CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39484 depositata il 3 settembre 2018
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta e documentale – Procedimento giudiziario – Sentenza – Mancato esame delle doglianze proposte dal gravame – Vizio motivazionale – Annullamento con rinvio
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza deliberata il 14/09/2017, la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del 07/10/2015, con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari aveva dichiarato M.C. responsabile, in relazione a U.F. s.r.I., dichiarata fallita il 06/10/2010, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver distratto beni della società del valore di circa 82 mila euro e la somma di 9.600 euro risultante dalla vendita di un veicolo I.), bancarotta fraudolenta documentale (per avere tenuto le scritture contabili in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società, consegnando al curatore parte della documentazione relativa agli anni 2005 e 2006 e omettendo di consegnare tutta la documentazione contabile dal 2007 al fallimento), bancarotta semplice (per aver aggravato il dissesto astenendosi dal richiedere il fallimento della società in dissesto dal 2006) e, esclusa la circostanza aggravante del danno di particolare gravità, applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla recidiva e alla circostanza aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, lo aveva condannato alla pena di giustizia.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione M.C., attraverso il difensore avv. M. L. M., denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – vizi di motivazione, inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen., mancata assunzione di una prova decisiva, inosservanza della legge penale e della legge processuale.
2.1. Erroneamente non è stata accolta la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per procedere all’esame del teste R., la cui decisività risultava dall’atto di appello che aveva richiamato le dichiarazioni di C. secondo cui il veicolo era stato retrocesso alla R. A., rimasta nel possesso materiale del bene, laddove la Corte di appello stigmatizza la condotta dell’imputato in ordine alla vendita dell’autoveicolo I. con motivazione basata su mere ipotesi e non su riscontri oggettivi, nonostante la produzione documentale della difesa relativa ai passaggi di proprietà del veicolo. Sempre con riferimento alla distrazione del veicolo I., la Corte di appello afferma che la mancata documentazione del pagamento di circa 24 mila euro per l’acquisto del veicolo non dimostra che non vi fu un passaggio di denaro, ma tali rilievi si fondano su mere ipotesi non documentate, mentre del tutto apodittico è il riferimento alla circostanza che se la società non avesse pagato il veicolo si porrebbe il problema della distrazione dei contributi erogati dallo Stato, posto che detta erogazione risale principalmente ad epoca in cui l’imputato non era amministratore, tanto più che la sentenza impugnata nulla dice in ordine alla denunciata incompletezza della documentazione relativa all’estratto conto del Monte dei Paschi di Siena prodotta dal curatore.
2.2. Quanto alla bancarotta documentale, la sentenza impugnata è carente di logica motivazione sull’effettiva consapevolezza in capo a C. dello stato delle scritture contabili, posto che le stesse furono consegnate al curatore dalla consulente del lavoro S. e dalla dott.ssa T., che nel novembre del 2007 aveva rinunciato all’incarico per il venir meno dei contatti con il precedente amministratore R.P., epoca dalla quale le scritture rimasero presso le due professioniste essendo cessata l’attività della società. Anche con riferimento alla cessione del veicolo I. (il cui corrispettivo non è stato incassato da C. perché mai corrisposto da R.), erroneamente la Corte di appello rileva che la mancata tenuta della contabilità era stata funzionale alla dissimulazione delle operazioni distrattive, in quanto la contabilità era stata tenuta fino alla cessazione di fatto della società e conservata dalle due professioniste indicate, laddove nel disinteressamento circa le sorti della società da parte di C. può ravvisarsi solo la colpa e non il dolo.
2.3. Quanto alla contestata distrazione dei beni della società, la sentenza impugnata non ha esaminato il motivo di appello che evidenziava come il curatore fosse a conoscenza dell’ubicazione della sede secondaria della società a Roma ove svolgere accertamenti anche nel caso di eventuale mancata ricezione della mail inviata da C., mentre è affetta da travisamento l’affermazione secondo cui la società operava effettivamente nell’unità locale di Sanluri; neppure è stato esaminato il motivo che deduce come i beni si trovavassero nella sede secondaria alla quale il curatore avrebbe potuto e dovuto accedere.
2.4. Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto inammissibile il motivo relativo alla mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.
