Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 42448 depositata il 19 novembre 2024
bancarotta impropria da false comunicazione sociali – Non integrano, infatti, manifesta illogicità della motivazione né la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, ritenuta più logica, né minime incongruenze, né la mancata confutazione (nel provvedimento impugnato) di un’argomentazione difensiva, non essendo tenuto, il giudice del merito, a compiere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti e di ogni risultanza processuale, essendo sufficiente una valutazione globale tale da esplicitare le ragioni della decisione, specie laddove queste siano incompatibili con quanto sostenuto da parte ricorrente
RITENUTO IN FATTO
1. B.F., vicepresidente del consiglio d’amministrazione della L.A. s.c.ar.l., è stato condannato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza con sentenza n. 977 /2022 del 25/10/2022 per diverse condotte di bancarotta fraudolenta, distrattiva (per€ 256.870,43, quale saldo di cassa, ed€ 30.933,96, sottratti utilizzando la carta di credito aziendale) e documentale, nonché per false comunicazioni sociali, reati commessi dal 7/6/2016 alla data del fallimento (il 10/12/2018). Si riporta, per maggior chiarezza, il capo d’imputazione: “reato p. e p. dagli art. 110 e pe 216, 1° co. n. 1) e 2) L.Fall. perché, agendo in concorso tra loro quali membri del CdA della fallita “L.A. SCPA”: – distraevano la somma di € 256.870,43, prelevata dalla cassa ed occultata da fittizie appostazioni contabili nonché la ulteriore somma di € 30.933,96, utilizzata per spese effettuate mediante carta di credito aziendale per scopi estranei all’oggetto sociale; – sottraevano ed occultavano, con lo scopo di procurare a sé o ad altri ingiusto profitto e comunque in frode ai creditori, i libri sociali obbligatori (libro delle assemblee, del Cda ed il libro soci), altresì falsificando le scritture contabili ove si rilevavano fittizie appostazioni utilizzate per consentire distrazioni dalla cassa per € 256.870,43; – nelle qualità predette, concorrevano a cagionare il dissesto della società commettendo i fatti di cui all’art. 2621 e.e. poiché, al fine di conseguire ingiusto profitto esponevano, nel bilancio 2015, fatti materiali non rispondenti al vero, indicando un capitale sociale pari ad € 105.396,00 (anziché di E 5.396,00, come risultante dalle scritture contabili), in modo idoneo ad indurre in errore i terzi (in particolare gli istituti di credito che erogavano nuove linee di finanziamento). In Monza, fallimento del 10/12/2018″.
2. La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che: – l’imputato era responsabile del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva in quanto avente poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, “attribuiti all’organo di amministrazione, quindi in ugual modo al presidente o al vicepresidente, la cui sottoscrizione valeva come piena prova della sussistenza del presupposto legittimante il suo intervento in sostituzione del presidente”, sicché egli era autorizzato ad operare sui conti societari e comunque non risultava aver mai sollevato contestazioni rispetto all’operato del Sassi, presidente del consiglio di amministrazione; – analogamente, il B.F., proprio in ragione dei detti suoi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, era responsabile della regolare tenuta delle scritture contabili e, dunque, della bancarotta documentale; – significativa era la mendace tenuta del mastrino fornitori in conto anticipo per gli anni 2015, 2016 e 2017, con annotazioni di pagamenti a favore di soggetti indicati come “diversi” (rimasti ignoti), annotazioni ingiustificate per il curatore, che dimostravano che il pagamento non fosse stato eseguito a favore dei fornitori (senza che l’appellante avesse dato alcuna spiegazione al riguardo); – la volontà di impedire la corretta ricostruzione della contabilità era desumibile proprio dalle dette falsificazioni, che avevano impedito di verificare a chi fossero andati gli importi teoricamente destinati ai fornitori; – l’imputato non aveva provato che la somma di euro 30.933,96 per assunte spese di trasferta fosse inerente l’attività di impresa (non bastando all’uopo l’estratto conto); – ed ancora, il B.F., persino prima dell’assunzione della carica di vicepresidente, s’era occupato, per conto della fallita, dell’accordo col salumificio Scarlino (come da email indicata nella relazione del curatore); – il ricorrente doveva ritenersi responsabile anche del reato ex articolo 2621 cod. civ., poiché, quale membro del consiglio di amministrazione dal 7/6/2016, aveva comunque partecipato all’approvazione del bilancio al 31/12/2015 (recante la mendace indicazione del capitale sociale, idonea a generare un’apparente solidità patrimoniale, tale da indurre gli istituti di credito a erogare denaro) e non aveva adottato i provvedimenti che la situazione economica e finanziaria della società avrebbe imposto; – il trattamento sanzionatorio (con pena base di 4 anni e 6 mesi di reclusione) era stato determinato in ragione dell’elevata entità del passivo fallimentare.
