Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 42514 depositata il 16 ottobre 2019
reati tributari – utilizzo di crediti inesistenti
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 marzo 2018, la Corte d’appello di Caltanissetta ha integralmente confermato la condanna dell’odierna ricorrente alle pene di legge per il reato di cui all’art. 10 quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver utilizzato in compensazione, quale legale rappresentante di una società cooperativa, crediti non esistenti con riguardo all’anno fiscale 2009, così omettendo il versamento di imposte dovute per Euro 136.682,00.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, deducendo con unico motivo la violazione dell’art. 10 quater d.lgs. 74 del 2000, in relazione all’art. 1, l. 27 dicembre 2006, n. 296, commi da 272 a 279, ed il vizio di motivazione per non essere stata ritenuta corretta la compensazione operata in base alle citate disposizioni, prima delle modifiche apportate con d.l. 3 giugno 2008, n. 97, ed essere invece stata ritenuta applicabile la disciplina da quest’ultimo introdotta, benché, per espressa previsione, la stessa operasse esclusivamente per i progetti di investimento avviati successivamente all’entrata in vigore del decreto. Trattandosi, nel caso di specie, di un progetto d’investimento per l’acquisto di beni strumentali effettuato nell’anno 2007, la compensazione poteva essere operata automaticamente, come previsto dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate con circolare del 18 aprile 2008. La sentenza impugnata, inoltre, non aveva tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi P. e M. circa il fatto che mai era stata contestata alla società alcuna irregolarità dall’Agenzia delle Entrate con riguardo alla compensazione oggetto di processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, innanzitutto perché fondato su una violazione di legge – e connesso vizio di mancanza di motivazione – non dedotta nei motivi d’appello.
Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il ricorso sarebbe inammissibile per genericità.
Deve aggiungersi che l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che la doglianza relativa alla violazione dell’art. 1, commi da 271 a 279, l. 296/2006, su cui si fonda il ricorso per cassazione, non era stata effettivamente dedotta col gravame di merito e per questo la sentenza impugnata neppure accenna alla suddetta questione. Da un lato, pertanto, la violazione di legge non è deducibile in sede di legittimità e, d’altro lato, non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui al citato art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).
2. Va aggiunto, per completezza, che la doglianza è comunque inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Contrariamente a quanto la ricorrente deduce – peraltro richiamando genericamente il d.l. n. 97/2008, senza indicare la specifica disposizione che sancirebbe l’applicazione della nuova normativa ai soli progetti d’investimento avviati successivamente all’entrata in vigore del decreto – l’art. 2 d.l. 97/2008, conv., con modiff., in legge 2 agosto 2008, n. 129 (rubricato “disposizioni per garantire il monitoraggio e la trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica”), al primo comma, per quanto qui interessa, prevede che, al precipuo scopo di limitare le compensazioni nell’ambito dell’effettiva copertura stanziata nel bilancio dello Stato con riguardo a ciascuno degli anni tra il 2008 e il 2015, «il credito di imposta di cui all’articolo 1, commi da 271 a 279, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, è regolato come segue: a) per i progetti di investimento che, sulla base di atti o documenti aventi data certa, risultano già avviati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti interessati inoltrano per via telematica alla Agenzia delle entrate, entro trenta giorni dalla data di attivazione della procedura di cui al comma 4, a pena di decadenza dal contributo, un apposito formulario approvato dal Direttore della predetta Agenzia; l’inoltro del formulario vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta». Il successivo secondo comma stabilisce che «l’Agenzia delle entrate, sulla base dei dati rilevati dai formulari pervenuti, esaminati rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo, comunica telematicamente e con procedura automatizzata ai soggetti interessati: a) relativamente alle prenotazioni di cui al comma 1, lettera a), esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria; la fruizione del credito di imposta è possibile nell’esercizio in corso ovvero, in caso di esaurimento delle risorse disponibili in funzione delle disponibilità finanziarie, negli esercizi successivi».
3. La sentenza impugnata attesta che il credito d’imposta della società poteva essere utilizzato soltanto nell’anno 2015, sicché il suo utilizzo nell’anno d’imposta 2009 – effettuato con la dichiarazione presentata alla fine dell’anno successivo – ha dato luogo ad una compensazione non spettante con conseguente integrazione del reato.
Essendo manifestamente infondato il presupposto di non applicabilità al caso di specie della disciplina siccome modificata con d.l. 97 del 2008, poi, si comprende come nessun rilievo possa riconoscersi al fatto che l’imputata si sia attenuta ad una circolare dell’Agenzia delle Entrate approvata prima di tale modifica e valida con riguardo alla previgente disciplina dettata dalla l. 296/2006.
Posto, peraltro, che l’indebita compensazione è avvenuta a distanza di circa un anno e mezzo dall’entrata in vigore della richiamata “novella”, non può neppure contestarsi la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, profilo peraltro non specificamente dedotto in ricorso e genericamente evocato soltanto con riguardo alla doglianza sull’omessa considerazione delle deposizioni dei testi P. e M. circa il fatto che l’Agenzia delle Entrate non aveva mai comunicato il riscontro di irregolarità con riguardo alla compensazione operata. Al di là dell’evidente irrilevanza di tale circostanza ai fini del giudizio sulla oggettiva sussistenza del reato quale attestata dalla sentenza impugnata in base alla corretta applicazione delle norme di legge disciplinanti la materia, osserva il Collegio come la doglianza sia ictu oculi priva di pregio anche con riguardo all’elemento soggettivo del reato, trattandosi – a tacer d’altro – di circostanze successive alla commissione del fatto di reato.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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