Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 39832 depositata il 27 settembre 2019
Condominio – Reati in condominio – Reato di peculato – Parcheggio auto di servizio in area condominiale
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Genova, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero, ha disposto la misura interdittiva della sospensione di Z.A.R. dal pubblico ufficio di dirigente scolastico per la durata di 12 mesi in relazione al reato di peculato ex art. 314 c.p., comma 1.
1.1. Il G.i.p. aveva, invece, rigettato la richiesta di misura cautelare, ritenendo la condotta ascritta all’indagata riconducibile all’ipotesi di peculato d’uso per la quale, in considerazione della pena edittale, non è consentita alcuna misura coercitiva.
1.2. Si contesta all’indagata, dirigente scolastico supplente dell’U.S. (OMISSIS), che aveva la disponibilità dell’autovettura di servizio dell’Istituto, di essersi appropriata della stessa, utilizzandola quotidianamente in modo esclusivo per ragioni personali, parcheggiandola, anche in orari notturni, nel condominio della propria abitazione e distraendo quindi la stessa dagli scopi istituzionali (ad esempio missioni a Genova da parte dei colleghi che si sono trovati costretti a utilizzare il mezzo proprio). Da ultimo veniva sorpresa dai militari, impegnati in servizio di osservazione pedinamento controllo, rientrare nel territorio italiano da (OMISSIS) nel pomeriggio del (OMISSIS) allorché venne arrestata.
2. La ricorrente, con motivi affidati al difensore di fiducia e di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p. chiede l’annullamento della ordinanza impugnata perché inficiata da plurimi vizi di violazione di legge e motivazionali. Denuncia, in particolare:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 273 c.p.p. e art. 314 c.p. per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
La autovettura in questione non è mai stata utilizzata dagli studenti e dai loro professori ai fini didattici, come invece sostenuto dal Pubblico ministero nell’atto di appello, non essendo compresa tra le dotazioni didattiche dell’Istituto elencate nella originaria convenzione tra la Toyota Motors e l’Istituto (OMISSIS) prodotta dalla difesa della ricorrente. I giudici del riesame hanno glissato sul punto tanto da far degradare a livello di irrilevanza un aspetto ritenuto fino a quel momento centrale.
Il Collegio della cautela fa assurgere a punto nodale della questione il mancato quotidiano parcheggio dell’auto nel piazzale dell’Istituto di (OMISSIS) al termine del suo utilizzo; in realtà l’indagata mai, da Preside, ha agito uti dominus sull’auto poiché era a tutti nota sia la temporaneità dell’uso dell’autovettura sia la permanenza della stessa nella disponibilità dell’Istituto, o meglio, di coloro che, avendone necessità, avrebbero potuto farne richiesta. Sfugge al Tribunale del riesame la circostanza che nel caso in questione era l’indagata, nella sua veste di Preside dell’istituto, l’unica a poter autorizzare l’utilizzo dell’auto.
Difetta la coscienza e volontà in capo alla ricorrente di servirsi del bene come cosa propria: la predetta ha utilizzato per un limitato e contingente periodo di tempo l’autovettura della scuola principalmente per lo spostamento tra i plessi scolastici e per fare fronte alle esigenze personali e transitorie conseguenti alla distruzione della propria autovettura a seguito di un grave incidente verificatosi
nel febbraio del 2019. Ma anche se si accedesse alla impostazione dei giudici del riesame, il possesso dell’autovettura non potrebbe essere considerato ininterrotto per la durata di due mesi, come ritenuto erroneamente nell’ordinanza impugnata per il solo fatto che l’autovettura nelle ore notturne fosse parcheggiata sotto l’abitazione della ricorrente in Sanremo, in quanto nel corso della giornata la stessa veniva utilizzata per i compiti istituzionali, recandosi nelle sedi dell’istituto (OMISSIS) (una a (OMISSIS) e una a Sanremo), interrompendo cosi’ la continuità della interversione del possesso. è emerso che l’autovettura portava sulle fiancate le scritte e il logo dell’Istituto, che le seconde chiavi erano sempre a scuola, che pacificamente la ricorrente ha sempre provveduto a proprie spese ai rifornimenti di carburante, al pagamento dei pedaggi autostradali e dei parcheggi dell’autovettura, oltre a quanto già evidenziato in ordine al fatto che a tutti i docenti e dipendenti dell’istituto (OMISSIS) era noto sia che la Preside, a causa dell’incidente occorso, avrebbe utilizzato l’auto per un breve periodo di tempo, sia che la medesima vettura sarebbe rimasta comunque a disposizione di colui che ne avesse avuto la necessità e che avesse inoltrare la domanda al fine di essere autorizzato.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla insussistenza delle esigenze cautelari.
