CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39539 depositata il 3 settembre 2018, n. 39539
Reato di associazione per delinquere – Assunzione di cittadini extracomunitari – Contratti di lavoro fittizi – Scopo di lucro
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’assise d’appello di Brescia, con sentenza in data 27/1/2017, confermava la decisione con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della sede l’8/1/2016 aveva dichiarato:
– M.G. colpevole del reato di associazione per delinquere di cui al capo A; dei reati di cui al capo b) con esclusione delle aggravanti di cui all’art. 12 comma 3 lettere a) e d) d. Igs. 286/1998 limitatamente ai fatti che avevano coinvolto alcuni stranieri, oltre che del delitto di cui all’art. 12 comma V, così qualificate alcune delle condotte tenute, in uno al reato di cui al capo c) – concesse le circostanze attenuanti generiche e unificati i fatti ex art. 81 cpv. cod. pen., con la diminuente del rito lo condannava alla pena di anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 14.667 di multa;
– M.R. colpevole dei reati di cui ai capi a) e b), esclusa l’aggravante di cui alla lettera a) per talune delle condotte poste in essere e del delitto di cui all’art. 12 comma V, cosi qualificate alcune delle condotte tenute, concesse le circostanze attenuanti generiche e unificati i fatti ex art. 81 cpv. cod. pen., con la diminuente del rito, lo condannava alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 12.867 di multa;
1.1. Le intercettazioni telefoniche, inizialmente disposte in altro procedimento, avevano permesso di appurare che attraverso il M.G. erano reclutati (con l’ausilio di tale H.) cittadini extracomunitari nei cui confronti si sarebbero attivate le pratiche di regolarizzazione della presenza sul territorio dello Stato. Ciò accadeva attraverso la individuazione di datori di lavoro disposti alla stipula di contratti fittizi. Le indagini svolte permettevano di accertare che, presso i datori di lavoro ove formalmente risultavano assunti i cittadini stranieri, costoro non prestavano alcuna attività lavorativa. Si appurava la falsità dei contratti relativi e lo scopo di lucro da parte degli imputati, sin dall’anno 2012, epoca in cui era già emerso che le pratiche di emersione erano svolte dietro corrispettivo in denaro. Sulla qualificazione giuridica dei fatti la Corte territoriale riteneva che sarebbe stato lineare e persuasivo il criterio seguito dal primo giudice che aveva distinto le ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso illegale nei casi in cui vi fosse stata richiesta di permesso di soggiorno e favoreggiamento della permanenza illegale nei casi relativi alle pratiche di emersione, ai sensi della legge n. 102/2009 e del D. L.vo 189/2012.
Riteneva, altresì, sussistente l’ipotesi associativa di cui all’art. 416 cod. pen. osservando che la collaudata attività delittuosa, inferita dalle attività di intercettazione e dalla documentazione sequestrata, non si potesse postulare se non con l’accordo stabile e solidale di tutti i soggetti coinvolti (dai datori di lavoro compiacenti, agli intermediari e ai procacciatori di cittadini extracomunitari da impiegare nelle pratiche amministrative e legali gestite dai M. per ottenere il permesso di soggiorno, per motivi di lavoro o il nulla osta all’ingresso o l’emersione dal lavoro cd. in nero. La Corte territoriale addiveniva pertanto alla conferma della decisione di primo grado.
3. Ricorrono per cassazione M.G. e M.R., per mezzo del difensore di fiducia e deducono quanto segue.
3.1. Con il primo motivo lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione. Si lamenta la violazione dell’art. 12 d. Igs 286/1998 e degli artt. 192 e 533 cod. proc. pen.. Ciò perché la presentazione di domande finalizzate ad ottenere il nulla osta al lavoro, basate su contratti falsi, non avrebbe potuto integrare né il delitto di cui all’art. 12 comma 3, né quello di cui all’art. 12 comma 5 del d. Igs 286/1998. L’art. 12 comma 3 del d. Igs 286 1998 punisce la condotta di colui che pone in esse atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato o le condotte ivi descritte, mentre l’art. 12 comma 5 punisce la condotta di chi favorisce la permanenza al fine di trarre ingiusto profitto, con la conseguenza che l’elemento di discrimine risiederebbe nella effettiva presenza o no degli stranieri che si rivolgevano ai M.. Erroneamente si era seguito il criterio che aveva distinto le ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso illegale nei casi in cui vi fosse stata richiesta di permesso di soggiorno e di favoreggiamento della permanenza illegale nei casi relativi alle pratiche di emersione, ai sensi della legge n. 102/2009 e del D. L.vo 189/2012.