3. Il ricorso del B.F. si articola nei seguenti motivi.
3.1 Col primo motivo ci si lamenta della violazione di legge (degli articoli 216 e 217 r.d. 267/1942), nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si censura la sentenza d’appello per avere, in modo acritico, imputato all’amministratore doveri di vigilanza e controllo, nonostante. egli fosse solo un membro del consiglio d’amministrazione senza deleghe dal giugno 2016: laddove l’affermazione di responsabilità per i delitti in questione, per la giurisprudenza della Cassazione, avrebbe richiesto la dimostrazione del contributo materiale o, almeno, della concreta consapevolezza dei fatti contestati (non potendo essere automaticamente attribuita solo per la carica ricoperta).
Tanto valeva anche per la bancarotta documentale, per la quale sarebbe stato onere dell’accusa provare anche lo scopo di procurare un ingiusto profitto, con pregiudizio per i creditori: ciò che nella specie non era accaduto (avendo la Corte d’appello affermato la penale responsabilità dell’imputato solo in base all’assunzione della detta carica).
La Corte d’Appello, ancora, non aveva motivato adeguatamente il rigetto della richiesta di derubricazione del reato in bancarotta semplice ex articolo 217, comma 2, r.d. 267/1942, ricorrente allorché la mancata tenuta dei libri contabili sia dovuta ad imperizia, senza l’intenzione di danneggiare i creditori.
3.2 Col secondo motivo ci si duole della violazione ed erronea applicazione dell’articolo 2621 cod. civ. e la carenza e manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1, lett. B) – E) cod. proc. pen.) per aver confermato l’addebito di false comunicazioni sociali.
Seppure il bilancio 2015, approvato il 30/6/2016, avesse indicato un capitale sociale falsificato, la responsabilità dell’imputato, nominato solo il 7/6/2016, era stata erroneamente attribuita per la sua mera approvazione, senza che lo stesso avesse partecipato alla sua redazione, avvenuta prima della sua nomina.
Ci si duole del fatto che la Corte d’Appello avesse ignorato le dette circostanze temporali e l’assenza di coinvolgimento del B.F. nella richiesta dei finanziamenti (ottenuti prima del suo insediamento in consiglio), così disattendendo, senza motivazione, il relativo motivo d’appello.
Si lamenta anche la pretermissione del versamento di€ 200.000,00 da parte del coimputato, Sassi Massimo, in data 20/5/2016 a titolo di aumento di capitale.
3.3 Col terzo motivo ci si duole della violazione ed erronea applicazione degli articoli 62-bis, 69 e 133 cod. pen. e del difetto di motivazione o sua contraddittorietà o illogicità (articolo 606, comma 1, lett. B) – E) cod. proc. ).
Si sostiene che l’incensuratezza dell’imputato, il limitato tempo di assunzione della carica in• seno alla fallita, nonché il suo contegno processuale (volto a spiegare gli addebiti contestati) avevano indotto i giudici di merito ad accordare le attenuanti generiche (prevalenti sull’aggravante ex articolo 219 r.d. 267/1942) e la sospensione condizionale della pena: ciononostante, in maniera illogica e contraddittoria, la pena base era stata, invece, fissata in 4 anni e 6 mesi di reclusione, anziché nel minimo di 3 anni di reclusione, ex articolo 216 r.d. 267/1942 (come avrebbe dovuto essere, anche in applicazione dei parametri di cui all’articolo 133 cod. pen.).
3.4 Col quarto motivo ci si lamenta del difetto assoluto di motivazione (articolo 606, comma 1, E) cod. proc. pen.), avendo la Corte d’Appello di Milano omesso di valutare la censura prospettata col gravame sulla provvisionale risarcitoria liquidata alla parte civile in 250.000,00 euro dal Tribunale, a sua volta priva di motivazione adeguata (essendo avvenuta “sulla scorta degli elementi disponibili”, senza alcuna spiegazione dettagliata, nonostante a tal fine sarebbe stata necessaria una prova certa del danno fino all’ammontare della somma liquidata).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile, poiché sollecita una nuova valutazione della fondatezza delle accuse, diversa da quella operata in sedè di merito, senza scardinare i capisaldi (di cui oltre, per completezza, si dirà) della logica motivazione impugnata.