Non sussistono le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a).
La circostanza che l’indagata, successivamente alla propria scarcerazione, abbia presentato al personale interno dell’Istituto formali richieste di accesso agli atti, oltre che di chiarimento in merito a taluni aspetti di cui la stessa era venuta a conoscenza solo a seguito dell’arresto, rappresenta una semplice esplicazione del diritto di difesa. Del resto, è lo stesso Tribunale del riesame a precisare che non c’era null’altro da accertare per delineare il comportamento della Z. nei dovuti termini di una condotta di peculato.
Quanto al pericolo di reiterazione dei reati, il Tribunale del riesame si sofferma sul carattere dell’imputata, animata da una manifesta volontà vendicativa nei confronti di chi l’aveva denunciata. In realtà l’oggetto del decidere è l’indebito uso dell’autovettura Toyota Corolla da parte della ricorrente e non certo i suoi atteggiamenti autoritari nei confronti dei sottoposti che appaiono penalmente irrilevanti.
3. In data 1/07/2019 è pervenuta memoria da parte del Pubblico ministero di (OMISSIS) nella quale si evidenzia che la circostanza sottolineata dalla Z. nel proprio ricorso relativa al fatto che la autovettura in questione non era mai stata utilizzata per fini didattici, come attestato nella “relazione D.” (nella quale si da atto di avere consultato i tecnici che operano nel laboratorio della scuola), è smentita proprio dalle dichiarazioni di uno dei tecnici, O.N. il quale era stato sentito dai Carabinieri nel corso delle indagini prima che la D. redigesse le sue memorie e poi escusso dal PM. In tale circostanza aveva dichiarato che gli alunni dell’Istituto si esercitavano sulla Toyota Corolla in questione la quale era custodita in officina prima che la Z. iniziasse ad utilizzarla per fini personali tra il mese di gennaio e quello di febbraio, rendendola cosi’ indisponibile (lui stesso, quando era stato allievo dell’istituto, la aveva utilizzata per fini didattici). Il teste aveva altresi’ dichiarato che l’altra autovettura Toyota Auris non era una autovettura della scuola, ma una autovettura ricevuta in concessione sulla quale non potevano essere effettuati interventi invasivi, ma solo la lettura delle centraline tramite computer. Sulla autovettura Corolla, invece, erano sempre state effettuate esercitazioni pratiche degli studenti: tagliandi di manutenzione, sostituzioni di parti, smontaggio e ri’montaggio di componenti. Il teste ha ricordato che la Z., dieci giorni prima del suo arresto, lo chiamo’ per chiedergli di sistemarle il pianale posteriore della Toyota Corolla che si era staccato e che lei non sapeva rimettere a posto; in tale occasione ebbe modo di constatare che la autovettura era nella sua disponibilità.
Ritiene il Pubblico ministero che le dichiarazioni sopra richiamate rendano ancora piu’ evidente il pericolo di inquinamento probatorio evidenziato nell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
2. Il Collegio, pur nella consapevolezza di un diverso e minoritario orientamento giurisprudenziale (vedi ex plurimis Sez. 6, n. 14040 del 29/01/2015, Soardi, Rv. 262974), ritiene che integri il reato di peculato, e non già quello di peculato d’uso, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizza reiteratamente l’autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata, atteso che tale condotta si risolve nell’appropriazione di un bene della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 13038 del 10/03/2016, Bertin, Rv. 266191).
3. Deve evidenziarsi che le S.U. nella sentenza n. 19054 del 2013, ric. Vattani – affrontando il caso peculiare dell’uso indebito del telefono d’ufficio hanno ribadito che “la condotta di “appropriazione” identifica il comportamento di chi fa propria la cosa altrui, mutandone il possesso, con il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti a quelli riferibili al proprietario” e hanno osservato che la espunzione dal testo dell’art. 314 c.p., comma 1, della parola “distrazione” operata dalla novella introdotta dalla L. n. 86 del 1990, “non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall’agente pubblico nell’area di rilevanza penale dell’abuso di ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato”.
