CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 44737 depositata il 5 novembre 2019
Reati tributari – Occultamento scritture contabili obbligatorie – Legale rappresentante della società – Mancata partecipazione alla gestione – Responsabilità penale – Esclusione – Prova – Testimonianza amministratore di fatto
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 2 luglio 2018 la Corte d’appello di Bari, provvedendo sulle impugnazioni proposte dagli imputati nei confronti della sentenza del 31 gennaio 2017 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari, per quanto ora rileva per effetto dei ricorsi proposti avverso tale sentenza, ha respinto l’impugnazione proposta da A.A., che era stata dichiarata responsabile del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 (ascrittole per avere, quale socia e amministratrice della S.r.l. A.G.D. e a fine di evasione, occultato alla data del 26/4/2012 le scritture contabili obbligatorie tenute per gli esercizi di imposta 2006/2007, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari relativi a tali anni di imposta; in data anteriore e prossima al 26/4/2012; capo F della rubrica), e ha confermato la responsabilità di G.N. in relazione al reato di cui all’art. 10 quater d.lgs. 74/2000 solamente in relazione alle indebite compensazioni di imposte dallo stesso eseguite quale amministratore della S.r.l. S. relativamente agli anni di imposta 2008 e 2009 (capo J della rubrica), assolvendolo dalle contestazioni relative alle compensazioni eseguite in relazione agli anni di imposta 2010, 2011 et 2012 e rideterminando la pena inflittagli per le violazioni residue in cinque mesi di reclusione.
2. Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha lamentato l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., a causa dell’omessa considerazione dei nuovi documenti prodotti con l’atto di impugnazione, oltre che dei motivi posti a fondamento del gravame, dai quali avrebbe potuto ricavarsi il mancato esercizio da parte della ricorrente dei poteri di amministrazione della società di cui era la legale rappresentante, alla cui gestione non aveva in realtà mai partecipato, giacché la società era stata amministrata esclusivamente, in via di fatto, dal padre della ricorrente medesima, di cui costei aveva eseguito le direttive, come riconosciuto dallo stesso genitore della ricorrente. Le condotte indicate nella motivazione della sentenza impugnata, alla pagina 12, ritenute dimostrative dell’esercizio dei poteri di amministrazione, erano, in realtà, state realizzate in esecuzione delle direttive del padre e non erano, comunque, idonee a consentire di ravvisare l’effettivo esercizio dei poteri di amministrazione da parte della ricorrente, che non aveva le competenze necessarie per amministrare una società commerciale, non aveva mai partecipato alla gestione, se non realizzando su indicazione del padre, G.A., tali condotte, ed era sempre stata impegnata in via esclusiva nella propria attività lavorativa di cassiera o commessa.
Ha sottolineato, in particolare, che le condotte ritenute dimostrative dell’esercizio dei poteri di amministrazione che le spettavano quale legale rappresentante della S.r.l. A.G.D., consistenti nella partecipazione alla deliberazione relativa al trasferimento della sede della società in Romania e ad un viaggio in tale nazione, di per sé non dimostrative di tale effettivo e consapevole esercizio di detti poteri, erano, in realtà, relative al reato di cui al capo g) della rubrica, dichiarato estinto per prescrizione all’esito del primo grado giudizio, conclusosi con l’affermazione della sua responsabilità solamente in relazione al reato di occultamento di scritture contabili di cui al capo f) della rubrica, con la conseguente insufficienza della motivazione di entrambe le sentenze di merito anche a causa della improprietà degli elementi a carico considerati.
3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza anche G.N., il cui difensore lo ha affidato a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo ha denunciato la mancanza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., a causa del travisamento degli elementi documentali considerati dalla Corte d’appello per addivenire alla affermazione della esecuzione di indebite compensazioni per un ammontare superiore alla soglia di rilevanza penale di euro 50.000 applicabile ratione temporis, in quanto il credito portato in compensazione dell’Iva dovuta per l’anno 2008 era stato indicato nella relativa dichiarazione 2009 (nel quadro VL) in euro 35.107,00, mentre la Corte d’appello lo aveva erroneamente indicato nella somma di euro 59.781,95; il credito portato in compensazione dell’Iva dovuta per l’anno 2009 era stato indicato nella relativa dichiarazione 2010 (nel quadro VL) in euro 88.022,00, mentre la Corte d’appello lo aveva indicato nella diversa ed errata misura di euro 82.954,67.