La carenza di prova, ancora, disarticolava il fondamento della decisione sul punto, risultato confermato dalla stessa mancanza di certezza sul concorso nella stipula di falsi contratti di lavoro da parte dei ricorrenti. Ai fini di una corretta qualificazione giuridica dei fatti sarebbe stato necessario accertare se i M. si fossero limitati ad avanzare richieste di soggiorno o a svolgere pratiche di emersione sulla base di documentazione attestante i falsi rapporti di lavoro avendo conoscenza di tale dato o concorrendo attivamente in altra e diversa fase.
Anche l’assenza di dolo specifico escludeva la sussistenza del fatto non ricorrendo nella specie e per ritenere la fattispecie di favoreggiamento, l’imposizione di condizioni fortemente onerose a carico degli stranieri.
3.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione di legge e degli artt. 416 cod. pen. 192 e 533 cod. proc. pen. oltre che il vizio di motivazione.
La sentenza impugnata aveva confuso la sussistenza di un mero concorso nel reato da un’ipotesi di reato plurisoggettivo, trascurando gli insegnamenti della Corte di legittimità. In questa logica era viepiù evidente l’errore in cui era incorso il giudice di merito nello scrutinio della posizione del M.R., mosso dall’unico intento di aiutare il figlio, con la conseguenza che non gli sarebbe stato ascrivibile alcun contributo associativo.
3.3. Con altro motivo nell’interesse del solo M.G. si assume la violazione dell’art. 346 cod. pen. e il vizio di motivazione. Si deduce la mancanza della prova e la insussistenza del fatto già solo per l’entità esigua della somma pari ad euro 100, che l’imputato si era fatto promettere millantando credito e assumendo di doverla corrispondere come regalo a un poliziotto della Questura di Bergamo per accelerare la pratica.
3.4. Con l’ultimo motivo si lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Le riconosciute circostanze attenuanti generiche si sarebbero dovute ritenere prevalenti sulle aggravanti. Ancora, la condotta processuale anteatta avrebbe permesso ai sensi dell’art. 133 cod. pen. di contenere nei minimi il trattamento sanzionatorio.
Osserva in diritto
1. E’ fondato il primo motivo di ricorso sulla qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo b) della rubrica. Infondati risultano, al contrario, gli altri motivi che devono essere respinti per quanto si passa ad esporre, con eccezione delle questioni afferenti al trattamento sanzionatorio che sarà oggetto di rivalutazione, in ragione della anzidetta riqualificazione.
2. E’ infondata, innanzitutto, la censura sviluppata al secondo motivo di ricorso. Essa è relativa alla violazione dell’art. 416 cod. pen., lamentando i ricorrenti come il giudice a quo abbia confuso gli elementi strutturali di un concorso di persone nei reati da quelli che caratterizzano, diversamente, il fatto associativo a struttura plurisoggettiva necessaria. In questa logica si assume essere stata erroneamente richiamata la serialità e il numero di pratiche svolte per inferire l’esistenza del delitto associativo, senza, piuttosto, porre l’attenzione sulla sussistenza di un accordo criminale stabile tra i concorrenti.
Contrariamente a quanto dedotto, la decisione impugnata si è soffermata sull’esistenza di una struttura stabile tra i diversi aderenti, sottolineando come il consesso avesse operato nel tempo in maniera continuativa. In questa logica sono stati richiamati i dati che emergevano dalle intercettazioni delle conversazioni telefoniche e dalla documentazione sequestrata. Ciò non in funzione di inferire dalla semplice reiterazione di fatti delittuosi il delitto associativo, ma in funzione di ritenere che da essi fatti si dovesse necessariamente postulare un accordo con crismi di stabilità tra i concorrenti, accordo di cui dava conto il numero elevato di reati-fine e la frequenza dei rapporti in questo contesto tra i singoli soggetti. Elementi siffatti descrivevano un’adesione ad un gruppo strutturato con reciproca consapevolezza, da parte di ciascuno, di esserne parte. La Corte territoriale si è anche confrontata con gli argomenti sviluppati nell’atto di appello sul tema della suddivisione dei ruoli, chiarendo la portata, in questo contesto, del contributo di M.R., avvocato, che -pienamente al corrente dei fatti e della illiceità dell’attività – contribuiva alla gestione stabile della struttura, seguendo dal punto di vista legale le singole pratiche e curandone l’esito, non per dare un solo contributo al figlio, ma cooperando con costui e con gli altri aderenti al perdurare della compagine stessa.