È noto che la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U., n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, Capanna, Rv. 248192). Non integrano, infatti, manifesta illogicità della motivazione né la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, ritenuta più logica, né minime incongruenze, né la mancata confutazione (nel provvedimento impugnato) di un’argomentazione difensiva, non essendo tenuto, il giudice del merito, a compiere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti e di ogni risultanza processuale, essendo sufficiente una valutazione globale tale da esplicitare le ragioni della decisione, specie laddove queste siano incompatibili con quanto sostenuto da parte ricorrente (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Petrella, Rv. 226074; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105; Sez. 2, n. 33577 del 26/05/2009, Bevilacqua, Rv. 245238; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, Mirabilia, Rv. 233187, Sez. 1, n.19769 del 10/04/2024, non massimata). In presenza, poi, di una doppia conforme affermazione di responsabilità, è sufficiente (salvo non siano allegati nuovi argomenti rispetto al primo grado) che il secondo giudice rinvii alla motivazione del primo, le sentenze di merito integrandosi in un’unica entità (Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615, Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Albergamo, Rv. 197250, Sez. 1, n.19769 del 10/04/2024, non massimata).
Insomma, spetta al giudice di merito la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle prove, che resta insindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogica, contraddittoria o carente (Sez. 5, n. 38138 del 20/06/2023, non massimata).
Solo quando il dato probatorio trascurato o travisato abbia una chiara e decisiva forza dimostrativa, tale da scardinare l’intero ragionamento su cui si fonda il provvedimento impugnato, è possibile riconoscere un vizio motivazionale (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684; Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621).
In estrema sintesi, in sede di legittimità va posto rimedio alle carenze, alle contraddizioni o alle argomentazioni palesemente illogiche su passaggi motivazionali essenziali ai fini della decisione, non potendosi richiedere di soppesare (diversamente dal provvedimento impugnato) le prove al fine di pervenire a una diversa ricostruzione sul merito della vicenda (Sez. 1, n.19769 del 10/04/2024, non massimata, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684; Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621; Sez. 5, n.8938 del 19/01/2022, non massimata).
Sintomatico in tal senso è il caotico contestuale inquadramento delle doglianze in plurimi vizi di motivazione e/o violazioni di legge (salvo che non si specifichi, per ognuna, a quale parte della motivazione si riferisca), non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, trattandosi di doglianze tra loro incompatibili, non suscettibili di cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (si vedano: Sez. 2, n. 25741 del 20/03/2015, Calistri, Rv. 264132; Sez. 5 n. 6215 del 14/12/2020, dep. 2021, non massimata, sulle censure in diritto; nonché, sui plurimi vizi motivazionali denunciati, Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, in motivazione, Sez. 4, Sentenza n. 8294 del 01/02/2024, Della Monica, Rv. 285870 – 01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alata ed altri, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri, Rv. 251528; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037; si veda, infine, Sez. 5, n. 1130 del 4/10/2021, dep. 2022, non massimata, secondo cui «la denuncia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c)»).
Ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso con cui si miri (ancorché mascherata da una pretesa violazione di legge: vedasi, sulla corretta qualifica, la nota Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 04) a una non consentita (in questa sede) rivalutazione del materiale probatorio finalizzata a una rivisitazione del giudizio di merito, per giunta trascurandone passaggi essenziali, con cui, in modo logico, esaustivo e non contraddittorio, s’è ritenuto che: (a) l’imputato aveva poteri gestori assoluti, in tutte le materie, anche di straordinaria amministrazione (che, come noto, consiste nel compiere atti dispositivi del patrimonio), senza alcun limite e, anzi, con sottoscrizione che “valeva come piena prova della sussistenza del presupposto legittimante il suo intervento in sostituzione del presidente”, e, dunque, agiva quale vero e proprio alter ego del formale legale rappresentante (senza bisogno alcuno di deleghe specifiche, essendo, per contro, egli abilitato tout court a rappresentare la società in qualsivoglia rapporto); (b) nel mastrino fornitori conto anticipo per gli anni 2015, 2016 e 2017 v’erano annotazioni di pagamenti a favore di soggetti “diversi” che provavano per tabulas che delle somme societarie fossero state destinate ad ignoti (e non legittimati) beneficiari; (c) lo stesso imputato non aveva mai sollevato contestazioni rispetto all’operato del Sassi (e, dunque, a siffatto modo di tenere la contabilità, senza che si comprendesse a chi fossero state erogate le somme ivi indicate); (d) le dette falsificazioni, impedendo di verificare a chi fossero andati gli importi teoricamente destinati ai fornitori, provavano pure il delitto di bancarotta documentale, nei suoi elementi oggettivo soggettivo; (e) il B.F., già prima di divenire vicepresidente, s’era occupato dell’accordo con il salumificio Scarlino come da email indicata nella relazione del curatore (ciò che ne confermava il ruolo preminente all’interno della società); (f) lo stesso, però, non aveva provato che la somma di euro 30.933,96 per assunte spese di trasferta proprio in relazione a rapporti lavorativi col detto salumificio, posto in Puglia, fossero inerenti all’attività di impresa.
