CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 48246 depositata il 23 ottobre 2018
Imposte indirette – IVA – Omesso versamento – Responsabilità penale – Procedimento – Contenzioso tributario
Ritenuto in fatto
1. Il sig. A. V. ricorre per l’annullamento della sentenza del 18/05/2017 della Corte di appello di Campobasso che, pronunciando sull’impugnazione avverso la sentenza di condanna del 22/03/2016 del Tribunale di Isernia, ha ribadito, per quanto qui rileva, la affermazione della sua responsabilità penale per il reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento, nel 2008, della somma di 393.586 euro dovuta a titolo di imposta sul valore aggiunto relativa all’anno 2007) e, in riforma della pronuncia impugnata, lo ha assolto dal reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, e ha ridotto la pena nella misura definitiva di quattro mesi di reclusione.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., la nullità assoluta della sentenza di primo grado per violazione degli artt. 127 e 130, cod. proc. pen.
Deduce, in fatto, che con decreto del 14/04/2016 il Tribunale di Isernia aveva fissato l’udienza camerale del 05/05/2016 per la correzione dell’errore materiale della sentenza del 22/03/2016 depositata senza la pagina 5 delle motivazioni. L’avviso, però, era stato notificato al sostituto processuale del difensore di fiducia e non a quest’ultimo. Il sostituto processuale, prosegue, era stato nominato di volta in volta per le singole udienze dibattimentali, in base a deleghe scritte o orali, come risulta dai relativi verbali. All’udienza del 05/05/2016, dunque, l’imputato non era stato assistito dal proprio difensore di fiducia.
Eccepisce, in diritto, la nullità assoluta, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale emessa in violazione del diritto al contraddittorio e, di conseguenza, della sentenza del Tribunale (in quanto integrata/corretta con provvedimento nullo) e della sentenza della Corte di appello. Peraltro, prosegue, che la mancanza di una pagina della motivazione non avrebbe potuto essere emendata nemmeno con la procedura di correzione dell’errore materiale, sicché il provvedimento adottato sarebbe affetto anche da abnormità. Erra, in conclusione, la Corte di appello che ha liquidato l’eccezione giudicandola irrilevante non avendo il ricorrente esperito autonoma impugnazione del provvedimento di correzione.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata il 24/12/2016, addirittura prima della proposizione dell’appello.
1.3. Con il terzo motivo, deducendo di non aver rappresentato l’esistenza di alcun debito IVA nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2007, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque
l’erronea applicazione dell’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, sotto il profilo della mancanza di un elemento strutturale della fattispecie (la dichiarazione annuale).
1.4. Con il quarto motivo, deducendo l’identità del fatto storico e il conseguente concorso apparente tra il reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 (dal quale è stato assolto) e quello di cui all’art. 10-ter, stesso decreto, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale con riferimento ai principi in materia di cd. assorbimento e di antefatto e postfatto non punibile.
1.5. Con il quinto motivo, deducendo la violazione del divieto di bis in idem di matrice convenzionale quale conseguenza dell’integrale pagamento della sanzione tributaria (unitamente al pagamento dell’imposta dovuta), eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale con riferimento ai principi in materia di indebito carico afflittivo derivante da sanzione penale e da quella tributaria.
1.6. Con il sesto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle difficoltà finanziarie della società da lui legalmente rappresentata sotto i profili: a) della rilevanza delle difficoltà finanziarie della società amministrata ai fini della propria responsabilità penale; b) della svalutazione degli indici probatori in ordine alle difficoltà finanziarie della società; c) della assenza di dolo.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3.1. L’eccepita nullità dell’ordinanza di correzione di errore materiale è priva di conseguenze. Ove fondata, infatti, la sentenza rimarrebbe incompleta (e dunque ipoteticamente nulla) perché priva della pagina 5 delle motivazioni che, per evidente errore, non è stata stampata. Orbene, la pagina 5 dedica ben poco, se non quasi nulla, alla esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la condanna si fonda. Vi sono infatti elencate le pene accessorie riportate tal quali nel dispositivo, le ragioni della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, il richiamo all’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 ai fini della disposta confisca. Vi è poi riportata parte del dispositivo del quale, ovviamente, è stata data lettura integrale in pubblica udienza. Tutti gli argomenti sviluppati dal Tribunale per spiegare la condanna dell’imputato sono sviluppati nelle pagine da 2 a 4, tant’è che l’imputato ha potuto ampiamente difendersi in appello. Né egli spiega in che modo il suo diritto di difesa sia stato concretamente pregiudicato dalla mancanza della pagina 5 della sentenza, non avendo egli mai impugnato i capi della sentenza di primo grado relativi alla disposta confisca e alla applicazione delle pene accessorie.
