CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 44654 depositata il 24 novembre 2022

Infortunio sul lavoro – Cantiere temporaneo o mobile – Svolgimento di attività preparatorie mediante elevazione in quota – Reato di omicidio colposo – Responsabilità del datore e del datore di lavoro di fatto – Sussistenza

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale cittadino, con la quale M.C. e M.A., nelle rispettive qualità, la prima, di Amministratore Unico e legale rappresentante della società L.F. a r.l., datore di lavoro, il secondo, quale datore di lavoro di fatto, erano stati condannati per il reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore B.L., deceduto in Roma il 7/1/2015, in conseguenza dell’infortunio avvenuto nel corso di lavori di ristrutturazione della copertura di un capannone industriale della citata società, oltre alle ipotesi contravvenzionali indicate nella imputazione, ha dichiarato l’estinzione di queste per prescrizione e rideterminato la pena, confermando nel resto l’appellata sentenza.

Nella specie, in base alla ricostruzione operata dal Tribunale e recepita dai giudici d’appello alla stregua delle evidenze raccolte quanto alla dinamica degli eventi (tra cui: testimonianze, dichiarazioni CC.TT. del pubblico ministero, documentazione, verbali di sommarie informazioni acquisiti con il consenso delle parti, verbali di sequestro probatorio, contratto di noleggio e lettera-contratto di assunzione del lavoratore deceduto non sottoscritta, cartella clinica e riproduzioni fotografiche dello stato dei luoghi, oltre all’esame degli imputati), il 2/1/2015 il B. si era trovato sul cantiere insieme al collega D.; quest’ultimo aveva sentito il “principale” M.A. rivolgersi alla vittima chiedendogli di prendere le misure onde verificare l’estensione del cestello elevatore per eseguire i lavori sul tetto del capannone; il M. era stato presente e aveva visto i due operai usare il carrello elevatore, senza che fosse stata loro fornita alcuna misura di sicurezza; i lavori da eseguire consistevano nella sostituzione del solaio del capannone; i lavoratori non avevano ricevuto alcuna formazione per quel tipo di lavorazione, né erano stati dotati di dispositivi di protezione; l’infortunio era avvenuto mentre gli operai stavano movimentando le lamiere, spostandole dal basso verso l’alto, il B. posto sul carrello con il compito di posizionarle sulla copertura, servendosi di una piattaforma noleggiata, in forza di contratto decorrente dal 7/1/2015; M.A., il giorno dell’infortunio, aveva chiesto al B. di andare nel cantiere, chiedendogli di verificare l’idoneità del carrello prima dell’inizio del noleggio, senza dargli i necessari dispositivi di sicurezza, nella consapevolezza della mancanza di un POS e di una corretta ed esaustiva formazione del lavoratore, il quale, nel corso dell’attività, cadeva da di circa 8 metri all’interno del capannone, riportando lesioni che ne causavano il decesso.

2. Gli imputati, con la stessa difesa, hanno proposto separati ricorsi di analogo contenuto, formulando tre motivi.

Con il primo, denunciano i vizi di cui all’art. 606, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla asserita, mancata risposta alle argomentazioni difensive contenute nel gravame con specifico riferimento alla insussistenza di un “cantiere temporaneo o mobile” rilevante ai fini della operatività delle norme contenute nel d.lgs. n. 81/2008. Secondo la prospettazione difensiva, i lavori di rifacimento del tetto del capannone avrebbero dovuto avere inizio il 7/1/2015, il giorno dell’infortunio dovendosi svolgere solo operazioni preliminari aventi a oggetto la fattibilità dei lavori e la idoneità del mezzo noleggiato dalla ditta O. s.n.c., i cui dipendenti si erano recati presso il capannone per dare supporto agli operai B. e D.. La stessa Corte d’appello aveva riconosciuto che M.A., il giorno dell’infortunio, aveva ordinato al B. di effettuare delle verifiche circa la compatibilità del macchinario noleggiato, senza procedere alla sostituzione dei pannelli; con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva, che nessuna delle attività espletate il giorno dell’evento poteva essere ricondotta tra quelle che l’art. 89 comma 1, lett. a), d. Igs. n. 81/2008 individua come necessarie per riconoscere la qualifica di “cantiere temporaneo o mobile”, tale non potendosi considerare il luogo nel quale si svolgono attività preliminari rispetto a quelle indicate, se non in forza di una inammissibile interpretazione in malam partem. Né può valere il richiamo alla presenza di tre operai sul posto il giorno dell’infortunio o del macchinario che sarebbe stato impiegato per la lavorazione, il cui contratto di noleggio sarebbe iniziato a decorrere alcuni giorni dopo il fatto.