Trattasi di considerazioni logiche ed esaustive, le cui censure (al di là della loro inammissibile veste, come anzidetto) risultano, oltre che parziali (molti dei punti predetti neppure sono stati sfiorati dal ricorrente), tendenti ad una manifestamente infondata e inammissibile rivalutazione del materiale probatorio. In relazione all’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale ed alla sua impossibilità di qualificazione quale bancarotta semplice, secondo il primo giudice: “Quanto all’elemento soggettivo discretivo tra l’ipotesi contestata e quella leviore della bancarotta semplice da omessa o irregolare. tenuta di libri e scritture contabili nei tre anni antecedenti la dichiarazione di fallimento invocata dalla difesa si osserva che l’impossibilità di accertamento dell’effettiva destinazione delle somme prelevate dalla casse sociali e fittiziamente imputate a corresponsioni di denaro a fornitori, per lo più non nominativamente indicati, è spia della finalità di pregiudizio ai creditori del mendacio documentale e della correlativa finalità di profitto di altri, quale conseguenza della violazione del dovere di verità e trasparenza nella tenuta della contabilità, a presidio della garanzia generica dei diritti dei creditori sociali costituita dal patrimonio della società. Non è contestabile che l’odierno imputato, quale componente dell’organo amministrativo, fosse personalmente gravato dagli obblighi documentali propri dell’amministratore di impresa in forma societaria e debba conseguentemente rispondere in questa sede della loro violazione, correttamente qualificata, per quanto esposto, a termini di bancarotta fraudolenta ex art. 216, comma 1, n. 2) L. Fall.”.
Orbene, la sentenza del Tribunale non risulta adeguatamente censurata con l’atto d’appello, quanto alle ragioni per le quali (con motivazione, peraltro, assolutamente logica e coerente) è stato ritenuto sussistente il dolo di tale reato, essendosi limitato, l’imputato, a contestare, in detta sede, che non fosse stato dimostrato il possesso da parte sua della contabilità, nonché la carenza di motivazione da parte del Tribunale sull’elemento soggettivo di detto reato, asserendosi: “Ebbene il Gip, nella motivazione in esame, non spende alcuna considerazione sulla configurabilità del dolo specifico nel comportamento asseritamente tenuto dal B.F., quasi lo desse per scontato, finendo per ribaltare illegittimamente sul B.F. l’onere probatorio a discarico delle responsabilità contestate”.
Come detto, così non è.
Anzi, può qui affermarsi che la registrazione di prelievi di cassa a favore di soggetti indicati come “diversi”, e rimasti ignoti, è stata logicamente ritenuta (dal primo giudice) fatto da cui desumere l’elemento soggettivo di cui qui si tratta: essendo evidente che, in tal modo, si rendeva impossibile, alla curatela fallimentare, anche solo tentare di recuperare le somme depauperate e non destinate (come avrebbero dovuto) ai creditori societari.
Al riguardo è appena il caso di aggiungere che le pronunce di primo e secondo grado, se conformi e basate su argomentazioni coincidenti o, comunque, coerenti tra loro, si integrano e saldano in un unicum argomentativo e possono essere lette congiuntamente, costituendo un complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01, Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, non massimata sul punto, Sez. 3, Sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 – 01, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615 – 01).
La generica deduzione di parte ricorrente circa l’assenza di motivazione sul dolo, pertanto, non considera il principio appena menzionato e, pertanto, l’esistenza di una siffatta motivazione, del tutto logica.
