CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 49445 depositata il 5 dicembre 2019
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 09.03.2017 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa, all’esito del giudizio abbreviato, dal -,( Tribunale di Cassino il 13.6.2013, ha confermato l’affermazione di responsabilità nei confronti di C.F. per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere, in qualità di amministratore di fatto della IC s.r.l., fallita il 1.6.2011, distratto le rimanenze di magazzino per € 209.521,00, e le attrezzature per € 512.372,48, e per avere svuotato la società, creando una nuova società (la FCI), alla quale locava il capannone ed i beni aziendali (capo A), ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000 relativamente all’anno 2007 (capo B), assolvendolo dal residuo reato di cui all’art. 10 bis per l’anno 2008 e dal reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 (capo C) perché i fatti non sono previsti dalla legge come reato; ha rideterminato la pena, originariamente inflitta nella misura di 2 anni e 2 mesi di reclusione, in 2 anni di reclusione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.F., Avv. BM, deducendo tre motivi di ricorso in relazione al reato di bancarotta fraudolenta.
2.1. Vizio di motivazione: con riferimento alla distrazione delle rimanenze di magazzino, lamenta che la responsabilità sia stata affermata sulla base della relazione del curatore, che aveva sostenuto che le merci, stimate in € 210.000,00, erano accantonate alla rinfusa in un soppalco, e sembravano avere un valore di circa 10 mila euro; tale relazione era stata tuttavia elaborata senza procedere ad alcun inventario; il curatore, invece, dopo aver eseguito l’inventario, redigeva una relazione integrativa, in data 28.9.2011, in cui dava atto di una ben diversa consistenza del valore delle merci e delle rimanenze di magazzino rinvenute presso la sede sociale di Via M. 14 a Sora; da tale verbale, non acquisito dal PM, ma prodotto nel procedimento de libertate, emerge che i beni rinvenuti avevano un valore molto vicino, se non superiore, a quello di € 210.000 contestato; inoltre, Equitalia, alla data del pignoramento del 22.9.2010, aveva attribuito alla merce un valore di € 125.418,66.
Il rigetto della deduzione sarebbe contraddittorio, perché la sentenza avrebbe valorizzato le dichiarazioni di ex dipendenti della fallita (M., C.C.o e S.L.), secondo cui nel settembre 2010, su ordine del direttore commerciale A., avevano provveduto a spostare grossi quantitativi di materie prime e merci dalla sede della IC ad un capannone di un’altra società del C., in Broccostella; secondo la Corte, dunque, i responsabili della fallita avrebbero provveduto ad occultare una grossa parte delle merci, e la discrasia con il valore attribuito da Equitalia sarebbe da ascrivere o al fatto che sono stati sottratti proprio i beni pignorati, o che vi sia stata un’errata sovrastima dei beni; tale motivazione sarebbe illogica, perché la G.d.F. non ha competenza nella valutazione dei beni, e la curatrice aveva elaborato la prima relazione senza procedere ad un inventario, mentre, successivamente, ha dichiarato che il valore della merce corrispondeva a quello oggetto di pignoramento. Tale versione sarebbe stata confermata dalle dichiarazioni, rese in sede di indagini difensive, da M.A., coadiutore del curatore nella redazione dell’inventario, e da I. e P..