Quale conseguenza di tale ragionamento, in ipotesi di lavori in economia, come nella specie, sarebbero dunque applicabili solo le disposizioni che regolano la figura del datore di lavoro, come stabilisce la circolare ministeriale n. 30 del 5/3/1998 esplicativa della disciplina contenuta nel d. Igs. 494/1996, con conseguente operatività del d. lgs. n. 626/1994 e delle disposizioni di settore di volta in volta applicabili e non, quindi, degli obblighi di cui al Titolo IV del d. lgs. n. 81/2008.

Con un secondo motivo, sono stati dedotti analoghi vizi, questa volta con riferimento al nesso di causalità e alla valutazione dell’effetto interruttivo che la difesa ricollega a un comportamento abnorme del lavoratore deceduto, a suo parere comprovato dal fatto che il B. aveva iniziato l’esecuzione dei lavori sebbene il 2/1/2015 dovessero solo svolgersi attività preparatorie, così introducendo un rischio nuovo e imprevedibile. La condotta della vittima, secondo la difesa, avrebbe ecceduto le mansioni, gli ordini e le direttive impartite ed era stata imprevedibile proprio per difetto di indicazioni che la autorizzassero. A ciò si aggiunga che il lavoratore stava operando con uno stato di alcolemia pari al 1,1 g/l, circostanza che la Corte di merito avrebbe superato erroneamente escludendone ricadute sull’evento verificatosi.

Quanto, poi, alle omissioni riguardanti la formazione e la informazione dei lavoratori, la difesa rileva che sia il D. che il B. avevano partecipato a specifici corsi nel 2009 e nel 2010, cosicché, all’epoca dei fatti, non era ancora scaduto il quinquennio di validità di essi, come stabilito dall’Accordo n. 221/ESR in vigore il 26/1/2012. In ogni caso, anche a voler considerare violati tali obblighi, ad esito del giudizio controfattuale, non potrebbe affermarsi che il B., lavoratore esperto con mansioni di capo cantiere, sia caduto a causa della violazione di quelle regole cautelari, essendo palese la pericolosità della sua condotta, immediatamente percepibile come tale da chiunque, a prescindere dalla partecipazione a specifici corsi di formazione, avendo egli agito di sua spontanea volontà.

Il terzo motivo, infine, con il quale sono stati dedotti analoghi vizi, è parzialmente diverso rispetto ai due imputati.

Entrambi i ricorrenti hanno sindacato la correttezza del ragionamento svolto dai giudici del gravame in ordine alla verifica della prevedibilità e evitabilità dell’evento: quanto a M.C., si è rilevato però che l’affermazione della penale responsabilità sarebbe conseguenza del ruolo ricoperto, non essendo esigibile il comportamento alternativo lecito; quanto al coimputato M.A., invece, si è affermato che non sarebbe stato dimostrato che l’imputato avesse svolto funzioni di datore di lavoro di fatto, essendosi trovato solo occasionalmente sul luogo dell’incidente e non essendo in ogni caso possibile, anche a voler ritenere che avesse assunto qualche funzione nell’esecuzione dei lavori del 2 gennaio 2015, estenderla oltre il perimetro delle attività programmate per quel giorno, vale a dire la verifica della idoneità dei mezzi affittati a partire dal 7 gennaio 2015 a effettuare le opere di sostituzione del tetto del capannone, per le quali non era necessario approntare dotazioni di sicurezza.

3. La difesa ha rassegnato per entrambi gli imputati motivi nuovi, con separati atti, di contenuto sostanzialmente sovrapponibile, con i quali ha ripreso i temi dell’elemento psicologico e della prevedibilità e evitabilità dell’evento.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. I temi devoluti dai ricorrenti, in maniera sovrapponibile, eccezion fatta per un distinguo che riguarda il profilo della prevedibilità e evitabilità dell’evento, ineriscono alla definizione di “cantiere temporaneo o mobile”, contestata dalla difesa, e alla conseguente operatività delle norme di cui al d. Igs. n. 81/2008; al comportamento della vittima che la difesa assume abnorme e imprevedibile e, quindi, interruttivo del nesso causale; infine, alla prevedibilità e evitabilità dell’evento in capo agli imputati.

La trattazione dei tre motivi dedotti nei rispettivi ricorsi impone, tuttavia, il richiamo ad alcuni principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità quanto alla natura del vizio motivazionale deducibile in caso di doppia conforme di condanna, quale deve ritenersi quello all’esame rispetto al reato di omicidio colposo. Deve, infatti, ricordarsi che la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado per formare un unico complessivo corpo argomentativo. Ciò è sicuramente vero allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, A., Rv, 257595); ma a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, V., Rv. 252615). Ciò in quanto sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099; sez. 3 n. 18521 del 11/1/2018, F., RV. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, M., Rv. 253099).

