CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 43560 depositata il 2 ottobre 2018
Imposte indirette – IVA – Omessa dichiarazione – art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 – Violazioni – Sanzioni penali
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 22 luglio 2016, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia con la quale B.F. era stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 5d.lgs10 marzo 2000, n. 74, per avere, quale legale rappresentante della A. spa, al fine di evadere le imposte, omesso la presentazione della dichiarazione IVA per l’anno di imposta 2008, con evasione di € 267.286,00, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha ridotto la pena inflitta a mesi otto di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
1.1. In particolare, secondo quanto accertato dalle conformi sentenze del merito, incontestata l’omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA per l’anno 2008, dovuta dall’imputato, quale legale rappresentante di una società con oggetto sociale la compravendita immobiliare ed avendo la società posto in essere, nel 2008, quattro compravendite immobiliari, era stato ritenuto dimostrato il superamento della soglia di punibilità (all’epoca fissata in € 77.468,53) sulla scorta dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, nella misura indicata nel capo di imputazione pari a € 267.286,00; superamento calcolato sul prezzo indicato negli atti di compravendita di due terreni edificabili (altra compravendita era esente dall’IVA), e detratto il credito IVA vantato dalla società portato in detrazione, in assenza di altre passività/costi rilevanti ai fini della determinazione dell’IVA (essendo quelli forfettariamente ritenuti sussistenti riferibili solo alle imposte sul reddito) ed essendo irrilevante, ai fini del reato di omissione di presentazione ex art. 5 cit., il mancato pagamento del prezzo di un’altra compravendita, poi risolta e ciò in ragione del disposto di cui all’art. 26 del D.P.R. 633 del 1972, che prevede il diritto di portare in detrazione l’importo corrispondente alla variazione conseguente alla dichiarazione di nullità, annullamento, risoluzione del contratto, da cui si ricava l’obbligo di indicare in dichiarazione e di versare l’importo dell’IVA, salvo variazione successiva.
Quanto all’elemento soggettivo di evadere l’imposta, questo era provato in considerazione che erano state realizzate transazioni immobiliari con regolare corresponsione del prezzo, circostanza questa non contestata dall’imputato, e nonostante ciò l’imputato non aveva presentato la dichiarazione IVA, da cui il fine di evadere il pagamento dell’imposta.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1,disp.att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla illogicità e contraddittorietà della motivazione sul superamento della soglia di punibilità. La Corte d’appello avrebbe erroneamente calcolato l’IVA dovuta. Il calcolo operato sarebbe frutto di errori e travisamenti della prova. Non avrebbe considerato, la corte territoriale, che il prezzo indicato in due compravendite immobiliari era già comprensivo di Iva, in un altro caso di vendita immobiliare l’imposta non era neppure dovuta, rientrando la suddetta vendita in un regime di esenzione da tale imposta. Come evidenziato dal consulente della difesa, del tutto opinabile sarebbe la rettifica operata sul prezzo di vendita di un altro immobile. Poi, immotivatamente la corte territoriale avrebbe escluso la riduzione dell’imposta per costi riconosciuti dall’ente accertatore ai fini IRES e Irap. Erronea sarebbe anche la determinazione dell’imposta evasa sui ricavi (€ 3.369.749,00) e non sui redditi accertati (€ 361.44,54).
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione della legge penale di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo del reato di evadere l’IVA. Non vi sarebbe stata alcuna lesione dell’interesse erariale ed assente sarebbe la cosciente finalità di arrecare un danno all’erario. Da qui anche l’erronea applicazione della legge penale.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è inammissibile attesa la manifesta infondatezza dei motivi proposti, anche ripetitivi di quelli già devoluti al giudice dell’impugnazione e da questo disattesi con motivazione congrua e corretta sul piano del diritto.