La sentenza Vattani ha, quindi, definito la ipotesi del peculato d’uso connotata dalla finalità dell’agente quale elemento specializzante – secondo una condotta “intrinsecamente diversa da quella del comma 1, in quanto l’uso momentaneo, seguito dalla restituzione della cosa, non integra un’autentica appropriazione, realizzandosi quest’ultima, solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa”. E ha rilevato come la nozione di restituzione venga intesa “in modo assai rigoroso dalla giurisprudenza, per la quale tra la cessazione dell’uso momentaneo e la restituzione deve intercedere il tempo minimo necessario e sufficiente, in concreto, per la restituzione medesima; al riguardo non è possibile fissare un rigido criterio cronologico, ma è necessario che le due attività (ossia, l’uso e la restituzione) si pongano in un continuum dell’operato dell’agente: occorre, cioè, che egli, dopo l’uso, non compia altra attività che non siano quelle finalizzate alla restituzione”. Ha, infine, aggiunto che “l’intenzione di restituire la cosa immediatamente dopo l’uso momentaneo deve essere presente fin dall’inizio: non si tratta, infatti, di un peculato proprio, che successivamente si trasforma, per effetto dell’uso momentaneo e della restituzione della cosa, in peculato d’uso, bensi’, sin dall’origine, di un fatto caratterizzato dal contenuto intenzionale del reo”.
4. Ritiene il Collegio che la sentenza delle S.U. Vattani attribuisca alla nozione di appropriazione una ampia valenza e che, pertanto, essa non debba ritenersi coincidente necessariamente con l’alienazione del bene o la sua consumazione, essendo sufficiente a realizzare l’appropriazione l’esercizio su di essa di un potere uti dominus che non corrisponda al titolo per la quale la cosa stessa è nella disponibilità dell’agente, tale da realizzare l’espropriazione, ovvero l’uscita del bene dalla disponibilità della pubblica amministrazione che ne è titolare.
Il relativo accertamento è sottratto al vaglio di legittimità se congruamente motivato, rilevando – a tal fine – la sistematica reiterazione dell’uso abusivo che l’agente faccia del medesimo bene e non essendo decisivo il conseguente consumo del carburante che – invece – va valutato ai fini della quantificazione del danno.
5. Diversa è l’ipotesi prevista dall’art. 314 c.p., comma 2, la quale è caratterizzata – sotto il profilo oggettivo – dall’uso momentaneo e dalla immediata restituzione del bene e – sotto quello soggettivo – dal correlativo contenuto intenzionale.
Si è anche ripetutamente sostenuto che l’utilizzo dell’auto di servizio per fini privati integra il reato di peculato e non quello di peculato d’uso, in quanto tale condotta è vietata in assoluto, dovendosi presumere l’esclusiva destinazione del bene a uso pubblico in assenza di provvedimenti che consentano puntuali e documentate deroghe a tale impiego (Sez. 6, n. 26330 del 21/05/2019, Pisacane, Rv. 276218; Sez. 3, n. 57517 del 27/09/2018, Romano, Rv. 274679).
6. Alla luce del principio di diritto enunciato, questa Corte ritiene che la fattispecie in esame sia stata correttamente qualificata – sulla base di una ricostruzione in fatto priva di vizi logici e giuridici – quale peculato ex art. 314 c.p., comma 1, in ragione dell’avvenuta appropriazione della autovettura di servizio da parte della indagata, per il suo utilizzo quotidiano, continuativo e sistematico – in un arco temporale di due mesi, per ragioni estranee all’ufficio di dirigente scolastico che la predetta ricopriva.
7. Il Tribunale del riesame di Genova ha dato corretta applicazione dei principi di diritto sopra esaminati, sottolineando come l’autovettura intestata all’Istituto (OMISSIS) sia risultata a completa disposizione della indagata (la quale prestava servizio presso l’Istituto (OMISSIS) in ragione di una sola volta alla settimana), dopo che questa aveva avuto un incidente con la sua autovettura privata.