Tali errate indicazioni determinavano un travisamento delle prove, essendo stata introdotta nel processo una informazione non esistente, costituita dal diverso ammontare della somma indebitamente portata in compensazione per l’anno 2008, dato la cui espunzione era idonea a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento considerato dalla Corte d’appello, trattandosi di errore percettivo e non valutativo.
Analogo rilievo ha sollevato in ordine alla contestazione concernente la compensazione eseguita in relazione all’anno d’imposta 2009, nella dichiarazione presentata nel 2010, eccependo anche la mancata acquisizione dei modelli F24 e la conseguente mancanza degli atti da cui ricavare la prova della indebita compensazione contestata, non essendo sufficiente a tal fine quanto emergente dalla sola dichiarazione Iva annuale.
3.2. In secondo luogo ha lamentato ulteriore vizio della motivazione e la erronea applicazione degli artt. 10 bis e 10 quater d.lgs. 74/2000, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., con riferimento alla affermazione da parte della Corte territoriale del superamento della soglia di punibilità, ribadendo l’insufficienza, per poter ritenere dimostrate le compensazioni contestate, di quanto emergente dalle sole dichiarazioni Iva relative agli anni di imposta 2008 e 2009, in assenza della acquisizione dei modelli F24 mediante i quali erano state eseguite le compensazioni oggetto delle contestazioni residue (cioè quelle relative ai suddetti anni di imposta 2008 e 2009), richiamando al riguardo quanto chiarito nella sentenza di questa Corte n. 15236 del 2015.
Con riferimento alla contestazione relativa all’anno 2009 ha poi evidenziato la necessità di applicare la disciplina vigente all’epoca della condotta, cioè quella anteriore al d.lgs. 158 del 2015, secondo cui il superamento della soglia di rilevanza avrebbe dovuto essere verificato con riferimento alle somme dovute e non versate per effetto della indebita compensazione e non all’ammontare di queste ultime.
Ha lamentato anche l’omessa risposta da parte della Corte d’appello ai rilievi svolti mediante la memoria difensiva depositata nel corso dell’udienza del 25 maggio 2018, nonché l’erroneità della affermazione, contenuta nella sentenza di secondo grado, dell’avvenuto superamento della soglia di rilevanza penale di euro 50.000 nell’anno d’imposta 2009, nel quale l’imposta dovuta era pari a euro 32.873,26, come indicato a pag. 39 della sentenza impugnata, con la conseguente irrilevanza, al fine del superamento di detta soglia, della effettuazione di compensazioni ritenute indebite per complessivi euro 82.954,67, come indicato nella sentenza d’appello, dovendo aversi riguardo, nella verifica del superamento della soglia di punibilità, alla imposta dovuta e non alla somma compensata.
3.3. Con un terzo motivo ha lamentato ulteriore vizio della motivazione e la erronea applicazione degli artt. 10 bis e 10 quater d.lgs. 74/2000 e dell’art. 17 d.lgs. 241/97, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., nuovamente con riferimento alla affermazione da parte della Corte territoriale del superamento della soglia di punibilità sulla sola base di quanto emergente dalle dichiarazioni annuali Iva, in mancanza dei modelli F24 mediante i quali erano state effettuate le compensazioni di crediti non spettanti, solamente dall’esame dei quali avrebbe, però, potuto essere ricavata la prova della effettuazione delle indebite compensazioni oggetto delle residue contestazioni a carico del ricorrente, con la conseguenza mancanza della prova della realizzazione delle condotte addebitategli.
Considerato in diritto
1. Entrambi i ricorsi sono fondati.
2. La censura formulata dalla A., circa la mancata considerazione, da parte di entrambi i giudici di merito, delle proprie doglianze in ordine alla mancanza di una sua partecipazione alla gestione della S.r.l. A.G.D., di cui era solo formalmente la amministratrice, ma che era in realtà e di fatto gestita dal padre della ricorrente, come peraltro da questi riconosciuto, nonché a proposito della insufficienza delle condotte considerate per poter ritenere provata la sua partecipazione alla amministrazione di tale società, è fondata.
