Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 4916 depositata il 1° febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNI SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DEL LEGALE RAPPRESENTANTE DELL’AZIENDA – COMPORTAMENTO ECCEZIONALE ED IMPREVEDIBILE DEL LAVORATORE
FATTO
1. La Corte di Appello di Catania con sentenza pronunciata in data 5 Aprile 2017 confermava la sentenza del Tribunale di Catania che aveva ritenuto LM.A. colpevole del reato di lesioni colpose subite dal proprio dipendente M.S.S. e lo aveva condannato alla pena di € 309,00 di multa.
2. All’imputato, quale socio accomandatario della azienda datrice di lavoro, era contestato di non avere messo a disposizione del lavoratore attrezzature adeguate per la realizzazione del compito affidato, consistente nella sistemazione di pedane in legno da accatastarsi in pile all’interno di capannone industriale, e in particolare di non avergli fornito una scala doppia auto stabile munita di piattaforma di lavoro.
3. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per cassazione la difesa del LM.A. articolando due motivi di ricorso.
Con un primo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui il giudice di appello aveva escluso che la condotta del lavoratore per la sua abnormità ed eccezionalità avesse interferito con la serie causale così da rappresentare la causa esclusiva dell’evento, laddove lo stesso aveva agito di propria iniziativa prevedendo ed accettando le conseguenze.
3.1 Con una seconda articolazione lamentava violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art.131 bis cod.pen. stante l’occasionalità e non particolare offensività della condotta, nonché con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario.
DIRITTO
l. Non pare cogliere nel segno il primo motivo di ricorso il quale deduce assoluta carenza motivazionale da parte del giudice di appello ma che al contrario fornisce una adeguata motivazione sull’asserita abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore, tale da interrompere la serie causale attivata dalla condotta omissiva del datore di lavoro.
2.Va preliminarmente osservato che in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell’ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento.
3.Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che la valutazione articolata dai giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell’Imputato. Invero, quanto alla deduzione del comportamento abnorme del lavoratore, è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. (La Suprema Corte ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez.IV, 28.4.2011 23292; 5.3.2015 n. 16397). Non pare dubbio – e il giudice di appello ne ha dato conto in motivazione – che sebbene il lavoratore fosse adibito a sistemare le pedane all’interno del capannone accatastandole in pile che raggiungevano l’altezza di sei metri, allo stesso non era stata messa a disposizione una scala o trabattello e che l’infortunio occorso costituiva diretta conseguenza della suddetta omissione, in quanto per provvedere all’incombente assegnato l’operaio si era issato su un muro da cui era precipitato. Di conseguenza appare del tutto congruo ed esente da vizi logici il ragionamento dei giudici di merito che hanno ritenuto né imprevedibile nè eccezionale il fatto che il dipendente, privo delle necessarie dotazioni antinfortunistiche (compreso il casco), si fosse avvalso di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi.
4. Quanto al secondo motivo di ricorso lo stesso si presenta al pari infondato avendo il giudice di appello, con motivazione integra e coerente sotto il profilo logico giuridico, escluso che il fatto occorso potesse essere sussunto sotto il paradigma della particolare tenuità tenuto conto del grado della colpa, della specifica violazione della disciplina infortunistica, della rilevanza delle lesioni occorse alla persona offesa e della complessiva gravità del fatto reato.
4.1 Parimenti il giudice di appello ha rappresentato, con adeguato costrutto argomentativo, le ragioni per cui ha inteso escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non sussistendo profili di meritevolezza da valorizzare in favore del reo, nonché il beneficio della non menzione, in relazione alla gravità del reato, al grado della colpa e al pericolo di recidivanza criminosa.
5. Conclusivamente il ricorso va rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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