Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 40276 depositata il 2 ottobre 2019

Lavoro – Sicurezza sul lavoro – Rapporto di lavoro – Infortunio sul lavoro – Responsabilità datore di lavoro – Nomina del preposto – Obblighi

FATTO

1. La corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’appello proposto dall’imputato A.N., condannato dal Tribunale in abbreviato alla pena sospesa di un anno e quattro mesi di reclusione per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro ai danni di F.E., ha riformato la sentenza di condanna assolvendo l’imputato dal reato ascrittogli per non avere commesso il fatto.

2. Questa, in sintesi, la vicenda.

Il 13/05/2014, la F.E. – nel corso di un’operazione di posa di manto stradale in asfalto – aveva attraversato la strada in corrispondenza della parte posteriore di un compressore stradale a due rulli che stava procedendo in retromarcia, dal quale veniva investita riportando lo schiacciamento dell’arto inferiore sinistro, lesione dalla quale derivava la sua morte il successivo 28/08/2014.

L’odierno imputato era stato chiamato a rispondere dell’infortunio nella qualità di presidente del CdA della A.N. S.p.A., esecutrice dei lavori e proprietaria del mezzo investitore.

3. La sentenza è stata impugnata con ricorso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, il quale ha formulato un unico, articolato motivo, deducendo vizio della motivazione sotto distinti profili.
In primo luogo, ha rilevato il difetto della motivazione in ordine alla efficacia della delega di funzioni rilasciata al preposto, negata dal primo giudice per carenza dei requisiti di forma (data certa e attribuzione di autonomia di spesa in capo al delegato), essendosi trattato, nella specie, della semplice nomina del R.M. (coimputato che ha definito separatamente la sua posizione con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. al pari di R.A., conducente del macchinario) quale preposto.

Sotto altro profilo, il ricorrente ha rilevato la insufficiente valutazione in ordine alla esigibilità del comportamento alternativo lecito in relazione alla effettiva complessità aziendale, avuto riguardo alle condizioni generali di sicurezza del cantiere mobile di che trattasi, la cui valutazione non potrebbe essere rimessa alla figura del preposto, considerati i lavori da svolgersi (posa di asfalto) e le richieste di autorizzazioni al transennamento da formulare all’ente territoriale di riferimento; ma anche con riferimento all’oggetto sociale, riguardante proprio l’attività di posa del manto stradale, con la conseguenza che l’organizzazione del cantiere rientra nell’organizzazione gestionale propria della figura datoriale.
Inoltre, il ricorrente ha rilevato un profilo di illogicità della motivazione nella parte in cui la corte territoriale sembra aver ritenuto necessaria la prova di un’azione, tradottasi in un ordine illegittimo da parte dell’imputato (indicazione di omettere ogni segnalazione del cantiere stradale o rifiuto di dotare i lavoratori degli strumenti necessari quali segnaletica o recinzioni) in ipotesi di reato omissivo improprio.

Infine, ha rilevato un’altra aporia nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, avuto riguardo all’affermazione secondo cui al momento dell’acquisto il macchinario era regolare, indicativa del fatto che il giudice d’appello non avrebbe tenuto in conto gli obblighi datoriali nell’ambito delle misure di sicurezza da adottare, tra i quali quello di manutenzione delle attrezzature di lavoro, come espressamente disposto dall’art. 71 co. 4 d.lgs. 81/08.

4. Con memoria depositata il 03 settembre 2019, la difesa dell’imputato ha formulato proprie deduzioni atte a confutare i motivi di ricorso, concludendo per la inammissibilità dello stesso o, in subordine, il suo rigetto.

 DIRITTO

1. Il ricorso va accolto.

2. La corte bresciana ha ritenuto che il Tribunale non avesse sufficientemente considerato il ruolo dell’imputato nella società, avuto riguardo ai profili di colpa specificamente contestati, vale a dire l’utilizzo scorretto del compressore e l’omessa installazione di misure atte a impedire l’accesso di estranei all’area del cantiere stradale.

Proprio con riferimento a tale ultimo profilo, quel giudice ha ritenuto che l’imputato, nella qualità, non svolgeva la sua attività sulla strada, né predisponeva le segnalazioni relative ai cantieri stradali e alla movimentazione dei mezzi pesanti, compiti propri di altra figura di garanzia (il preposto). Sicché, la sua responsabilità avrebbe potuto essere riconosciuta solo nel caso in cui egli avesse ordinato di omettere le segnalazioni o avesse messo i lavoratori in condizione di non segnalare i lavori in corso.