3.2. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, la nullità della sentenza prevista dall’art. 125 cod. proc. pen. ricorre nel solo caso in cui essa sia del tutto priva di un apparato motivazionale, o nel caso in cui quest’ultimo sia meramente apparente. Sicché, quando la mancanza di una pagina non inficia l’apparato motivazionale tanto da consentire, come nel caso di specie, la compiuta articolazione della impugnazione in grado d’appello, non si verifica alcuna nullità (Sez. 3, n. 36388 del 07/07/2016, Buccafurni, Rv. 267762; Sez. 2, n. 22293 del 18/02/2010, Salomone, Rv. 247462; Sez. 3, n. 9922 del 12/11/2009, dep. 2010, Ignatiuk, Rv. 246227).
4. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
4.1. Il reato è stato commesso il 27/12/2008. Il tempo necessario a prescrivere maturava il 27/06/2016 (sei anni + un anno e sei mesi). Il dibattimento è rimasto sospeso, ai sensi dell’art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen., per complessivi 635 giorni:
4.1.1. dal 10/11/2011 al 15/03/2012 in conseguenza di richiesta di rinvio del difensore (126 giorni);
4.1.2. dal 15/03/2012 al 14/03/2013 in conseguenza dell’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dagli organismi di categoria (364 giorni);
4.1.3. dal 06/02/2014 per impedimento dell’imputato (60 giorni);
4.1.4. dal 30/06/2015 al 24/09/2015 in conseguenza di richiesta di rinvio del difensore (85 giorni).
4.2. Ne consegue che il tempo necessario a prescrivere maturerà il 24/03/2018 (27/06/2016 + 635 giorni) e di certo non era maturato alla data della sentenza impugnata, anche solo considerando la sospensione del dibattimento per l’adesione del difensore all’astensione dalle udienze.
5. Il terzo motivo è proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
5.1. Il ricorrente non ha mai dedotto, in sede di appello, la circostanza fattuale che nella dichiarazione annuale non risultava indicato alcun debito ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Tale deduzione non può essere proposta per la prima volta in questa sede.
6. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
6.1. Non esiste alcun rapporto di consunzione, assorbimento o specialità tra la fattispecie di reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 e quella di cui all’art. 10-ter, stesso decreto, tale per cui l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto indicata nella dichiarazione infedele costituirebbe un post-factum non punibile.
6.2.Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall’art. 15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668).
6.3.Orbene, tra le due fattispecie non esiste alcun rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 cod. pen., né la legge considera come elementi costitutivi del reato di dichiarazione infedele cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, fatti che costituirebbero il diverso delitto di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10- ter, stesso decreto, e viceversa. Ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74, è necessario e sufficiente che il relativo ammontare risulti dalla dichiarazione, senza ulteriori aggettivazioni, a prescindere, quindi, dalla natura fraudolenta o infedele della dichiarazione stessa (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 16458 del 16/12/2016, dep. 2017, Damian, Rv. 270388). La condotta omissiva consiste nell’omesso versamento dell’IVA così come dichiarata. Nei reati cd. dichiarativi, invece, la condotta attiva consiste nell’indicare elementi passivi fittizi o elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo. I reati cd. dichiarativi sono connotati dalla natura fraudolenta della condotta, volta a rappresentare una base imponibile inferiore a quella reale; il reato di omesso versamento dell’IVA è privo di tale caratteristica. Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, inoltre, è punito a titolo di dolo generico, a prescindere, quindi, dal fine di evasione che caratterizza tutti i reati cd. dichiarativi.
6.4. Le due fattispecie di reato, dunque, si pongono in rapporto di reciproca radicale estraneità e ben possono concorrere tra loro. La diversità delle relative condotte esclude, altresì, che possa ipotizzarsi la dedotta unicità del fatto sotto il profilo della corrispondenza storico-naturalistica tra condotta ed evento materiale. L’identità della dichiarazione non giustifica tale conclusione: il reato di dichiarazione infedele si consuma con la presentazione della dichiarazione stessa; il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto si consuma nel diverso termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.
7.Il quarto motivo è generico e manifestamente infondato.
7.1. A norma dell’art. 7, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio delle società con personalità giuridica sono esclusivamente a carico di queste ultime e non della persona fisica che legalmente le rappresenta.
7.2. Ne consegue che, trattandosi di debito tributario proprio della società <<I.C. S.r.I.>>, la sanzione si applica a soggetto diverso dall’odierno imputato; né questi deduce alcunché in contrario.
8. L’ultimo motivo è generico e manifestamente infondato.
8.1. Costituisce insegnamento consolidato di questa Corte, in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, che l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico, non potendosi ritenere tale la carenza di liquidità che rientra fisiologicamente nel rischio di impresa (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128). Ai fini della integrazione del reato, inoltre, è richiesto il dolo generico, integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, Vanni, Rv. 265939; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263127).
8.2. L’imputato, infine, non contesta quanto sostiene la Corte di appello che afferma che egli non ha mai dato prova di aver posto in essere tutto quanto gli era possibile per pagare il debito IVA, anche mediante dismissioni del proprio patrimonio.
9. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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