Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 49406 depositata il 5 dicembre 2019
reati tributari – omessa presentazione della dichiarazione – soglia di punibilità
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano, con la sentenza del 7 febbraio 2019, in parziale riforma della condanna inflitta dal Tribunale di Bolzano a Giuseppe Consolino, quale legale rappresentante della s.r.l. Coedil, per il reato ex art. 5 d.lgs. 74/2000, per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, relativa all’anno di imposta 2011, ha concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche ed ha ridotto la pena già inflitta in primo grado a 6 mesi di reclusione.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Bolzano ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Giuseppe Consolino.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per l’erronea applicazione dell’art. 5 d.lgs. 74/2000.
La Corte di appello avrebbe condannato l’imputato in assenza del dolo specifico; l’imputato sarebbe stato di fatto impossibilitato a pagare le imposte a causa delle sue pessime condizioni economiche, della perdita di commesse da parte della società e dei gravi problemi di salute dell’imputato, per i quali non contattò il suo consulente. Tale circostanza non sarebbe stata tenuta nella dovuta considerazione. La corte territoriale avrebbe ammesso l’esistenza della crisi della società a pagina 3 della sentenza. Nella condotta non potrebbe ravvisarsi il dolo
specifico, ma la negligenza o il dolo generico.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione, ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per l’illogica e contraddittoria valutazione della crisi economica del ricorrente.
La Corte di appello avrebbe ritenuto evidente lo stato di crisi ma avrebbe collegato, in assenza di prova, il mancato pagamento delle imposte al loro importo elevato. La motivazione sarebbe poi contraddittoria per avere collegato il mancato versamento dei contributi ai lavoratori nel 2011 alla crisi economica.
Sarebbe poi viziata la motivazione laddove ha ricollegato la finalità di evasione all’elevato importo dell’imposta evasa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, con il quale il ricorrente ha dedotto il vizio di violazione di legge, è inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, con i quali si contestò esclusivamente nel merito la sentenza di primo grado, quanto alla ritenuta sussistenza del dolo specifico; né è stata dedotta una questione rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo o che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.
2. In realtà le considerazioni espresse si legano al secondo motivo, con cui si è dedotto il vizio della motivazione. Sul punto il ricorso è infondato.
2.1. Va ricordato (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087, in motivazione) che l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche, su chi ne abbia la legale rappresentanza, il quale è tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità (art. 1, comma 4, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Il fatto che il contribuente (la persona giuridica nel caso di specie) possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione (art. 3, commi 3 e 3-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, cit.) non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente il quale, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione, è comunque obbligato alla conservazione della copia sottoscritta della dichiarazione (art. 1, comma 6, d.P.R. n. 322 del 1998).
L’adempimento formale, dunque, fa carico al contribuente il quale deve essere a conoscenza delle relative scadenze e può anche giovarsi, a fini penali, del termine di 90 giorni concesso dalla legge in caso di infruttuoso superamento del termine (artt. 2, comma 7, d.P.R. n. 322 del 1998 e 5, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000).
2.2. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio affermato da Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, Vece, Rv. 267022, per cui in tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (art. 5 del d.lgs. 74/2000), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta.
Tale prova è stata correttamente ritenuta sussistente ove si consideri che l’importo dell’imposta evasa, che non è neanche contestato, è stato tratto dalla contabilità della società rappresentata dall’imputato; si tratta di importi significativi e di cui l’imputato non ha mai dedotto di esserne stato all’oscuro; anzi nell’appello si rappresenta che il fatturato nell’anno di imposta era superiore ad € 600.000.
Il non aver contattato il commercialista per ragioni di salute non è una causa di esclusione del dolo ma una contestazione del tutto generica ed irrilevante a fronte degli obblighi del legale rappresentante.
Deve poi rilevarsi che la Corte di appello ha applicato le circostanze attenuanti generiche ritenendo sussistente una situazione di crisi parziale non tale da concretizzare una assoluta impossibilità ad adempiere.
3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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