Corte di Cassazione. sezione penale, sentenza n. 40415 depositata il 4 ottobre 2023
sequestro preventivo – dissequestro per il pagamento dei tributi sul profitto del reato presupposto
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Roma con il provvedimento impugnato in questa sede, decidendo in sede di giudizio di rinvio (in conseguenza dell’annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13936 dell’ 11 gennaio 2022), ha rigettato l’appello cautelare proposto nell’interesse della S. s.r.l. avverso il provvedimento del G.i.p. presso il Tribunale di Roma dell’ 11 giugno 2021, con il quale era stata rigettata l’istanza di dissequestro parziale dei saldi attivi esistenti sui rapporti finanziari e/o bancari della società ricorrente per
l’importo di € 16.068.665.
2. Per quanto rileva in questa sede, il provvedimento genetico di sequestro preventivo emesso in data 12 febbraio 2021 dal G.i.p. del Tribunale di Roma era finalizzato alla futura confisca (ai sensi degli artt. 19, 25 e 53 d.lgs. n. 231 del 2001) dei saldi attivi esistenti su rapporti finanziari e bancari nella titolarità della S. S.r.l., sino alla concorrenza dell’importo di euro 45.867.042,00; ad esso si era aggiunto un successivo decreto di sequestro preventivo di polizze assicurative per un premio complessivo pari ad euro 25.000.000,00; nella prospettiva della tesi di accusa quei beni avrebbero rappresentato il profitto del reato presupposto di cui all’art. 346 bis cod. pen. (poiché corrispondenti alla quasi totalità delle provvigioni maturate – per 59,705 milioni di euro – e ricevute – per euro 48,876 milioni di euro – da B.M. e A.T., quest’ultimo legale rappresentante della S. S.r.l., per l’attività di mediazione illecitamente svolta nel corso dell’anno 2020, sfruttando relazioni personali con il Commissario Nazionale per l’emergenza Covid, in ordine alle commesse di forniture di dispositivi di protezione individuale ordinate dal Commissario Straordinario ad alcune società cinesi).
Con l’istanza formulata al G.i.p. la società aveva rappresentato che il provento del reato presupposto, contabilizzato nell’anno 2020 e sottoposto a sequestro nel successivo anno 2021, doveva esser assoggettato ad imposizione fiscale (ai sensi dell’art. 14, comma 4, l.n. 537 del 1993); che la società intendeva provvedere al pagamento delle imposte dovute (a titolo di Ires ed Irap) sui profitti conseguiti, imposte quantificate da propri consulenti nella misura di euro 16.068.665, e ciò per evitare l’applicazione delle sanzioni fiscali (pari al 30% delle imposte non versate) e degli interessi di mora, previsti in caso di mancato adempimento delle obbligazioni tributarie; aggiungeva a sostegno della richiesta che la società non aveva disponibilità finanziarie per provvedere a tale adempimento, in ragione dell’intervenuto sequestro, se non attraverso lo svincolo parziale delle somme sequestrate ( e ciò in quanto i ricavi conseguiti nel corso dell’anno 2020 avevano rappresentato, rispetto agli anni pregressi, un evento straordinario, non esistevano disponibilità diverse da quelle sequestrate e allo stato non risultava praticabile l’accesso al credito bancario, anche in ragione dell’entità della pretesa tributaria).
L’appello cautelare avverso il provvedimento negativo del G.i.p. veniva rigettato; la decisione del Tribunale veniva annullata dalla Corte di Cassazione che, dopo aver affermato il principio di diritto secondo il quale il giudice della cautela può autorizzare «il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, per consentire all’ente di pagare le imposte dovute sulle medesime quale profitto di attività illecite, quando l’entità del vincolo reale disposto, pur legittimamente determinato in misura corrispondente al prezzo o al profitto del reato, rischi di determinare, anche in ragione dell’incidenza dell’obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell’esercizio dell’attività dell’ente (…) alla stringente condizione della dimostrazione di un sequestro finalizzato alla confisca che, nella sua concreta dimensione afflittiva, metta in pericolo la operatività corrente e, dunque, la sussistenza stessa del soggetto economico e al solo limitato fine di pagare il debito tributario, con vincolo espresso di destinazione e pagamento in forme “controllate”», nell’annullare il provvedimento emesso dal giudice dell’appello cautelare aveva posto a carico del giudice di rinvio l’onere di accertare, sulla base delle allegazioni delle parti, in primo luogo se la società ricorrente potesse provvedere al pagamento delle imposte dovute (per effetto dell’applicazione dell’art. 14, comma 4, l. 537/1993) sulla base delle risorse disponibili, ovvero ricorrendo al credito bancario; in secondo luogo, se l’inadempimento degli obblighi tributari avesse posto a rischio la stessa continuità nella operatività dell’ente.