2. Con riguardo alla bancarotta fraudolenta per distrazione del veicolo I., le censure sono fondate. Come si desume dalla stessa sintesi delle doglianze proposte con il gravame offerta dalla sentenza impugnata, l’appellante aveva sostenuto che: l’auto – mai pagata e mai ritirata dal concessionario – era stata “retrocessa” al venditore mediante l’emissione di una fattura da parte della società poi fallita dell’importo di 9 mila euro corrispondente all’entità della svalutazione subita dal veicolo; il curatore non aveva indicato in modo completo l’estratto conto del Monte dei Paschi di Siena, nel quale, dalle due pagine successive alla prima, si sarebbe potuto rilevare che nessun pagamento dell’importo di 24.348 euro era stato effettuato in favore della R. A., anche perché l’ultima tranche del finanziamento pubblico – pari a più di 14 mila euro – era stata trattenuta dalla banca a parziale compensazione del saldo negativo; dall’estratto cronologico dei proprietari del veicolo risulta che R. A. aveva venduto il bene a L.V. e nessuna verifica era stata effettuata dal curatore per accertare da chi questi avesse effettuato l’acquisto.
La Corte distrettuale ha ritenuto infondato il motivo sostenendo che la mancata documentazione, nelle scritture sociali, del pagamento dei 24.348 euro non dimostra che non vi fu passaggio di denaro verso la concessionaria, anche per l’inattendibilità della contabilità della società, ove non vi era alcuna traccia della successiva vendita e del relativo prezzo, e che se la società non aveva pagato l’auto (come sostenuto dall’imputato) si poneva il problema della distrazione dei contributi statali ricevuti; ha rilevato inoltre il giudice di appello che la mancata insinuazione al passivo di R. A. è compatibile con l’integrale pagamento del prezzo e che la restituzione del veicolo a R. era una vendita intermedia fatturata per la cessione a terzi, tanto più che un valore residuo di cessione di 9 mila euro di un bene che un anno prima ne valeva 24 mila è indicativo del carattere distrattivo dell’operazione. Nei termini sintetizzati, la sentenza impugnata non è esente dai vizi motivazionali denunciati. Nessuna risposta è stata data alla censura relativa al “trattenimento” di una parte significativa del contributo statale da parte della banca a titolo di (parziale) compensazione del saldo negativo della società. Si tratta di una censura potenzialmente idonea ad inficiare il collegamento tra il finanziamento statale e l’acquisto (e il pagamento) dell’auto, collegamento, peraltro, sviluppato dalla Corte anche sul piano – alternativo – della eventuale distrazione dell’importo del finanziamento: rilievo, questo, estraneo alla contestazione e, comunque, all’evidenza implicato dalla censura non esaminata.
Con riguardo poi all’argomentazione relativa al pagamento della somma di 24.348 euro, la motivazione della sentenza impugnata rende ragione solo di una possibile eventualità (il pagamento pur non registrato dalla contabilità della società, peraltro con un finanziamento erogato alla stessa società), ma, disancorata dal compiuto esame delle doglianze proposte dal gravame, conferma il vizio motivazionale rilevato. Di conseguenza, in parte qua, la sentenza deve essere annullata, restando assorbite le censure relative all’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
3. Anche in relazione al capo relativo alla bancarotta per distrazione dei beni della società, la sentenza impugnata non è esente dai vizi motivazionali denunciati. Alla tesi dell’appellante, volta ad affermare l’esistenza dei beni presso la sede secondaria della società a Roma (documentata con foto mandate via mail al curatore), la Corte di appello, rifacendosi alla sentenza di primo grado, ha replicato, da un lato, richiamando le dichiarazioni della commercialista dott.ssa T. (che ha riferito di non aver ricevuto la mail e che comunque le foto non dimostravano con certezza che si trattasse dei beni della fallita) e, dall’altro, rilevando che C. non aveva spiegato come e perché i beni, in gran parte acquistati con finanziamenti pubblici, non si fossero trovati nella sede di Selargius, né nell’unità locale di Sanluri ove la società operava, ma in una sorta di discarica nella periferia romana. Al riguardo, deve rilevarsi che la sentenza di appello non ha preso in considerazione la deduzione difensiva circa l’invio di una mail con l’indicazione della sede secondaria ove si trovavano i beni alla curatrice (e non alla commercialista), sede risultante dalla visura camerale estratta dal fascicolo fallimentare, così sottraendosi all’esame del punto effettivamente devoluto al giudice di appello; né in senso contrario può argomentarsi sulla base della provvista (i finanziamenti pubblici erogati alla società) con la quale sarebbero stati acquistati i beni, posto che il dato, nei termini in cui è stato valorizzato, non dimostra il mancato utilizzo degli stessi presso una sede secondaria della fallita. Le carenze motivazionali della sentenza impugnata neppure possono dirsi superate dal riferimento alle pronunce di questa Corte richiamate dal giudice di appello, posto che, secondo la tesi difensiva non congruamente disattesa dalla Corte di appello di Cagliari, l’imputato ha indicato al curatore che i beni si trovavano presso la sede di Roma: e che tale sede sia una “discarica” è affermazione del tutto apodittica dei giudici di merito, tanto più che risulta in toto omesso l’esame delle specifiche deduzioni dell’appellante in ordine all’organizzazione e alla ripartizione del lavoro (anche tra sedi sarde e sede romana) della società, deduzioni articolate sulla base dell’esame dell’imputato. Pertanto, anche con riferimento all’imputazione in esame la sentenza di appello deve essere annullata.
