CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39333 depositata il 25 settembre 2019
Professionisti – Commercialisti – Procedura fraudolenta di compensazione fiscale – Prova
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 13 febbraio 2019 il Tribunale di Napoli, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da G.U., indagato per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nei confronti del sequestro preventivo del 21 gennaio 2019 emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli.
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con unico articolato motivo di impugnazione, evidenziando violazione di legge in relazione alle norme sul concorso di persone nel reato, e carenza di motivazione in relazione all’iter argomentativo adottato.
2.1. In particolare, l’ordinanza impugnata non aveva fornito giustificazione al fatto che il ricorrente era transitato dall’iniziale ruolo di vittima del reato a concorrente nel medesimo. Al riguardo, era stata presa in considerazione solamente l’entità delle somme oggetto di evasione, e da tale elemento era stata ricavata la consapevolezza dell’illiceità delle operazioni di indebita compensazione fiscale effettuate dai commercialisti indagati. Secondo il Tribunale della libertà, quindi, il ricorrente non avrebbe provato la propria buona fede pur avendo avuto col professionista C. solamente un unico rapporto professionale.
Al contrario, era emerso che tutta l’operazione indebita era avvenuta all’insaputa dell’indagato, mero contribuente ignaro della procedura fraudolenta di compensazione messa in opera dai professionisti.
In ordine poi al preteso concorso di persone nel reato, alcunché era stato dimostrato circa un previo accordo tra contribuente e commercialista, mentre una consapevolezza successiva al perfezionarsi del reato non poteva assurgere a dignità penale. Né rilevava un’eventuale indagine su termini e modalità del compenso.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Osserva preliminarmente la Corte che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge.
Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli errores in iudicando o in procedendo, al pari dei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093; v. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656); per contro, non può esser dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
Del pari, in tema di sequestro preventivo non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (ex plurimis, Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 273069; Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, Zagarrio, Rv. 258279). In ogni caso, peraltro, vero è anche che, a tal fine ed in sede di controllo sui presupposti per l’adozione di una misura cautelare reale, il tribunale del riesame deve verificare non solo la astratta configurabilità del reato, ma anche, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali e, quindi, sia gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, sia le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Morabito, Rv. 274693).
4.2. A questo proposito, il Tribunale napoletano ha dato conto dei contrari rilievi in fatto allegati dalla difesa dell’odierno ricorrente quanto alla pretesa insussistenza degli elementi idonei a rappresentare il fumus, con particolare riferimento all’avvenuto pagamento di corrispettivo per la prestazione offerta dallo studio C. ed alla mancanza assoluta di originaria consapevolezza del meccanismo fraudolento utilizzato da costui per trattare le pratiche dei clienti.
Al contempo l’ordinanza impugnata ha peraltro rammentato che il contribuente aveva in definitiva ottenuto la compensazione – nella più totale e sospetta inerzia personale, ed in apparenza senza provvedere ad alcun tipo di reazione ovvero di controllo – di un debito fiscale di quasi 700.000 euro con un importo pressoché corrispondente di crediti certamente inesistenti. Tutto ciò, per vero, senza neppure dedurre la concreta esistenza di crediti idonei a contrastare la pretesa erariale, ovvero di ragioni sufficienti ad esperire vittoriosamente il ricorso giurisdizionale tributario (al di là della prescrizione delle tasse automobilistiche), con ogni conseguenza relativamente alla buona fede dell’odierno ricorrente nei suoi rapporti col professionista indagato, scelto perché – a fronte di ben trentadue cartelle esattoriali – egli aveva fama di abituale vincitore nel contenzioso fiscale.
D’altronde, in sede di riesame può essere verificato anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché peraltro esso emerga ictu oculi (cfr. ad es. Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e altro, Rv. 266896). La fattispecie, all’evidenza, è del tutto estranea a siffatta previsione.
4.2.1. Va da sé che, quantomeno allo stato e nell’attesa della possibile successiva verifica in giudizio, il provvedimento impugnato ha dato conto – anche in relazione al lamentato concorso di persone – dell’esistenza del fumus nelle accezioni già ricordate, evidenziando altresì con idonea chiarezza il percorso argomentativo seguito per giungere alla decisione assunta.
5. Ciò posto, la complessiva censura si presenta quindi manifestamente infondata in relazione al campo d’indagine del giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità del ricorso.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
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