3. Ha proposto ricorso la difesa della società deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione agli artt. 34 e 623, comma 1, lett. A), cod. proc. pen., poiché il Tribunale del riesame che aveva deciso in sede di rinvio era composto dal Collegio di cui faceva parte il medesimo giudice che aveva già composto il Collegio che aveva pronunciato il precedente provvedimento annullato dalla Corte di Cassazione; rileva la difesa che il tenore dell’art. 623, comma 1, lett. A) cod. proc. pen. (ove non è prevista la trasmissione all’esito dell’annullamento dell’ordinanza al medesimo ufficio in diversa composizione, escludendosi alcun profilo di incompatibilità e, quindi, di violazione dell’art. 34 cod. proc. pen.) si pone in potenziale conflitto con i canoni costituzionali di ragionevolezza e giusto processo, come già rilevato con l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale del Tribunale di Ravenna ( ordinanza n. 80/2022) che ha sollevato la relativa questione di legittimità costituzionale; l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 623, comma 1, lett. A), cod. proc. pen. impone, pertanto, di apprezzare la violazione dell’art. 34 cod. proc. pen. con la conseguente pronuncia di annullamento dell’ordinanza; la difesa, in ogni caso, chiede – ove la Corte costituzionale non abbia già deciso la questione sollevata – che la Corte voglia disporre la trasmissione degli atti ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale nei termini su indicati.
3.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali, in relazione all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., per difetto di motivazione in relazione agli specifici profili oggetto della pronuncia di annullamento, riguardanti in primo luogo la possibilità per la società di provvedere al pagamento delle imposte dovute sulla scorta delle risorse disponibili, ovvero ricorrendo al credito bancario, nonché in secondo luogo la realizzazione – in conseguenza del mancato adempimento degli obblighi tributari – di condizioni tali da compromettere definitivamente la continuità dell’attività d’impresa; rileva la difesa che il Tribunale del riesame ha formulato in relazione a ciascuno di quei profili mere ipotesi congetturali, senza alcun aggancio a elementi fattuali positivamente individuati ed, anzi, in conflitto con i dati documentali, le razionali progressioni dell’attività aziendale e le regole basilari di esperienza circa le possibilità di accesso al credito da parte di persone giuridiche prive di capacità patrimoniali per effetto dell’imposizione di vincoli cautelari di natura penale, fondandosi esclusivamente su ipotesi (quali quelle di eventuali accordi tra l’impresa e l’amministrazione finanziaria) non sorrette da alcun elemento acquisito agli atti.
4. In data 20 marzo 2023 la difesa ha depositato motivi nuovi di ricorso, con riguardo al contenuto del secondo motivo del ricorso principale e alla questione dell’esistenza di concrete possibilità di ricorso al ceto bancario per ottenere forme di finanziamento idonee a sostenere il pagamento delle imposte, documentando la risposta negativa fornita da un istituto di credito con cui la società aveva già avuto rapporti finanziari in passato; la difesa ha, inoltre, messo in rilievo l’irrilevanza logica delle considerazioni svolte nel provvedimento impugnato in merito alle imposte dovute dalla società ricorrente per i redditi diversi da quelli conseguiti attraverso le operazioni di mediazione illecita, trattandosi di dato che non poteva assurgere a elemento dimostrativo dell’insussistenza del presupposto per la revoca parziale del provvedimento di sequestro.
5. In data 14 giugno 2023 la difesa della società ricorrente ha depositato modello unificato di pagamento delle imposte, erariali e regionali, eseguito dalla S. s.r.l. in data 31 maggio 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Il Giudice delle leggi ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale cui si è richiamata la difesa della società ricorrente, in relazione alle previsioni degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2, Cost. (sentenza n. 91 del 9/5/2023), sicché deve darsi continuità all’orientamento della Corte che ha più volte ribadito il principio secondo il quale in ipotesi di annullamento con rinvio dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame, non sussiste alcuna incompatibilità dei magistrati che abbiano adottato la precedente decisione a comporre il collegio chiamato a deliberare in sede di rinvio, in quanto l’art. 623, lett. a), cod. proc. pen., non richiede che i componenti siano diversi e comunque il procedimento incidentale de libertate non comporta, per sua natura, un accertamento sul merito della contestazione (Sez. 4, n. 16717 del 14/04/2021, Langella, Rv. 281039 – 01; Sez. 5, n. 16875 del 24/03/2011, Rao, Rv. 250173 – O), regola che trova analoga applicazione nella materia delle misure cautelari reali, atteso il carattere meramente incidentale della valutazione richiesta che non corrisponde in alcun modo alla valutazione di merito sulla responsabilità (Sez. 6, n. 33883 del 26/03/2014, Gabriele, Rv. 261076 – O).
