili da quel dato, sul materiale probatorio, posto a fondamento dal giudizio di penale responsabilità. Invero, l’affermazione della ricorrente, secondo la quale l’atto di autotutela, adottato dell’Agenzia delle Entrate-direzione di Salerno, con cui è stato annullato l’avviso di accertamento, farebbe venire meno ab initio l’illiceità della condotta contestata si rivela apodittica. In altri termini, la ricorrente avrebbe dovuto puntualmente mostrare come le valutazioni espresse dall’Agenzia delle Entrate, alla base dell’indicato annullamento (che, in ipotesi, possono essere le più diverse), siano in grado, in concreto, di disarticolare il ragionamento probatorio posto a fondamento del giudizio di penale responsabilità e, conseguentemente, di comportare una pronuncia di proscioglimento. Ma, sul punto, il ricorso è totalmente carente.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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