Non coglie nel segno, pertanto, neppure la dedotta e affermata impossibilità di configurare il delitto associativo per i motivi sviluppati in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti. A parte quanto a breve si avrà modo di dire specificamente sul tema, va posto in rilievo che la questione affrontata anche dalla difesa, in punto qualificazione giuridica, non mette in discussione la sussistenza dei fatti penalmente rilevanti, che la Corte territoriale ha, comunque, valorizzato per inferire l’esistenza della struttura associativa. In realtà, la sussistenza dei delitti è stata correttamente ritenuta ed essi sono stati accertati nel nucleo essenziale del relativo disvalore. Ha errato, piuttosto, la Corte territoriale, in punto di sola qualificazione giuridica e nella individuazione del criterio selettivo, impiegato per ricondurre l’una e l’altra fattispecie ora al paradigma di incriminazione di cui all’art. 12 comma 1 e 3 ora a quello di cui all’art. 12 comma 5 d. lvo. 286/1998. In questa logica, invero, si è adottato, in funzione della distinzione, un elemento “esterno” alle fattispecie stesse, coincidente con il diverso tipo di procedimento amministrativo instaurato, per la legittimazione a fare ingresso e/o a permanere, da parte dello straniero, sul territorio dello Stato, come a breve si avrà modo di spiegare. Questo aspetto, tuttavia, non esclude, come lamentato, in nuce e nella relativa storicità i fatti delittuosi ricostruiti e la ripetuta e stabile reiterazione in attuazione di un programma che aggregava più soggetti operanti nella piena consapevolezza di aderire ad una struttura superindividuale e di realizzare un programma comune teso a durare nel tempo, oltre ed a prescindere dal compimento della singola condotta conforme a fattispecie legale.
3. Inammissibile è il terzo motivo di ricorso, relativo alla condotta di millantato credito. Con essa doglianza si deducono, in maniera assolutamente generica, aspetti privi del crisma di decisività, avendo questa Corte già spiegato che il delitto di specie si fonda anche sulla semplice ostentazione della possibilità di influire sulla persona del pubblico ufficiale facendolo, appunto, apparire come persona “avvicinabile”, anche a prescindere dal fatto che egli pubblico ufficiale risulti effettivamente individuato. La norma, infatti, tutela la funzione amministrativa e il regolare andamento del dispiegarsi dell’azione, attraverso il suo regolare sviluppo nella sede tipica del procedimento amministrativo. Deriva che oggetto della tutela è il prestigio della P.A. e la condotta perseguita è costituita dall’essersi l’agente vantato di potersi inserire nella pubblica attività per inquinarne il regolare svolgimento (Sez. 1, n. 36676 del 14/06/2013, Rv. 256885).
4. Fondata è, contrariamente, la doglianza sviluppata al primo motivo di ricorso nella parte che riguarda la corretta qualificazione giuridica dei fatti di cui all’art. 12 del d. lvo 286/1998. In estrema sintesi deve osservarsi che l’errore di diritto che caratterizza la decisione impugnata si fissa sul criterio discretivo tra la fattispecie di cui all’art. 12 comma 1 e 3 (del cd. favoreggiamento dell’ingresso) e la fattispecie di cui all’art. 12 comma 5 d. Igs. 286/1998 (cd. favoreggiamento della permanenza).