1.2. E’, invece, fondato il secondo motivo di ricorso.
Il provvedimento impugnato, infatti, nell’esaminare i dati raccolti nel corso delle indagini e quelli allegati dalla parte istante, per verificare la sussistenza dei presupposti necessari per disporre la richiesta restituzione parziale delle somme sottoposte a vincolo, non ha adempiuto all’obbligo motivazionale specificato dalla sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, fornendo argomenti apparenti collegati a ipotesi non sorrette ad alcun dato di verifica documentale, oltre che prive di alcun sostrato ricollegabile a validate regole di esperienza.
1.3. Così, la verifica della capacità patrimoniale e finanziaria della società istante idonea per assolvere le obbligazioni tributarie sorte per l’anno in cui furono percepite le commissioni, da sottoporre a prelievo fiscale, è stata operata ipotizzando – solo in astratto e in contrasto con i dati di bilancio che non contenevano voce alcuna di accantonamenti di utili conseguiti nei periodi pregressi – l’esistenza di potenziali ricavi conseguiti negli anni successivi alla costituzione della società avvenuta nel 2001 e sino all’anno 2017; ricavi che, ove anche esistenti, non potevano certo dirsi distratti per altre finalità rispetto ai futuri obblighi fiscali, non essendo logicamente ipotizzabile che a quell’epoca gli organi della società potessero prevedere la realizzazione dell’evento – certamente straordinario, poiché legato ad un dato assolutamente imprevedibile come la diffusione pandemica di un virus quale il Covid-19 – da cui sarebbero poi sorte le condizioni per conseguire le provvigioni incamerate nell’anno 2020.
Allo stesso modo, la valutazione in punto di possibilità di ricorrere al credito bancario per assolvere il debito tributario è viziata in radice da considerazioni (come per la formulata ipotesi di stipula di un mutuo per una somma corrispondente all’importo dovuto a titolo di imposte, pari ad oltre 16 milioni di euro, da restituire in più annualità) che ignorano il principio cardine – nella logica finanziaria – dell’erogazione di qualsivoglia forma di finanziamento, che richiede l’esistenza di garanzie (personali o reali) non ravvisabili nella specie comparando l’importo da richiedere e le condizioni obiettive della società richiedente (non risultando elementi patrimoniali in grado di garantire l’adempimento di obbligazioni così onerose, né risultando posizioni soggettive riferibili alla compagine societaria o a terzi soggetti suscettibili di rappresentare adeguata garanzia fideiussoria).
1.4. Anche la motivazione relativa al profilo delle conseguenze per la continuità dell’attività svolta dall’ente, connesse al mancato adempimento delle obbligazioni tributarie, è affetto da analogo vizio di mera apparenza degli argomenti utilizzati dal Tribunale del riesame; l’esclusione del pericolo per la prosecuzione delle attività proprie della società che ha subito il sequestro e non è attualmente in grado di assolvere gli obblighi tributari, è stata fondata dal Tribunale esclusivamente su ipotesi (A) la decisione – allo stato non avvenuta né manifestata nel corpo di pareri o risoluzioni emesse sul punto – dell’Agenzia delle entrate di non seguire l’interpretazione in tema di tassazione dei redditi conseguiti in modo illecito, di cui ha dato conto anche la sentenza rescindente, preferendo l’ermeneusi del dato normativo secondo cui non sarebbero tassabili quei redditi illeciti ove siano stati sottoposti a sequestro o confisca prima della presentazione della dichiarazione; B) la conclusione di un accordo tra fisco e società contribuente volto a dilazionare il pagamento dei tributi dovuti) che non trovano alcun supporto nei dati fattuali raccolti negli atti, né possono ritenersi fondati su argomenti logici necessitati alla stregua degli elementi a disposizione, non risultando in atti procedimenti tributari suscettibili di definizione mediante accordi o specifici istituti deflattivi.
Va, infine, rilevato che l’aspetto concernente l’ipotizzato (dal Tribunale) difetto di esatta quantificazione dei debiti tributari della società non rappresenta profilo che concerne la verifica della praticabilità della restituzione parziale delle somme vincolate, come specificato dalla sentenza rescindente, afferendo com’è evidente al più al profilo della concreta quantificazione della misura del provvedimento di restituzione.
2. Alle considerazioni che precedono, consegue l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Roma che dovrà procedere al nuovo esame del materiale a sua disposizione per verificare, attraverso un’analisi che tenga conto dei dati effettivi desumibili dal materiale documentale e informativo acquisito, la sussistenza dei presupposti per disporre la restituzione parziale delle somme sequestrate, secondo le indicazioni già formulate dalla sentenza di annullamento della Corte di Cassazione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma – sezione per il riesame delle misure cautelari reali – per nuovo esame.
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