Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 39396 depositata il 3 settembre 2018
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 novembre 2017, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona con la quale BC era stato condannato, quale legale rappresentante della CG di Jesi, per il reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen. e 2 dl. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori limitatamente al periodo da dicembre 2009 al febbraio 2010 e da settembre 2010 al dicembre 2010, per un importo di € 145.461,00, previa dichiarazione di non doversi procedere per le omissioni relative all’anno 2009 perché estinte per prescrizione ha ridotto la pena inflitta a mesi uno e giorni 10 di reclusione e € 500,00 di multa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
-Violazione di legge in relazione alla condotta materiale di reato di cui all’art. 2 d.l. n. 463 del 1983, nonché in relazione alla mancanza dell’elemento soggettivo. Argomenta il ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe correttamente interpretato e valutato i vincoli derivanti dalla procedura di ristrutturazione del debito di cui all’art. 67, comma 3 lett. d) legge fall. La società del ricorrente aveva avviato una procedura di ristrutturazione del debito il cui accordo di ristrutturazione era stato sottoscritto il 03/12/2009 e successivamente rimodulato il 04/07/2012, di tal chè la società aveva avviato i pagamenti dei debiti nei modi e nei tempi previsiti dal citato accordo. La ristrutturazione del debito era conseguente alla grave crisi finanziaria del 2008, e aveva così consentito una dilazione del debito anche quello nei confronti dell’INPS. L’imputato non avrebbe potuto onorare il debito contributivo al di fuori della previsione dell’accordo sottoscritto con i creditori, e, dunque, la condotta sarebbe scriminata ai sensi dell’art. 51 cod.pen., stante l’adempimento di un dovere imposto da,i una norma di legge o da un ordine legittimo della pubblica autorità (accordo di ristrutturazione del debito).
– Vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio per avere irrogato una pena “severa”.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per la proposizione di una doglianza manifestamente infondata e anche riproduttiva della stessa questione già devoluta in appello, con riguardo alla configurabilità della scriminante dell’adempimento di un dovere ai fini di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, puntualmente esaminata e disattesa dai giudici di merito con motivazione del tutto coerente e adeguata.
5. La Corte d’appello, in continuità con la pronuncia del Tribunale, sulla scorta dell’accertamento, in punto di fatto, dell’omissione del versamento dei contributi assistenziali e previdenziali relativi all’anno 2010, accertamento insindacabile in questa sede perché sorretto da adeguata motivazione, ha escluso il rilievo, quale scriminante dell’omissione, dell’intervenuto accordo ex art. 67, comma 3 lett. d) legge fall., presentato nel novembre 2009, rimodulato il 4 luglio 2012, in quanto iniziativa intrapresa dall’imprenditore in crisi in epoca precedente al sorgere del debito Inps e dell’omesso versamento relativo alle mensilità a partire da dicembre 2009 e per le mensilità del 2010 e che, dunque, non ricomprendeva i debiti in oggetto. Sotto altro profilo, la corte territoriale ha escluso che la documentazione attestante una richiesta di rateizzazione nel 2012, ed accolta parzialmente, inerente a debiti di varia natura, consentisse l’imputazione dei debiti odierni in ragione del fatto che la rateizzazione dei debiti di cui al procedimento penale iniziava a decorrere dal febbraio 2013, in epoca di molto posteriore alla notifica dell’avviso di accertamento Inps del marzo 2011 e aprile 2011 e, dunque, non ricompresa nella rimodulazione del luglio 2012.
6. La prospettazione difensiva è, in ogni caso, priva di pregio perché fondata su un>errata interpretazione degli effetti giuridici del piano attestato ex art. 67, comma 3 lett. d) della Legge Fallimentare.