Il giudice a quo ha dato conto della falsità dei contratti relativi e dello scopo di lucro da parte degli imputati, sin dall’anno 2012, epoca in cui era già emerso che le pratiche di emersione erano svolte dietro corrispettivo in denaro. Sulla qualificazione giuridica dei fatti, tuttavia, la Corte territoriale ha ceduto a una semplificazione. Ha introdotto, invero, come criterio proteso a distinguere le ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso illegale da quelle di favoreggiamento della permanenza illegale, il tipo di istanza amministrativa e di pratica impostata per la relativa regolarizzazione della posizione dello straniero extracomunitario. Là dove, vi fosse stata richiesta di permesso di soggiorno ha ritenuto di configurare l’ipotesi di cui all’art. 12 comma 1 e 3 e nei casi relativi alle pratiche di emersione, ai sensi della legge n. 102/2009 e del D. L.vo 189/2012 ha ritenuto l’ipotesi di favoreggiamento della permanenza.
In realtà, in punto di tipicità, si comprende come le due fattispecie risultino sensibilmente diverse. La prima tende a punire impiegando un paradigma, a cd. consumazione anticipata, le condotte dei soggetti che compiono atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato. Ciò postula che il soggetto non sia ivi presente e non abbia titolo a far ingresso e permanere. Contrariamente, per colui che si trovi già sul territorio dello Stato, irregolarmente e che abbia la possibilità di regolarizzare detta posizione, secondo le normative vigenti, la condotta finalizzata a favorire la permanenza nell’anzidetta condizione è punibile ai sensi della disposizione che incrimina il favoreggiamento dell’immigrazione ex art. 12 comma 5 d. lvo cit. Si comprende, allora, come l’aspetto che inerisce alla pratica amministrativa presentata (istanza volta a ottenere il permesso di soggiorno ovvero la regolarizzazione in funzione dell’emersione) non trovi fondamento nella tipicità dei rispettivi fatti normativi. Né gli elementi anzidetti, estranei al paradigma legale, ex se, possono assolvere una funzione “processuale” integrativa che tenga luogo in maniera autosufficiente della prova strutturale del fatto, in guisa da concorrere a definirne la dimensione sostanziale e ad operare da criterio di discrimine tra l’una e l’altra fattispecie.
L’accertamento da eseguire, dunque, posto il distinguo concettuale tra i due fatti segue un criterio diverso di carattere empirico, strettamente legato alla posizione del cittadino extracomunitario sul territorio dello Stato, al momento della condotta. Occorre cioè verificare se il soggetto sia stato o meno presente e se la condotta sia stata volta a porre in essere atti diretti a procurare il suo ingresso (ipotesi in cui sarà punibile ai sensi dell’art. 12 comma 1 e 3 d. cit) ovvero se, il soggetto stesso, già presente sul territorio, sia stato favorito attraverso condotte che ne hanno agevolato la semplice permanenza, che segue alla presenza del cittadino extracomunitario, presenza che si concretizza autonomamente e a prescindere dalla condotta dell’agente.
Il tipo di atto amministrativo presentato e l’istanza depositata possono indubbiamente presentare una valenza indiziaria e di orientamento nella lettura dell’accertamento in fatto, ma non possono assurgere a criterio che ipso facto permette di recuperare la condotta all’una o all’altra fattispecie. Nella specie, dunque, la decisione impugnata deve essere annullata con rinvio in punto di qualificazione giuridica. Il giudice del rinvio verificherà sballa luce degli elementi a disposizione e del quadro istruttorio acquisito per ciascuna delle posizioni dei soggetti extracomunitari, le condotte poste in essere debbano essere recuperate all’una o all’altra fattispecie, secondo l’enunciato criterio.
Alla luce di quanto premesso la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di cui al capo b), con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di assise di appello di Milano. I ricorsi vanno respinti nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo b) e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di assise di appello di Milano. Rigetta i ricorsi nel resto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 11570 depositata il 7 aprile 2020 - Ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, peraltro, legittimamente il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo,…
- DECRETO-LEGGE 10 maggio 2020, n. 29 - Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 agosto 2022, n. 23974 - I contratti di assunzione dei docenti di religione non di ruolo nella scuola pubblica hanno durata annuale e sono soggetti a conferma automatica, secondo le previsioni della contrattazione…
- INPS - Messaggio 04 giugno 2020, n. 2327 - Presentazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 103 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, da parte di datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero cittadini…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 44170 depositata il 3 novembre 2023 - Le violazioni di cui aò d.lgs. n. 74/2000 trattandosi di reati e, dunque, dell'esercizio della giurisdizione penale, la sussistenza del "reato tributario", sotto…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 19595 depositata il 10 maggio 2023 - L'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un'attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…