Quanto alle caratteristiche del rullo compressore (privo di specchietti, giro-faro e segnalatore acustico), inoltre, la corte territoriale ha rilevato che il mezzo non era ab origine inidoneo ad essere impiegato, ma era diventato irregolare successivamente, senza che fosse stato dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che l’imputato fosse in condizioni di verificarne il funzionamento, date le dimensioni della società, con sedi in più parti d’Italia, atteso che l’A.N. non utilizzava il mezzo in questione e quindi poteva conoscerne la inadeguatezza solo ove fosse stato allertato dal conducente o dal preposto, informazione che non risulta essere stata processualmente dimostrata.

3. Il motivo è fondato.

Il caso impone la verifica della valutazione giudiziale in punto posizione di garanzia e obblighi del datore di lavoro, quale incontestabilmente è stato ritenuto l’A.N. nella qualità. Tale valutazione è stata condotta dalla corte territoriale in maniera giuridicamente non corretta.

3.1. Alla accertata qualità di datore di lavoro dell’imputato, infatti, il tribunale ha ricondotto obblighi astrattamente ricollegabili a quella posizione. Al predetto è stato contestato di avere consentito l’impiego di un macchinario inadeguato e di non avere predisposto la recinzione del cantiere temporaneo e mobile presso il quale è avvenuto l’infortunio.

Trattasi di due obblighi espressamente contemplati dalla legge: l’art. 71 co. 4 d.lgs. 81/08, infatti, prevede che il datore di lavoro deve, tra l’altro, adottare le misure necessarie affinchè le attrezzature di lavoro siano oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all’art. 70…>>; l’art. 108 stesso d.lgs., inoltre, con specifico riferimento ai cantieri, prevede che durante i lavori deve essere assicurata la viabilità delle persone e dei veicoli, laddove il successivo art. 109 stabilisce che il <<cantiere, in relazione al tipo di lavori effettuati, deve essere dotato di recinzione avente caratteristiche idonee ad impedire l’accesso agli estranei alle lavorazioni>.

3.2. Con il ragionamento svolto a giustificazione della decisione, la corte ambrosiana sembra aver ritenuto operativa una delega delle specifiche funzioni in esame al preposto e, sul versante prettamente soggettivo, la inesigibilità del comportamento alternativo lecito in capo al titolare della posizione di garanzia.
Entrambi gli assunti sono fallaci, alla luce dei principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.

3.3. Sotto il primo profilo, infatti, si è già chiarito che nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 8118 del 01/02/2017, O., Rv. 269133, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato).

Giovi inoltre considerare che – in tema di infortuni sul lavoro – indipendentemente dalla esistenza o meno della figura del preposto – la cui specifica competenza è quella di controllare l’ortodossia antinfortunistica dell’esecuzione delle prestazioni lavorative per rapporto all’organizzazione dei dispositivi di sicurezza – il datore di lavoro risponde dell’evento dannoso laddove si accerti che egli abbia omesso di rendere disponibili nell’azienda i predetti dispositivi di sicurezza (cfr. sez. 4 n. 21593 del 02/04/2007, B., Rv. 236725). Egli, peraltro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’alt. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro [cfr. sez. 4 n. 4361 del 21/10/2014 Ud. (dep. 29/01/2015), O., Rv. 263200].

Peraltro, in ordine alla ripartizione degli obblighi di prevenzione tra le diverse figure di garanti nelle organizzazioni complesse, il supremo collegio di questa corte ha definitivamente chiarito che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere sì trasferiti (con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante), a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (cfr. sez. unite n.38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., E. e altri, Rv. 261108).

Anche più di recente, del resto, si è affermato il principio, che costituisce diretta applicazione di quelli già richiamati, che – in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro – qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione [cfr. sez. 4 n. 6507 dell’l 1/01/2018, C., Rv. 272464; già in precedenza cfr. sez. 4 n. 18826 del 09/02/2012, P., Rv. 253850 (proprio in un caso in cui era stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto)].

Con riferimento alla esatta individuazione del garante in tali specifiche ipotesi, si è pure chiarito che il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli [cfr. sez. 4 n. 26294 del 14/03/2018, F. G., Rv. 272960 (in un caso di prassi “contra legem”, instauratasi con il consenso del preposto, foriera di pericoli per gli addetti, in cui il datore di lavoro sia venuto meno ai doveri formazione e informazione del lavoratore e abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi)].