La Corte territoriale, nel disattendere il gravame della A., si è limitata a ribadire quanto osservato dal primo giudice, circa la valenza dimostrativa della effettiva partecipazione alla amministrazione della S.r.l. A.G.D., di cui la A. era socia e legale rappresentante, sia della sua partecipazione alla deliberazione di trasferimento della sede sociale in Romania e ad un viaggio nella località presso la quale la sede sociale era stata trasferita, sia della mancata esibizione della documentazione contabile agli organi accertatori, omettendo di adeguatamente considerare quanto esposto nell’atto di impugnazione, circa la estraneità della imputata alla gestione della società, controllata dal padre, di cui essa si limitava a eseguire le direttive, come da quest’ultimo ammesso, oltre che dichiarato anche dal fratello della imputata.
Ora, a fronte delle censure sollevate con l’atto d’appello e delle ammissioni del coimputato G.A., padre della ricorrente, oltre che degli altri elementi allegati a sostegno della prospettazione difensiva, la Corte territoriale si è limitata a ribadire quanto esposto dal primo giudice, senza considerare quanto esposto nell’atto di impugnazione, sottolineando solamente gli elementi indicativi della partecipazione alla amministrazione già indicati dal primo giudice, di per sé soli insufficienti, alla luce degli elementi di segno contrario allegati dalla imputata, a dimostrare l’effettività di tale partecipazione, stante la necessità dell’intervento del socio e legale rappresentante alla deliberazione di trasferimento della sede e la scarsa significatività della partecipazione al viaggio in Romania, cosicché i giudici dell’impugnazione, a fronte dei rilievi sollevati con l’atto d’appello, avrebbero avuto l’onere di evidenziare e illustrare la valenza dimostrativa degli elementi indicativi di detta partecipazione e anche di confutare quelli di segno contrario allegati dalla ricorrente (tra cui il regolare e stabile svolgimento da diversi anni di lavoro dipendente come cassiera o commessa). Ne consegue la sussistenza del vizio di motivazione su tale punto denunciato dalla ricorrente, che impone un nuovo esame di detto punto, previo annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
3. Le doglianze sollevate da G.N. con il primo e il secondo motivo di ricorso sono fondate.
Va ricordato che la condotta del reato di cui all’art. 10 quater d.lgs. 74/2000 si caratterizza per il mancato versamento di somme dovute utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997, crediti non spettanti o inesistenti. Non è, dunque, sufficiente, a integrare il reato, un mancato versamento, ma occorre che lo stesso risulti, a monte, formalmente “giustificato” da una operata compensazione tra le somme dovute all’Erario e crediti verso il contribuente, in realtà non spettanti od inesistenti. E’ del resto, proprio la condotta, necessaria, di compensazione ad esprimere la componente decettiva o di frode insita nella fattispecie e che rappresenta il quid pluris che differenzia il reato di cui all’art. 10 quater rispetto ad una fattispecie di semplice omesso versamento (così Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263051). Il delitto di indebita compensazione si consuma, di conseguenza, al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (così Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, dep. 01/02/2019, Cappello, Rv. 274854).
L’indebita compensazione deve, dunque, risultare dal modello F24 mediante il quale la stessa è stata realizzata, indicandovi, appunto in compensazione, crediti inesistenti o non spettanti, trattandosi dello strumento imposto dal legislatore tributario per poter eseguire le compensazioni tra debiti e crediti tributari, che, quindi, non possono che essere realizzate attraverso la presentazione di tale modello debitamente compilato, in difetto del quale non può dirsi sussistente una compensazione.
Ciò posto, nel caso in esame l’esecuzione delle compensazioni ritenute indebite è stata desunta dalle annotazioni sul libro giornale, dalle dichiarazioni Iva e dai versamenti d’imposta effettuati mediante i relativi modelli F24, senza dare atto, però, come necessario, della realizzazione delle compensazioni ritenute indebite nei corrispondenti modelli F24 via via presentati nel corso dell’anno d’imposta, cosicché, in difetto di tale accertamento, deve ritenersi mancante la prova in ordine alla effettuata compensazione, quale necessario presupposto del mancato versamento, posto che non si dà atto nella sentenza impugnata della effettuazione delle compensazioni nei modelli F24 presentati nel corso degli anni d’imposta 2008 e 2009 e che la prova della loro realizzazione è stata ricavata dalle annotazioni sul libro giornale e dalle dichiarazioni Iva.
Ne consegue, a fronte della contestazione del reato di cui all’art. 10 quater, il necessario annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto.
4. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, con riguardo a A.A., e senza rinvio perché il fatto non sussiste, con riguardo a N.G..
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con riguardo a A.A. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari e senza rinvio con riguardo a N.G. perché il fatto non sussiste.
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