Ne consegue, come detto, l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
2. Fondato è, per contro, il secondo o motivo.
Al riguardo, la Corte d’appello ha motivato in modo assolutamente insufficiente la sussistenza del dolo in relazione alla condotta di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, limitandosi ad evidenziare che: “il B.F. aveva approvato un bilancio incontestatamente falso ( e che tale restava anche considerando il versamento di € 200.000,00 da parte del coimputato, Sassi Massimo, a titolo di aumento di capitale), recante la mendace indicazione del capitale sociale, idonea a generare una apparenza di solidità patrimoniale non corrispondente al vero”.
Tale motivazione non corrisponde affatto a quanto, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, sia necessario all’uopo: «Quanto al dolo richiesto, Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673 – 01, ha chiarito che il tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, dove l’elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il predetto dolo generico non può ritenersi provato – in quanto “in re ipsa” – nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, né può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società, dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino, nel redattore del bilancio, la consapevolezza del suo agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili» (Sez. 5, n.21854 del 01/03/2024, non massimata).
Seppure nella formulazione vigente ratione temporis il riferimento all’intenzione di ingannare i soci o il pubblico non è più previsto (a seguito delle modifiche apportate all’articolo 2621 cod. civ. dall’articolo 9, comma 1, legge 69/2015), resta necessario che siano provate, in capo all’agente, sia il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, sia, soprattutto, la consapevolezza di esporre fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero.
Orbene, la detta sintetica motivazione della Corte d’appello si limita a far leva sulla mera approvazione del bilancio, da parte dell’imputato, senza spiegare da quali elementi si desumerebbe che lo stesso (peraltro subentrato in consiglio di amministrazione poco prima della sua approvazione) fosse conscio della sua falsità e quale profitto mirasse a perseguire.
Ne consegue, su tale punto (ovvero limitatamente all’accertamento del dolo della bancarotta fraudolenta impropria da reato societario), l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
3. Inammissibili sono le doglianze sulla pena irrogata formulate col terzo motivo di ricorso.
Invero, la Corte d’appello ha motivato (traendola dal danno cagionato) il perché la complessiva gravità dei fatti inducesse a discostarsi dal minimo edittale. Tale valutazione non è affatto contraddittoria rispetto ai diversi elementi (l’incensuratezza dell’imputato, il limitato tempo di assunzione della carica in seno alla fallita, il suo contegno processuale volto a spiegare gli addebiti contestati) che, già in primo grado, avevano comportato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
Al riguardo, è noto che: «la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142) … Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quefla edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596)» (Sez. 5, n. 29885 del 09/05/2017, non massimata sul punto); «la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari i elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22-02-2019, (Omissis), Rv. 276288-01; Sez. 5, n. 47783 del 27-10-2022, (Omissis), non massimata)>> (Sez. 2, n. 7337 del 01/12/2023, dep. 2024, non massimata).
Nella specie, come detto, la Corte d’appello ha analiticamente valutato la gravità dei fatti (specie in relazione all’entità del pregiudizio arrecato), pervenendo, secondo un percorso assolutamente logico, alla pena base (in misura ben lungi dall’essere anche solo vicino alla pena media edittale). Le diverse considerazioni sulle circostanze attenuanti generiche e sulla sospensione condizionale della pena, in quanto basate su diversi fattori, non si pongono in contrasto con la determinazione della menzionata pena base.
Resta fermo, naturalmente, che la parte di pena che il giudice del rinvio individuerà come correlata al delitto per cui v’è stato annullamento dovrà, se del caso, essere rideterminata dal medesimo giudice.
4. Infine, la quarta censura (omessa pronuncia circa la motivazione del quantum liquidato a titolo di provvisionale) è manifestamente infondata.
È noto che la determinazione della provvisionale è riservata insindacabilmente al giudice di merito, senza dovere di espressa motivazione, quando l’importo, rientri nell’ambito. del danno prevedibile (Sez. 2, n. 904 del 05/12/2023, dep. 2024, Rv. 285723-01; Sez. 6, n. 49877 del 11/11/2009, Rv. 245701-01): come è nella specie, atteso il giudizio di condanna per la distrazione di complessivi€ 287.804,39.
5. Consegue, a quanto detto, l’esito in dispositivo.
Si reputa opportuno demandare al giudizio di rinvio le statuizioni sulle spese sostenute dalla parte civile in questa sede, allorché sarà chiara la reale misura della soccombenza dell’imputato,
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla condotta di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Spese di parte civile al definitivo.