Nella specie, risulta dalla sentenza appellata che l’infortunio è stato diretta conseguenza dell’investimento della vittima; che il rullo era privo di presidi atti a scongiurare l’investimento, avvenuto proprio nel corso di una manovra di retromarcia; e che l’area di lavoro non era stata delimitata, né interdetta al transito pedonale. Il che pone l’infortunio quale diretta concretizzazione del rischio generato dalla omessa vigilanza sulla manutenzione dell’apparecchiatura e dalla mancata interdizione del sito. Infine, nessuna delega, valida secondo i principi sopra richiamati, era stata conferita al preposto, sul punto avendo pure il Tribunale conclusivamente, quanto correttamente, rilevato la mancata osservanza dell’obbligo datoriale di vigilare sul soggetto delegato, tenuto conto delle caratteristiche dell’azienda e delle sue dimensioni, parimenti esaminate dal primo giudice.

3.3.1. Orbene, la corte territoriale ha del tutto omesso di esaminare la posizione di garanzia datoriale con specifico riferimento agli obblighi espressamente indicati nel capo d’imputazione, ritenendo – in maniera del tutto avulsa dal sistema normativo antinfortunistico – che la responsabilità di tale garante richiedesse una condotta attiva (ordine di omettere la segnaletica e gli appositi presidi interdittivi) o l’utilizzo personale del macchinario non munito dei necessari accessori, in tal modo omettendo di scrutinare la componente normativa della responsabilità colposa e di valutare dunque la condotta inosservante della specifica regola cautelare e la sua funzione preventiva.

3.3.2. Ha poi del tutto omesso di esaminare l’aspetto della questione attinente ai requisiti di una delega valida e di analizzare in chiave critica l’ulteriore argomento utilizzato dal Tribunale per ritenere integrata la violazione contestata nell’imputazione, direttamente collegata alla mancata vigilanza da parte del soggetto delegante sull’attività del delegato, per il caso in cui si volesse considerare valida la delega opposta a difesa.

3.4. Quanto alla esigibilità del comportamento omesso, infine, a fronte della minuziosa disamina del compendio fattuale condotta dal Tribunale (era infatti emerso che con un’ordinanza del 28 aprile 2014 il Corpo di Polizia Municipale aveva addirittura imposto all’impresa di predisporre adeguate protezioni; che il sito lavorativo era costituito da un cantiere mobile per il quale non erano state predisposte recinzioni atte a impedire l’accesso a terzi estranei, essendo stati posizionati solo cartelli di divieto di sosta; che l’impresa non era di enormi dimensioni, né era articolata in diverse attività produttive; che l’imputato, immediatamente contattato dal preposto e dal conducente dopo l’infortunio, si era personalmente recato sul posto e aveva fornito alla ASL la documentazione concernente la sicurezza), la Corte di Milano si è limitata a richiamare la forma societaria dell’impresa (una S.p.A.), la circostanza che la stessa aveva cantieri in varie parti d’Italia e che l’A.N. non usava personalmente il rullo.

3.4.1. Orbene, per quanto attiene al profilo soggettivo della colpa e alla sua valutazione in base alla prevedibilità dell’evento, essa è certamente imposta dalla necessità di scongiurare forme di responsabilità oggettiva.

Per tale motivo, è stato già chiarito che tale valutazione va condotta con riguardo alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione, questa volta, delle sue specifiche qualità personali, rispetto alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (cfr. sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, I. e altro, Rv. 263283; Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., E.e altri, Rv. 261106, cit.) e precisato che, proprio in materia antinfortunistica, una volta compiuta l’indagine causale, il giudice di merito deve procedere, in maniera distinta, all’accertamento in concreto della colpa del datore di lavoro, anche nell’ipotesi in cui la condotta imprudente del lavoratore non soddisfi i caratteri dell’esorbitanza o dell’abnormità, e dunque sia irrilevante in una prospettiva causale (cfr. sez. 4 n. 9200 del 03/12/2013, dep. 2014, C., Rv. 259087).

Nel compiere tale valutazione assume rilievo anche la natura della norma cautelare violata (rigida o dal contenuto comportamentale non rigidamente definito, vedi sul punto sez. 4 n. 57361 del 29/11/2018, P. F., Rv. 274949).

3.4.2. Nel caso all’esame, la Corte d’appello non ha considerato la natura delle norme violate, di contenuto predeterminato; ma neppure valutato la concreta capacità dell’agente di adeguarsi al modello comportamentale da esse delineato, incorrendo pertanto nei vizi evidenziati in ricorso.

4. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per la rinnovazione del giudizio alla luce dei principi di diritto sopra indicati.

 P.Q.M. 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.