La Toyota Corolla, infatti, era impiegata – oltre che per il quotidiano percorso casa-ufficio – per recarsi dalla propria abitazione ai diversi istituti scolastici presso i quali prestava servizio, per poi essere lasciata nuovamente parcheggiata nel condominio di residenza anche di notte.
Deve, sul punto, sottolinearsi che l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato che configura come peculato d’uso l’indebito utilizzo della autovettura di servizio non si pone in netta contrapposizione con i principi richiamati nella presente sentenza, posto che quell’orientamento prende in considerazione unicamente le condotte – piu’ o meno reiterate nel tempo (talvolta anche per periodi di mesi) – ma sempre consistite in un utilizzo della vettura seguito ogni volta dalla restituzione della stessa. Nel caso di specie risulta, invece, che l’indagata non ha mai restituito la stessa alla scuola.
Come puntualmente sottolineato dal Tribunale del riesame, la Z. ha consentito, inoltre, l’impiego dell’autovettura anche al compagno: (OMISSIS) i due si sono recati presso l’ospedale di (OMISSIS) e durante il tragitto la Toyota Corolla ha subito un danno la ruota anteriore sinistra, tanto da rendere necessario l’intervento di un carro attrezzi il cui costo, anticipato dalla ricorrente, e poi stato chiesto in rimborso all’Istituto (OMISSIS).
Il Tribunale ha del resto spiegato, con una trama motivazionale dotata di elevata logicità, perché il fatto di essersi recata con l’autovettura a (OMISSIS) (come accertato dai servizi di O.c.p.) e comunque in luoghi estranei a fini istituzionali configuri il reato di peculato.
7.1. Dunque, la prevenuta non solo si è appropriata di una cosa mobile avuta in ragione dell’ufficio svolto, ma ha anche distratto il bene stesso, utilizzando l’autovettura per ragioni meramente personali.
A tal proposito, come sopra già evidenziato, la giurisprudenza consolidata, ha ricompreso la condotta di “distrazione” nel piu’ ampio concetto di “appropriazione” in ragione del fatto che imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (cosi’ Sez. 6, n. 25258 del 04/06/2014, Cherchi, Rv. 260070).
7.2. La stessa indagata ha ammesso di aver utilizzato la macchina anche per acquistare beni personali di prima necessità; l’indagata si è giustificata dicendo di aver sempre pagato con i propri soldi il carburante.
è attuale l’orientamento della Corte di legittimità secondo il quale la natura plurioffensiva del reato di peculato implica che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse protetto dalla norma, diverso da quello patrimoniale, cioè quello del buon andamento della pubblica amministrazione (in tal senso, tra le tante, Sez. 6, n. 29262 del 17/05/2018, C., Rv. 273445).
Il Tribunale del riesame si è adeguato a tale regula iuris, sottolineando correttamente l’irrilevanza, ai fini’ della configurabilità del reato, del pagamento del carburante.
8. Deve, infine, evidenziarsi che se effettivamente l’ordinanza impugnata non si sofferma a motivare sulla durata della condotta dell’imputata, come sottolineato in udienza dalla difesa, tale censura non è stata formulata nei motivi di ricorso ed è, pertanto, inammissibile.
Sono, del pari, inutilizzabili le integrazioni fatte pervenire dal Pubblico ministero, avendo una valenza “di fatto” che riguarda elementi sopravvenuti all’emissione dell’ordinanza.
9. Quanto alle esigenze cautelari, la motivazione contenuta nella ordinanza impugnata possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo il Tribunale del riesame analiticamente spiegato come il comportamento dell’indagata – la quale, dopo essere stata scarcerata, ha condotto sull’accaduto una minuziosa istruttoria pro domo sua, minacciando di licenziamento alcuni dipendenti e ha adottato provvedimenti ritorsivi quali la revoca della nomina di un docente a suo primo collaboratore, in considerazione della posizione critica assunta dallo stesso riguardo all’indebito utilizzo della autovettura – sia indicativo sia del pericolo di inquinamento probatorio che del pericolo di reiterazione del reato.
10. Il ricorso dell’indagata deve, pertanto, essere rigettato, con conseguente condanna della predetta al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..
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