4. Il primo motivo di entrambi i ricorsi è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha ritenuto che le evidenze raccolte avessero dimostrato che, sia pur di fatto, il cantiere fosse stato operativo già il 2 gennaio 2015. A tal fine, ha valorizzato la presenza di ben tre operai e delle macchine noleggiate, sebbene il relativo contratto dovesse iniziare cinque giorni dopo. Del resto, lo stesso Tribunale, nella sentenza appellata, aveva precisato che l’attività da svolgersi quel giorno, secondo quanto riferito dal teste D., consisteva nella verifica della idoneità delle macchine, ossia della sufficiente estensione del cestello, implicando al contempo di raggiungere il tetto e di utilizzare il carrello. L’imputato M. era stato ben consapevole di ciò in quanto presente in cantiere, tanto da avere raccomandato al B. di stare attento, pur non avendo fornito ai lavoratori alcun presidio di sicurezza, neppure individuale (casco, imbracatura, cintura di sicurezza).

Pertanto, secondo la ricostruzione fattuale contenuta nelle due sentenze di merito, conformi in ordine alla affermazione di responsabilità ai fini d’interesse, il giorno dell’infortunio in quel luogo si era svolta attività edilizia, implicante lavoro in quota, pur se preliminare alla sostituzione del tetto del capannone.

Tale argomentare, peraltro, è perfettamente coerente con quanto già chiarito da questa Corte di legittimità: nella nozione di “luogo di lavoro”, rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra infatti ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa (sez. F. n. 45316 del 27/8/2019, G.P., Rv. 277292), finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro (cfr. sez. 4, n. 12223 del 3/2/2015, dep. 2016, D., Rv. 266385; sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, Rv. 258435) e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività (sez. 4, n. 43840 del 16/5/2018, Rv. 274265).

In tale ampia nozione rientra per l’appunto l’area di lavoro nella quale insisteva il capannone che costituiva oggetto dell’intervento edile svolto in economia dalla società L.F. a r.l.: la vittima, direttamente incaricata dal M.A., avrebbe dovuto eseguire un’attività propedeutica alla successiva sostituzione della copertura, verificando, mediante uso del cestello elevatore e accesso sulla copertura stessa, la sufficiente capacità di estensione del macchinario già consegnato al cantiere, sebbene in forza di un contratto di noleggio che avrebbe avuto inizio giorni dopo.

Peraltro, nel caso in esame, è stato accertato (e la giustificazione fornita dai giudici del merito è esente da censure, siccome congrua, coerente con le evidenze acquisite e non contraddittoria, come tale non potendo esser rimessa in discussione in questa sede, attraverso prospettazioni fattuali alternative, estranee allo scrutinio di legittimità) che la lavorazione (e, quindi, anche l’attività ad essa propedeutica) era pertinente a un capannone di proprietà della società L.F. a r.l. e l’incarico, evidentemente funzionale all’attività lavorativa svolta da quella società, era stato affidato proprio dall’imputato M. alla vittima. In tal modo, il legale rappresentante della società e il datore di lavoro di fatto hanno certamente assunto la gestione dei rischi relativi al campo di lavoro, peraltro collocato in quota, stanti le caratteristiche del manufatto della cui copertura si trattava e del mezzo da impiegarsi per eseguire l’opera da rimuovere; gli stessi strumenti erano stati messi a disposizione dal datore di lavoro e, tra questi, il macchinario noleggiato, a prescindere dalla decorrenza del relativo contratto, stante la disponibilità di esso il giorno dell’infortunio.

5. Anche il secondo motivo dedotto con entrambi i ricorsi è manifestamente infondato.

Con specifico riferimento alla condotta della vittima, vanno sì confermati i principi ai quali da tempo si attiene questo giudice di legittimità nel valutare gli obblighi di protezione che gravano sugli stessi lavoratori: in materia di prevenzione antinfortunistica, infatti, si è certamente passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, S., Rv. 266073). In altri termini, si è passati, a seguito dell’introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, P., Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.

Tuttavia, e ciò va fermamente ribadito anche in questa sede, è sempre valido il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, P., cit.). All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, G., Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, M., Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, B. Rv. 272222).

