CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 43913 depositata il 30 novembre 2021
Reati tributari – IVA – Omesso versamento oltre il limite di punibilità – Rilevanza penale – Esimente – Crisi di liquidità
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza del 12 febbraio 2021 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma di quella del 7 dicembre 2018 del Tribunale di Siena, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.M. per il reato a lui ascritto al capo C), ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 limitatamente all’anno di imposta 2009;
ha rideterminato la pena inflitta in 6 mesi e 15 giorni di reclusione, per i reati ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 di cui ai capi C) – per l’anno di imposta 2011, con Iva non versata pari ad € 428.839 – ed E) per l’anno di imposta 2012, con Iva non versata pari ad C 392.158, commessi nella qualità di legale rappresentante della L.A. s.p.a.; in Siena rispettivamente il 27 dicembre 2012 e 27 dicembre 2013.
La Corte territoriale ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sulla ritenuta responsabilità dell’imputato.
La Corte di appello non avrebbe risposto ai motivi di appello sull’assenza del dolo per la crisi che investì l’impresa e sull’omessa valutazione, da parte del Tribunale di Siena, delle prove fornite sulla applicabilità dell’art. 45 cod. pen., sulla storia della società, sulla genesi e le cause della crisi, sulle iniziative intraprese dall’imputato.
La motivazione si sarebbe limitata al richiamo della sentenza di primo grado; non sarebbero stati esaminati i documenti, elencati nel ricorso, prodotti all’udienza del 21 maggio 2018, l’esame dei testi A.B., G.R. e S.G., la relazione del commissario giudiziale dott. V. ed il suo esame, sull’effettivo apporto dell’imputato per evitare la crisi societaria, sull’assenza di volontà di sottrarsi al pagamento dell’Iva, su quanto intrapreso dall’imputato per evitare il dissesto della società, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Sono poi indicate le iniziative con il patrimonio personale, a partire dal 2005, dell’imputato e le rinunce agli emolumenti; si tratterebbe di condotte antecedenti alla scadenza del termine per il pagamento dell’Iva e non tardive come indicato dalla Corte di appello. Nel caso de quo sarebbero, pertanto, applicabili i principi elaborati dalla giurisprudenza, riportati nel ricorso, per ritenere esistente il costringimento inevitabile o uno stato di necessità idoneo ad escludere la volontà di non adempiere.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge: la Corte di appello non avrebbe dichiarato la prescrizione anche per il reato di cui al capo C) prescrizione massimo era di 7 anni e 6 mesi ed era già maturato il 4 dicembre 2020, da calcolarsi a partire dal 27 dicembre 2012, più le sospensioni dal 25 giugno 2018 al 29 ottobre 2018 (per 129 giorni), dal 9 novembre 2018 al 7 dicembre 2018 (per 28 giorni, rinvio per legittimo impedimento). L’errore sulla sussistenza del reato avrebbe determinato anche l’errore nella determinazione della pena, poiché il reato più grave è stato ritenuto quello di cui al capo C).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, con cui si deduce il vizio della motivazione, il secondo motivo sulla prescrizione è invece infondato.
1.1. La condanna è intervenuta per i reati ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 di cui ai capi C), per l’anno di imposta 2011, ed E) per l’anno di imposta 2012, commessi rispettivamente il 27 dicembre 2012 e 27 dicembre 2013. Dagli atti risulta che le imputazioni sono relative a più processi riuniti. Per il reato ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 il termine massimo di prescrizione è di 7 anni e 6 mesi; vi sono ulteriori periodi di sospensione della prescrizione non conteggiati dal ricorrente con conseguente infondatezza dell’eccezione proposta.
1.2. Qualora sia disposto un rinvio dell’udienza, in accoglimento di un istanza difensiva di riunione ad altro processo pendente nello stesso stato e grado dinanzi al medesimo giudice, il corso della prescrizione è sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione (in motivazione, la S.C. ha evidenziato la necessità di contemperare, da un lato, l’interesse dell’imputato ad essere giudicato contestualmente, ove più processi pendano davanti al medesimo giudice, e, dall’altro, l’esigenza di evitare il pregiudizio derivante dal ritardo nella definizione dei processi di cui si richiede la riunione; così Sez. 3, n. 29885 del 15/0412015, Vuolo, Rv. 264433 – 01).
Però, in tema di sospensione e interruzione della prescrizione, l’estensione dell’effetto al reato connesso si produce a condizione che la causa della interruzione o sospensione del termine si sia verificata dopo la riunione dei procedimenti (Sez. 5, n. 38078 del 05/04/2005, Mangia, Rv. 233074 – 01).
1.3. Analizzando i verbali di udienza, ai fini del computo della sospensione del termine di prescrizione, rilevano i seguenti rinvii.
1.3.1. Il processo per il capo C) dal 4 novembre 2015 al 16 dicembre 2015 fu rinviato su richiesta della difesa per procedere alla riunione con altro processo; durante tale periodo era dunque sospeso il termine di prescrizione.