5. Quanto al primo motivo di ricorso concernente la prova del superamento della soglia di rilevanza penale dell’omissione, sotto un primo profilo, è sufficiente rilevare detto superamento sulla scorta delle stesse allegazioni offerte dal ricorrente che ha indicato il valore della compravendita dei due terreni per i quali era stato corrisposto il prezzo di vendita (“€ 717.487,00 oltre IVA al 10%” e “€ 160.823,75 oltre IVA al 10%”), essendo priva di pregio la tesi difensiva secondo cui il prezzo indicato sarebbe stato comprensivo di IVA, atteso il chiaro dato documentale, rispetto al quale il ricorrente finisce per sollecitare una diversa ricostruzione fattuale non consentita in questa sede.
Sotto altro profilo, la corte territoriale ha spiegato la ragione della non detrazione dei costi che l’Agenzia delle entrate aveva forfettariamente riconosciuto ai fini IRES e IRAP e non a fini dell’IVA, e ciò in ragione della diversità delle imposte e della loro base di calcolo e considerato che, quanto all’IVA, la detrazione doveva essere ben determinata e riferita ad elementi passivi documentati e che l’imputato non aveva offerto tale prova.
In tale ambito, del tutto priva di pregio è la tesi del ricorrente secondo cui l’IVA andrebbe applicata non sulle transazioni commerciali, bensì sul reddito accertato (ricavi-costi) pari a € 361.044,54, cosicché il relativo calcolo dell’IVA omessa sarebbe sotto soglia.
Come è noto (l’IVA è un’imposta indiretta che viene applicata sulla cessione di beni e servizi da parte di soggetti operanti sul territorio dello Stato nazionale nelle operazioni imponibili.
La disciplina dell’imposta è contenuta nel decreto IVA (d.p.r. 633/1972) che classifica le operazioni IVA in tre macro categorie di operazioni rilevanti: imponibili, non imponibili ed escluse. Nell’ambito delle operazioni imponibili l’imposta è dovuta alla concorrenza di tre presupposti previsti dalla normativa per l’imponibilità IVA delle operazioni commerciali: 1) presupposto oggettivo, un’operazione ai fini IVA deve essere inquadrata come «cessione di beni» o «prestazione di servizi» (cfr. articoli 2 e 3d.P.R. 633/1972); 2) presupposto soggettivo, un’operazione che deve essere realizzata nell’esercizio dell’attività imprenditoriale (cfr. articoli 4 e 5 d.P.R. 633/1972); 3) presupposto territoriale, l’operazione deve essere espletata in Italia nel rispetto di quanto sancito dall’articolo 7 del d.P.R. 633/1972. Alla presenza di tali presupposti l’operatore commerciale è tenuto a versate il tributo nella misura prevista per la categoria di beni e servizi come prevista. Ciò significa che in presenza di un’operazione imponibile, secondo quanto sopra, l’operatore commerciale cedente è tenuto a calcolare l’imposta su base imponibile individuata dal valore dell’operazione (prezzo nel caso di vendita) e il cessionario, imprenditore commerciale, a versare/compensare l’IVA corrisposta. Dunque, proprio per la natura indiretta dell’imposta applicabile nella circolazione dei beni e servizi da parte di operatori commerciali, questa non potrà mai essere calcolata al netto dei ricavi detratti i costi.
6. Quanto al dolo del reato, oggetto del secondo motivo di ricorso, la corte territoriale ha argomentato che l’omissione della dichiarazione IVA ha riguardato anche le due transazioni per le quali vi era stato regolare adempimento ed era stato corrisposto il prezzo di acquisto e, dunque, l’imputato era ben consapevole non solo di dover presentare la dichiarazione, ma anche che l’omissione era finalizzata all’evasione dell’imposta. Ed ancora, proprio con riguardo alle due compravendite che hanno avuto regolare adempimento, si ricava che l’imputato era consapevole dell’entità dell’imposta evasa (pari al 10% del prezzo di vendita) e, correlativamente, del superamento della soglia di punibilità (di gran lunga superiore alla misura fissata all’epoca) da cui la piena prova della consapevolezza del superamento della soglia, rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa (Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, Venturini, Rv. 272578).
7. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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