Nella specie, la Corte di merito ha correttamente evidenziato, sulla scorta degli elementi probatori valutati con un ragionamento non censurabile, che il lavoratore era stato incaricato proprio dal M. di effettuare le verifiche della idoneità del macchinario fornito da terzi, verifiche da effettuarsi mediante l’impiego di esso, l’elevazione in quota dell’incaricato senza presidi individuali e l’accesso alla copertura dalla quale poi sarebbe caduto, tanto che lo stesso imputato si era sentito in dovere di raccomandare al B. di essere prudente. Pertanto, nessun rischio eccentrico può dirsi imprevedibilmente introdotto dal B., la sua condotta ponendosi quale diretta e prevedibile conseguenza delle condotte colpose addebitate agli imputati.

6. La terza censura formulata con i due ricorsi, oltre che generica, è parimenti manifestamente infondata.

La difesa si è limitata ad assumere il difetto dell’elemento soggettivo in capo ai due gestori del rischio, ai quali sono stati mossi gli addebiti colposi, adducendo, quanto alla M.C., la imprevedibilità del comportamento della vittima, tuttavia insussistente per quanto già sopra chiarito e richiamando la tesi della sua mancata ingerenza nella gestione della società.

La Corte territoriale, sul punto specifico, ha rilevato che l’imputata non aveva delegato a terzi la sicurezza dei lavoratori della società, per la quale, a suo dire, la stessa si limitava a svolgere compiti di natura amministrativa. E, tuttavia, era proprio la M. a disporre delle risorse economiche per garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro e ad essere tenuta per legge a predisporre il POS, magari delegandolo a terzi soggetti competenti, ciò che, nella specie, era difettato.

La posizione della imputata, dunque, lungi dal costituire quella di un soggetto solo formalmente investito degli obblighi di tutela e sicurezza, chiamato dunque a rispondere oggettivamente dell’evento occorso al lavoratore dipendente, è stata ricondotta dai giudici del merito a quella di chi, pur essendo titolare dei relativi poteri decisori ed economici, ha agito in totale incuria e dispregio delle regole di sicurezza dell’ambiente di lavoro, rispetto a un rischio generico, quale quello della caduta dall’alto (rispetto al quale valga un rinvio alla giurisprudenza di questa Sezione in ordine alla responsabilità del datore di lavoro e, in particolare, a sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, S., Rv. 259321 e, più di recente, a sez. 4, n. 21517 del 9/2/2021, M., Rv. 281245; n. 24908 del 25/5/2021, P., RV. 281680).

Trattasi di ragionamento che si salda con quanto argomentato dal primo giudice, il quale aveva già stigmatizzato il fatto che l’imputata, a prestar fede alle sue stesse dichiarazioni, era stata gravemente negligente e imprudente nel limitarsi a firmare senza leggere atti relativi alla società di capitali rappresentata, senza occuparsi della sicurezza sul lavoro, omettendo di attivarsi per garantire idonea formazione ai lavoratori, non dotandoli neppure dei presidi di protezione e, in definitiva, non delegando neppure tali incombenze a terze persone.

Sul punto, peraltro, pare sufficiente ricordare che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la previsione dell’art. 299 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione (sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, dep. 2022, B., Rv. 282568, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che, in assenza di delega di poteri, aveva riconosciuto la qualifica di datore di lavoro al presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, nonostante si occupasse della prevenzione un altro componente del consiglio di amministrazione).

Quanto, invece, all’imputato M.A., oltre a ribadirsi che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (sez. 4, n. 22606 del 4/4/2017, M., Rv. 269973; n. 50037 del 10/10/2017, B., Rv. 271327; n. 22079 del 20/2/2019, C., Rv. 276265; n. 31863 del 10/4/2019, A., Rv. 276586), va rilevato che la manifesta infondatezza della relativa doglianza poggia anche sulla pretesa difensiva di offrire una diversa lettura delle risultanze probatorie, in base alla quale si assume la mera occasionalità della presenza del M. in cantiere, il giorno dell’infortunio, contraddetta però dalle prove valutate conformemente dai giudici del doppio grado; si è continuato a contestare lo svolgimento di fatto delle funzioni di vero e proprio datore di lavoro, ancora una volta dimostrato, invece, secondo i giudici del doppio grado di merito, da elementi probatori valutati in maniera immune da censure; si è ribadita l’eccentricità della condotta del lavoratore, anche questa, come sopra già evidenziato, correttamente esclusa nelle due sentenze di merito.

9. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte cost. n. 186/2000), oltre alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili costituite, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili B.C., B.I., B.M., B.M., B.I., C.B., B.V., B.E., B.G., B.D. e B.M.M. che liquida in complessivi euro dodicimila, oltre accessori di legge.