CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 49296 depositata il 12 dicembre 2023
Lesioni gravi – Violazione norme prevenzione infortuni sul lavoro – Idoneità tecnico-professionale del lavoratore – Obblighi sicurezza e di igiene del lavoro – Amministratore società – Inammissibilità
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Genova, parzialmente riformando in punto di pena, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Imperia che ha dichiarato P.E. (unitamente a P.S.) responsabile del reato di lesioni gravi, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, perché in cooperazione colposa tra loro – la P. quale presidente del C.d.A. della s.r.l. M.A.D., con sede in (…) (IM), il P. quale gestore di fatto dell’azienda alberghiera-, entrambi nella loro qualità di datori di lavoro, cagionavano al lavoratore dipendente non contrattualizzato, C.G., l’amputazione di due dita della mano sinistra. Nella specie, la vittima si procurava le lesioni utilizzando una sega circolare mentre toccava inavvertitamente l’interruttore di avvio del macchinario, il quale, iniziando a funzionare, ne attingeva la mano sinistra. I profili di colpa specifica ascritti agli imputati consistono nell’aver omesso di mettere a disposizione del lavoratore attrezzature di lavoro oggetto di idonea manutenzione, al fine di garantirne l’utilizzo in condizioni di sicurezza e nell’omettere di verificare l’idoneità tecnico- professionale del lavoratore in relazione alle concrete funzioni dal medesimo esercitate.
2. Avverso la sentenza di appello propone ricorso il difensore dell’imputata che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, sotto il profilo della sua carenza, con riferimento alla posizione di garanzia dell’imputata. Nella vicenda in esame, risulta infatti pacificamente provato che colui che si occupava della gestione del cantiere edile, ove si sarebbe verificato l’infortunio, era il marito dell’imputata, P., apparendo altresì evidente che una delega, con la quale si fosse formalmente demandato a quest’ultimo il compito della supervisione, costituisca una anomalia, stante il rapporto di coniugio. Oltre a non avere individuato il contributo causale fornito dalla P., la sentenza impugnata non avrebbe motivato sulle innumerevoli contraddizioni emerse dalle dichiarazioni testimoniali, pur evidenziate nei motivi di gravame.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
2. Con specifico riguardo all’odierna ricorrente, la sentenza impugnata ha affermato che “lo svolgimento di fatto del ruolo di datore di lavoro da parte del marito non la esonerava dagli obblighi inerenti alla sua qualità formale di datore di lavoro, in quanto Presidente del Consiglio di Amministrazione della S.r.l. M.A.D.”, considerato altresì che la stessa non rilasciò alcuna delega al coniuge, ma gli consentì di disporre liberamente dei dipendenti e di organizzare in sua vece il lavoro nel cantiere svolto anche da ditte appaltatrici di singole opere. La responsabilità dell’imputata, dunque, è stata correttamente fatta discendere dal principio in forza del quale “in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda, e quindi con i vertici dell’azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni” (Sez. 3, n. 12370 del 09/03/2005, B. ed altri, Rv. 231076).
Il principio è stato ulteriormente precisato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia. (Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, O., Rv. 269133. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato); altresì sostenendosi che, in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell’amministratore della società, a cui formalmente fanno capo il rapporto di lavoro con il dipendente e la posizione di garanzia nei confronti dello stesso, non viene meno per il fatto che il menzionato ruolo sia meramente apparente, essendo invero configurabile, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 8 aprile 2008, n. 81, artt. 2 e 299 (ndr D.Lgs. 09 aprile 2008, n. 81, artt. 2 e 299), la corresponsabilità del datore di lavoro e di colui che, pur se privo di tale investitura, ne eserciti, in concreto, i poteri giuridici (Sez. 4, n. 30167 del 06/04/2023, D.R.A., Rv. 284828; nello stesso senso, Sez. 4, n. 49732 del 11/11/2014, C., Rv. 261181). In sostanza, il datore di lavoro è il soggetto “titolare del rapporto di lavoro”, il quale riveste una posizione di garanzia, indipendentemente dalla effettività dello svolgimento delle mansioni tipiche imprenditoriali e datoriali. Permane, dunque, in capo allo stesso la posizione di garanzia attribuitagli dalla legge, a meno che questi non abbia investito altri soggetti delle funzioni prevenzionistiche mediante apposita delega (si veda in argomento Sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, dep. 19/01/2022, B., Rv. 282568: “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la previsione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 299 elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che, in assenza di delega di poteri, aveva riconosciuto la qualifica di datore di lavoro al presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, nonostante si occupasse della prevenzione un altro componente del consiglio di amministrazione)”).
In conclusione, deve essere ribadito il principio a mente del quale, in tema di infortuni sul lavoro, la titolarità solo formale della qualifica di amministratore di società, a cui fa capo il rapporto di lavoro con il dipendente, non costituisce causa di esonero da responsabilità in caso di omissione delle cautele prescritte in materia antinfortunistica.
Del tutto generica si appalesa, infine, la doglianza sulle asserite “innumerevoli contraddizioni emerse nelle dichiarazioni dei testimoni”, che si configura come meramente avversativa e, comunque, volta ad accreditare imprecisate valutazioni alternative degli elementi probatori, irrilevanti in sede di legittimità in difetto di profili di illogicità e contraddittorietà della motivazione.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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