4. Con riguardo all’imputazione di bancarotta documentale, l’appello aveva sostenuto che l’impossibilità di ricostruire il volume degli affari della fallita era imputabile ai precedente amministratore, resosi irreperibile, e che la situazione contabile e patrimoniale era cristallizzata al 2007, poiché da tale data la società aveva di fatto cessato di operare. Sul punto, la sentenza impugnata rileva che C. era stato socio di una società a ristrettissima base sociale (i soci erano lo stesso imputato, la moglie e la figlia) e ne era divenuto amministratore dal 01/11/2007: pertanto, era perfettamente a conoscenza delle vicende societarie e dei beni aziendali (avendo, tra l’altro, partecipato all’assemblea del 30/06/2007 dove si era rilevata la riduzione del capitale sotto i minimi del capitale sociale);
inoltre, C. aveva posto in essere l’operazione di vendita dei veicolo I. nel settembre del 2008, sicché la mancata tenuta della contabilità, in tale contesto, aveva impedito la ricostruzione del patrimonio sociale ed era stata funzionale alla dissimulazione delle operazioni distrattive degli altri beni aziendali contestate all’imputato.
Anche con riguardo all’imputazione in esame, sussistono i vizi motivazionali denunciati: la Corte di appello non confuta espressamente il rilievo difensivo relativo alla cessazione dell’attività della fallita, ma ritiene di poterne neutralizzare la valenza critica delle conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado richiamando la peculiare composizione della compagine sociale, circoscritta al nucleo familiare dell’imputato, e la conoscenza da parte sua delle vicende – negative – della società (assemblea del 30/06/2007). Nessuno dei due argomenti, tuttavia, è idoneo a dar conto in termini immuni da vizi logicoargomentativi della conferma del giudizio di condanna di primo grado: quanto alla compagine sociale, il legame tra i soci e il precedente amministratore, moglie di C., non è idoneo, in assenza di alcun rilievo sul ruolo di amministratore di fatto svolto dallo stesso prima dell’assunzione della carica (ruolo neppure contestato), a fondare un’affermazione di responsabilità per la tenuta delle scritture contabili in epoca anteriore al novembre del 2007; rilievo, questo, estensibile anche alla conoscenza delle vicende della società. La Corte di appello, allora, pur non confutando espressamente la tesi difensiva circa la cessazione dell’attività della società nel 2007, ne proietta l’attività – e, con essa, la responsabilità di C. quale amministratore successivamente al novembre del 2007 – correlandola ai fatti di bancarotta per distrazione esaminati: l’annullamento della sentenza impugnata con riguardo a tali imputazioni, tuttavia, si riflette all’evidenza sulla tenuta della motivazione anche con riguardo all’imputazione di bancarotta documentale. Anche in parte qua la sentenza impugnata deve dunque essere annullata.
5. Pertanto, con esclusione dell’imputazione di bancarotta semplice (in relazione alla quale non è stato proposto ricorso) e assorbite le censure relative alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e quelle relative al trattamento sanzionatorio (quest’ultimo da valutare in sede di rinvio sulla base delle determinazioni relative alle imputazioni in relazione alle quali la sentenza impugnata è stata annullata), la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari.
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