Il piano attestato di risanamento, cosi come definito dall’art. 67, comma 3 lett. d) della Legge Fallimentare, introdotto dal decreto legge n. 35 del 14 marzo 2005, conv. dalla legge n. 80 del 2005 (e successivamente modificato dal. D.L.83 del 2012). è uno strumento riservato all’imprenditore per risanare l’impresa e riportarla in equilibrio economico e finanziario, attraverso la realizzazione di una serie di operazioni strategiche, garantendo la continuità aziendale, senza che vi sia alcun controllo da parte del tribunale, come invece avviene nelle procedure concorsuali di cui all’art. 182 bis e 161 legge fall.
Esso prevede esplicitamente l’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione del piano disponendo che “Non sono soggetti ad azione revocatoria….gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali deve attestare la y.63 veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano…”. E’ uno strumento per il risanamento delle imprese in crisi che si differenzia marcatamente sia dall’accordo di ristrutturazione dei debiti (ex articolo 182-bis L.F.) sia dal concordato preventivo (articolo 160 e seguenti L.F.) rispetto quali non è previsto l’intervento o il controllo della procedura da parte del Tribunale e non è obbligatoriamente soggetto ad alcun regime pubblicistico. Si tratta di un atto unilaterale dell’imprenditore che non richiede necessariamente l’accordo con i creditori.
La ratio dell’istituto è quella di salvaguardare gli atti esecutivi posti in essere all’interno di un attendibile piano di risanamento aziendale, nel caso in cui il programma non raggiunga il successo sperato e si apra il successivo fallimento dell’imprenditore. La protezione che viene data per questi atti consiste nell’esonerare i terzi, che hanno confidato nella bontà del piano e nella sua buona riuscita, dalle conseguenze che essi potrebbero avere nel caso in cui fosse attivata l’azione revocatoria fallimentare. Da tali effetti non si può far discendere, come vorrebbe il ricorrente, l’esenzione dalla punibilità per il mancato adempimento all’obbligazione contributiva sull’erroneo rilievo del “congelamento dei debiti” o della “dilazione” dell’adempimento di obblighi di versamento rispetto alla scadenza der;vante dalla predisposizione di un piano attestato ex art. 67 cit.. A fortiori alcuna esclusione della punibilità potrebbe ritenersi rispetto a omissione contributive relative a periodi successivi alla predisposizione del piano.
E’ giuridicamente errato ritenere che l’omissione contributiva alla scadenza sia scriminata dall’adempimento del piano (adempimento di un dovere ex art 51 cod.pen.) e ciò in quanto per la sua stessa natura il piano attestato di risanamento, atto unilaterale dell’imprenditore per risolvere la crisi di impresa in vista di un suo risanamento, garantendo dall’esenzione della revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione del piano, non è una procedura concorsuale volta a garantire il soddisfacimento dei creditori secondo un ordine temporale con gli effetti protettivi tipici del concordato preventivo. Da qui la manifesta infondatezza della prospettazione difensiva, anche suggestiva, secondo cui l’imputato non sarebbe punibile per l’omissione contributiva in virtù dell’esistenza di un piano attestato. Il debito tributario rimane e deve essere onerato alla scadenza.
Il fondamento dell’istituto in parola è diverso da quella attribuito dal difensore; la predisposizione di un piano attesto di risanamento è volta a garantire i terzi che vengono in rapporto con l’imprenditore da azioni revocatorie, ma giammai autorizza a ritenere che egli non sia tenuto ad adempiere alle obbligazioni tributarie imposte per legge per il solo fatto di aver predisposto un piano attestato. Da qui la manifesta infondatezza, anche, della deduzione in punto l’esclusione dell’elemento soggettivo che, come è noto, è a dolo generico e consiste nella volontarietà dell’omissione alla scadenza (Sez. 3, n. 3663 del 08/01/2014, Rv. 259097).
7. Il secondo motivo di ricorso attinente al trattamento sanzionatorio è generico. Il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato ritenuto “severo”. Il motivo è privo di specificità e non si confronta con la motivazione della sentenza che aveva determinato la pena, per effetto della pronuncia di prescrizione delle omissioni relative al 2009, in misura prossima al limite minimo edittale e l’aveva ridotta per effetto dell’applicazione delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen. alla pena irrogata.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.090,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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