CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 40442 depositata il 12 settembre 2018
Tributi – Riscossione – Esecuzione – Cessione degli immobili di proprietà – Rilevanza penale – Configurazione di reato ex art. 11, del D.Lgs. n. 74/2000 – Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
Ritenuto in fatto
1. E impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello dell’Aquila ha confermato la decisione emessa dal tribunale di Sulmona che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni uno di reclusione per il reato previsto dall’articolo 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, perché, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi per un importo di € 1.956.849,44, alienava, a titolo oneroso, in data 13 luglio 2012, gli immobili di sua proprietà siti nel comune di Pratola Peligna al signor D.D., quale legale rappresentante ed amministratore unico della società “D.G. S.r.l.” con atto pubblico registrato presso l’agenzia delle entrate di Castel di Sangro in data 19 luglio 2012.
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola tre motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge ed il difetto di motivazione su punti decisivi per il giudizio in relazione alle risultanze probatorie (articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), del codice di procedura penale), sul rilievo che i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto che le acquisizioni probatorie suggerissero una ricostruzione dei fatti tale da consentire una affermazione di responsabilità a carico del ricorrente, nonostante risultasse che quest’ultimo non aveva venduto alcun bene sottraendolo fraudolentemente all’esecuzione esattoriale in quanto nulla aveva incassato atteso che l’acquirente si era accollato il mutuo acceso a suo tempo presso l’istituto bancario e avuto anche riguardo al fatto che le imposte erano afferenti ad annualità risalenti ai primi anni del 2000.
Sostiene il ricorrente che quest’ultima circostanza sarebbe decisiva per escludere la responsabilità penale poiché la norma contestata, essendo in vigore dal 2010, non consentirebbe la contestazione per i debiti tributari risalenti ad annualità precedenti all’entrata in vigore della norma medesima.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione e l’inosservanza della legge penale con riferimento all’elemento soggettivo del reato (articolo 606, comma 1, lettere b), del codice di procedura penale), sul rilievo di non aver mai compiuto con coscienza e volontà atti fraudolenti volti a sottrarre i beni all’esecuzione esattoriale.
Ricorda che, ai fini della configurabilità del reato contestato, è richiesto elemento soggettivo del dolo specifico di evasione ossia la consapevolezza dell’esistenza di un suo intento elusivo in funzione della ricchezza posseduta e degli interessi e delle sanzioni dovute in conseguenza del mancato tardivo pagamento, circostanza, nel caso di specie, del tutto insussistente.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il difetto di motivazione in ordine a circostanze non secondarie circa le presunte condotte abusive integrative del reato contestato e circa l’elemento psicologico.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché sollevato nei casi non consentiti.
2. I motivi di gravame, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
In via preliminare, va chiarito come il ricorrente abbia prevalentemente omesso di confrontarsi con l’impugnata sentenza.
Per rendersene conto è sufficiente ricordare che la Corte di appello, con accertamento di fatto adeguatamente e logicamente motivato, ha precisato come la vendita dei beni immobili da parte del ricorrente avvenne a ridosso del ricevimento dell’ennesima cartella esattoriale e, dunque, del verosimile avvio dell’azione di recupero esercitata dall’amministrazione fiscale.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, la Corte abruzzese ha affermato che la volontà dell’imputato di dismettere una parte consistente del proprio patrimonio al solo fine di evitare l’esecuzione tributaria coattiva doveva ritenersi dimostrata da plurimi elementi: 1) dal fatto che il ricorrente si era spogliato di quasi tutti i propri beni, dal momento che quelli ancora di sua proprietà erano risultati di modestissimo valore complessivo; 2) dal fatto che era emersa la necessità della società acquirente di acquistare un capannone industriale e vari terreni seminativi e a vigneto; 3) dal fatto che la tempistica della vendita, avvenuta in prossimità dell’invio dell’ultima cartella esattoriale, fosse sintomatica della finalità illecita perseguita.
Ne alcun rilievo può essere attribuito alla formazione temporale del debito tributario, essendo stato accertato che, nel caso in esame, la dismissione del patrimonio, quale condotta sussumibile nell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, è avvenuta quando il ricorrente era perfettamente consapevole della possibilità che fosse azionata dal fisco la procedura coattiva.
Ne consegue che la condotta punibile è stata realizzata nella vigenza della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, perché il fatto di reato si perfeziona con il compimento di una condotta commissiva consistente alternativamente nell’eseguire atti simulati di alienazione o nel realizzare altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, sicché il momento consumativo del reato, una volta integrata la soglia di punibilità, coincide con la realizzazione degli atti depauperativi del proprio patrimonio dismessi con l’intento di pregiudicare le ragioni erariali.
Va infatti ricordato che il reato previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è un reato di pericolo che richiede il compimento di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, che siano in concreto idonei – in base ad un giudizio “ex ante” che valuti la sufficienza della consistenza del patrimonio del contribuente in rapporto alla pretesa dell’Erario – a rendere inefficace, in tutto o in parte, l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria, a prescindere dalla sussistenza di un’esecuzione esattoriale in atto (Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771).
Del resto, il reato previsto dall’art. 11 D.Lgs. 74 del 2000 è caratterizzato dal dolo specifico, che ricorre quando l’alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, siano finalizzati alla sottrazione “al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrativi relativi a dette imposte” (Sez. 3, n. 27143 del 22/04/2015, Noviello, Rv. 264187).
La Corte del merito ha tenuto conto di tutto ciò e le doglianze del ricorrente, oltre a non confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, indugiano diffusamente su ricostruzioni fattuali che, in quanto assertive ed alternative al logico ed adeguato accertamento compiuto dalla Corte distrettuale, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
4. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e ciò comporta l’onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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