CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 46953 depositata il 16 ottobre 2018
Imposte indirette – IVA – Dichiarazione annuale – Omesso pagamento – Violazioni – Sanzioni penali
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza, del 28 settembre 2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano – G.I.P. – (11 gennaio 2016) che aveva condannato M.P. alla pena di mesi 4 di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000, per omesso pagamento IVA per € 250.808,00, anno 2010.
2. M.P. propone ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
2. 1. Il fatto non è previsto dalla legge come reato per mancato superamento della soglia di punibilità, violazione dell’art. 10 ter, d. lgs. 74/2000; manifesta illogicità della motivazione e travisamento del fatto in relazione alla soglia di punibilità.
L’art. 8, comma 1, del d. Igs. n. 158 del 2015 ha modificato l’art. 10 ter, d. lgs 74/2000, con la soglia di punibilità di € 250.000,00. Nel caso in giudizio la soglia non è stata superata poiché l’IVA a debito è di soli 248.325,00 e l’importo di € 2.483,00 è relativo agli interessi (rigo VL 36 per gli interessi e rigo VL 32 per l’IVA, mentre il totale del rigo VL 38, riguarda il totale di IVA ed interessi).
Gli interessi erano dovuti per la scelta del versamento trimestrale.
Gli interessi non sono da considerare voce dell’imposta, ma sanzione a tutti gli effetti. L’imposta evasa quindi è inferiore alla soglia di punibilità.
2. 2. Violazione di legge, art. 45, cod. pen. 10 ter, d.Igs. 74/2000 e 42, cod. pen.; manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancanza del dolo.
La sentenza nega la crisi di liquidità che ha investito la società nel 2010. La crisi di liquidità, conclamata, e accertata anche con la testimonianza della commercialista della società, era dovuta al mancato incasso di crediti per circa 2 milioni di €., e tale crisi esclude la sussistenza del dolo, per il reato in oggetto.
La sentenza impugnata invece, rileva come il ricorrente ha pagato per scelta imprenditoriale gli stipendi e altri debiti, per proseguire nell’impresa.
Infine il regolare incasso della somma di circa 2 milioni di euro avrebbe sicuramente consentito il pagamento dell’IVA, invece la sentenza impugnata illogicamente ritiene modeste le somme non incassate, “fisiologiche” nel quadro dell’attività.
Ha chiesto pertanto l’annullamento senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Considerato in diritto
3. Con il novellato art. 10 ter del d. lgs. n. 74 del 2000 (come modificato dall’art. 8 del d. lgs. 158 del 2015) il limite per la configurabilità del reato è di € 250.000,00: “E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.
Nel nostro caso la somma omessa è di soli € 248.325,00 di imposta evasa; manca l’elemento oggettivo del reato di omesso versamento di IVA, che si configura solo per omessi versamenti superiori ad € 250.000,00.
Infatti ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera F), d. lgs. 74 del 2000 per «imposta evasa si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili».
Nel calcolo dell’imposta quindi devono certamente detrarsi gli interessi pagati per il versamento trimestrale, conteggiati nella dichiarazione al rigo VL 36 in € 2.483,00; conseguentemente la somma dovuta per l’imposta IVA è di € 248.325,00 (sottosoglia) risultante dal rigo VL 32, mentre quella considerata dalla sentenza impugnata è di € 250.808,00, del rigo VL 38. La somma del rigo VL 38 (espressamente indicata nella sentenza impugnata, in relazione all’importo ed al rigo VL 38 della dichiarazione) è relativa sia agli interessi e sia all’IVA.
L’omessa proposizione del motivo in appello non è rilevante in quanto il non superamento della soglia di punibilità esclude la stessa sussistenza del reato – parziale depenalizzazione – ed è quindi rilevabile d’ufficio, o in sede esecutiva ex art. 673, cod. proc. pen.
Del resto questa Corte Suprema di Cassazione già si è pronunciata per la parziale abrogazione del reato, nell’ipotesi di soglia modificata: « La modifica dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di euro 150.000,00, ha determinato una abolitio criminis parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente» (Sez. 3, n. 34362 del 11/05/2017 – dep. 13/07/2017, Sbrolla, Rv. 27096101; vedi anche, per l’art. 10 ter, d. Igs. 74/2000, Sez. 3, n. 10810/2018 non massimata: «La mutata soglia di punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000) e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter, del d.lgs. n. 74 del 2000), al di sotto della quale operano soltanto a misure sanzionatorie di tipo amministrativo, introdotta dal d. lgs. 158/2015 rientra pertanto nell’abrogazione parziale dei due reati, nei quali il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva si è tradotto nel restringimento dell’area della loro penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia. Configurando la soglia di punibilità un elemento costitutivo di entrambe le fattispecie legali astratte delle suddette disposizioni, è evidente che la sua modifica rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo, rimanendo l’area della punibilità circoscritta alle sole condotte che si collochino al di sopra della nuova soglia»).
Non v’è dubbio, del resto, che alla data odierna l’omesso versamento di somme inferiori a 250.000,00 euro non è (più) previsto dalla legge come reato, sicché ove dovesse contestarsi, oggi, l’omesso versamento di somme per importi inferiori alla nuova soglia, la formula di proscioglimento – come sopra visto – sarebbe «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», che il giudice può adottare senza nemmeno accertare la corrispondenza al vero del fatto così contestato.
La sentenza impugnata deve quindi annullarsi senza rinvio perché il fatto non sussiste. Nel reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, il superamento della soglia di punibilità – fissata, in 250.000 euro, in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015, in 250.000 euro – non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’integrazione della soglia non dipende, infatti, da un evento futuro ed incerto ma dallo stesso comportamento dell’agente che, con una condotta omissiva, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico). (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015 – dep. 25/01/2016, Vanni, Rv. 265938).
Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera F) del d. Igs n. 74 del 2000 per valutare il superamento della soglia di punibilità di € 250.000,00, per il reato di cui all’art. 10 ter, d. Igs. 74 del 2000, deve tenersi conto solo ed esclusivamente dell’IVA evasa e non anche degli interessi dovuti per il versamento trimestrale»
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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