All’udienza del 11 marzo 2016 il giudice dispose la riunione del processo di cui al capo C) con quello n. 478/2015: nei due processi riuniti, quindi anche in quello relativo al capo C), il Tribunale rinviò l’udienza sulla richiesta della difesa di riunione con il procedimento n. 4649/2014 relativo al capo E), fissando l’udienza al 9 settembre 2016. Anche in tale periodo, quanto al capo C), vi è la sospensione del termine di prescrizione.
1.3.2. Il processo per il solo capo E), prima della riunione, fu rinviato su richiesta dei difensori per procedere alla riunione con i processi già instaurati (fra cui quello relativo al capo C) dal 15 aprile 2016 al 7 ottobre 2016. Durante tale periodo era dunque sospeso il termine di prescrizione per il solo capo E. All’udienza del 7 ottobre 2016 vi è stata la riunione dei processi.
1.3.3. Per entrambi i reati va computata la sospensione della prescrizione e per il rinvio su richiesta della difesa dell’udienza dal 8 gennaio 2018 al 21 maggio 2018, dal 25 giugno 2018 al 29 ottobre 2018 per l’astensione dei difensor dalle udienze. Per quanto in sentenza sia indicato il rinvio per legittimo impedimento, dal verbale dell’udienza del 9 novembre 2018 risulta un rinvio senza richieste difensive. La sospensione della prescrizione opera anche tra il 24 giugno 2021 ed il 13 ottobre 2021, per l’adesione dei difensori all’astensione proclamata dagli organismi forensi per 111 giorni.
1.4. In sintesi, per il capo C), i periodi di sospensione della prescrizione decorrono dal 4 novembre 2015 al 16 dicembre 2015; dal 11 marzo 2015 al 9 settembre 2016; dal 8 gennaio 2018 al 21 maggio 2018; dal 25 giugno 2018 al 29 ottobre 2018; dal 24 giugno 2021 al 13 ottobre 2021, per complessivi 594 giorni di sospensione. Pertanto, il reato si prescriverà il 11 febbraio 2022.
Non risulta maturato il termine di prescrizione neanche per il capo E), per il quale, i periodi di sospensione della prescrizione decorrono dal 15 aprile 2016 al 7 ottobre 2016; dal 8 gennaio 2018 al 21 maggio 2018; dal 25 giugno 2018 al 29 ottobre 2018; tra il 24 giugno 2021 ed il 13 ottobre 2021, per un totale di 545 giorni. Il reato si prescriverà il 24 dicembre 2022.
2. Il primo motivo è invece fondato.
2.1. Dalla motivazione della sentenza di primo grado risulta che il Tribunale ha aderito alla tesi per cui, nei casi di omesso versamento dell’Iva, la crisi di liquidità possa assurgere a forza maggiore se l’imputato dimostri che le difficoltà finanziarie siano a lui non imputabili e che non possano essere fronteggiate con idonee misure, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale. Il Tribunale ha ritenuto che l’imputato abbia provato che la crisi finanziaria fosse dipesa da attori estranei al suo comportamento, ma che non avesse provato di essersi efficacemente attivato per reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, attingendo anche al suo patrimonio personale, ritenendo insufficiente la rinuncia ai crediti nei confronti della società e gli sforzi di ricapitalizzazione effettuati, perché mai indirizzati a consentire il pagamento dei debiti tributari.
2.2. Con l’appello si dedusse che il Tribunale non valutò la documentazione da cui risultava che l’imputato nel 2005 rinunciò alla liquidazione del proprio TFR per circa € 180.000; nell’anno 2006 partecipò ad un aumento del capitale versando, per la sua quota, € 1.326.906, mediante un mutuo personale di euro 2.000.000 erogato nei confronti anche dei suoi fratelli dalla Banca MPS; nel 2010 effettuò un altro finanziamento soci versando € 400.000 attraverso la Banca Asciano; nel 2011 effettuò plurimi versamenti quali finanziamenti soci per un ammontare di € 612.500; nel 2012 effettuò finanziamenti soci per € 42.400 con ulteriori versamenti. Si eccepì che il ricorrente, diversamente da quanto rappresentato dal Tribunale, intraprese tutte le azioni necessarie per evitare il dissesto finanziario; che, ciononostante, non riuscì ad evitare la crisi finanziaria;
che l’omesso versamento dell’I.V.A nei termini di legge fu un atto inevitabili.
Si affermò, altresì, che l’imputato assolse agli obblighi di allegazione dei documenti che comprovavano la non imputabilità al contribuente della crisi economica che aveva improvvisamente investito l’azienda, specificando altresì che la circostanza non avrebbe potuto essere fronteggiata altrimenti.
2.3. La Corte territoriale non ha risposto a tale motivo di appello: la motivazione si fonda solo sulla postergazione dei crediti nel concordato preventivo, mentre la questione dedotta concerneva il travisamento della prova per omissione di documenti e delle prove orali attestanti il reperimento di risorse finanziarie dal 2006. Il motivo per altro era strettamente collegato alla ratio della decisione di primo grado, fondata proprio sulla mancata prova del sacrificio personale dell’imprenditore.
Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad a tra sezione della Corte di appello di Firenze.
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