Con riferimento alla distrazione delle attrezzature, lamenta che l’imputazione sia stata riferita al costo storico di € 512.372,48; il curatore avrebbe riferito di aver rinvenuto soltanto un macchinario obsoleto, dall’aspetto di un “ferro vecchio”, e, pur condividendo la consulenza tecnica di parte, secondo cui il valore residuo, basato sulla corretta appostazione in bilancio delle quote di ammortamento, sarebbe stato di € 15.620,00, il divario con quanto rinvenuto sarebbe comunque enorme.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 533 cod. proc. pen., in quanto l’accertamento delle condotte distrattive è stato fondato su mere ipotesi e congetture, in contrasto con il verbale di inventario redatto dal curatore il 28.9.2011.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio: nonostante l’assoluzione da due delle tre ipotesi distrattive ed il proscioglimento dai capi B e C, la riduzione della pena è stata soltanto di due mesi, in violazione anche del divieto di reformatio in peius, in quanto l’aumento per la continuazione era stato determinato in tre mesi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
2. Nel rilevare che il ricorso non si confronta con una ulteriore ipotesi distrattiva – la spoliazione dei beni aziendali della società fallita in favore della società FCI s.r.l., appositamente costituita per proseguire l’attività imprenditoriale, mediante locazione del capannone -, pure oggetto della affermazione di responsabilità penale (di cui alla p. 2 della sentenza impugnata), che non risulta impugnata, appare assorbente, ai fini della delimitazione della stessa responsabilità, evidenziare che la sentenza impugnata non appare sorretta da adeguata motivazione in ordine alle censure proposte dall’appellante con riferimento alla consistenza delle rimanenze.
In particolare, premesso che, con riferimento alla distrazione delle “attrezzature”, la sentenza sembra limitare l’affermazione di responsabilità al valore residuo del macchinario rinvenuto, pari ad € 15.620,00 (stando alla stima della consulenza di parte dell’imputato), sicché le relative censure appaiono infondate, la Corte territoriale non risulta essersi concretamente confrontata, in relazione alla distrazione delle “rimanenze”, con la memoria depositata dall’odierno ricorrente all’udienza di appello, contenente: le produzioni documentali costituite dal verbale di inventario del curatore con allegato elenco dei beni rinvenuti; il verbale del pignoramento di Equitalia del 22.9.2010 per un valore di 125.418,66; le dichiarazioni di A., coadiutore nelle operazioni di inventario, che aveva, tra l’altro, indicato, con riferimento ad alcuni dei beni rinvenuti nel soppalco della sede sociale, un valore economico notevolmente superiore (un tintometro del valore di circa 20 mila euro, vernici del valore di 5-6 mila euro, un carrello elevatore elettrico di valore non modesto, ecc.) a quello, pressoché nullo, indicato nel primo inventario del curatore.
La sentenza impugnata, invero, elude le specifiche censure difensive, sostenendo che i beni inventariati sarebbero stati valutati sulla base di una errata sovrastima da parte di Equitalia in sede di pignoramento, e che, comunque, tali beni sarebbero stati sottratti e spostati, nel settembre 2010, in un capannone in Broccostella.
Tuttavia, è emerso che, dopo una prima stima approssimativa, formulata senza un inventario dei beni, il curatore fallimentare abbia successivamente depositato una relazione integrativa, attestante il rinvenimento, nella sede sociale della fallita, di beni di valore certamente non insignificante, descritti mediante allegazione del verbale di pignoramento di Equitalia, che aveva attribuito agli stessi un valore di circa 125 mila euro; né, del resto, risulta accertato che le merci spostate presso il capannone in Broccostella, fotografate dai dipendenti che avevano ricevuto l’incarico, fossero proprio quelle oggetto della distrazione contestata sulla base del valore delle rimanenze appostato nel “bilancino” di esercizio del 31.12.2010, o ne costituissero (come appare verosimile) soltanto una parte, o fossero beni ulteriori.
Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo esame sui profili evidenziati.
3. Va, invece, rilevata la manifesta infondatezza del motivo concernente il trattamento sanzionatorio, per l’assorbente ragione che la pena di 2 anni di reclusione costituisce il minimo edittale applicabile; peraltro, l’aumento per la continuazione di tre mesi, evidenziato dal ricorrente, non tiene conto della riduzione per la diminuente del rito, sicché la decurtazione di due mesi, in ragione del proscioglimento dai reati tributari di cui ai capi B e C, è stata operata correttamente dalla Corte distrettuale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata , con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.