CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 49775 depositata il 6 dicembre 2019
Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Reato di lesioni personali colpose – Prescrizione – Infortunio occorso al lavoratore – Autotrasportatore dipendente – Idonee informazioni sui rischi specifici dell’ambiente di lavoro
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Trieste, in data 9 luglio 2018, ha parzialmente riformato la sentenza con la quale il Tribunale di Gorizia, in data 19 dicembre 2016, aveva condannato R. M. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di lesioni personali colpose con violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 590, comma 3, cod.pen., in cooperazione colposa con altri), e la G. C. R. s.r.l. in relazione all’illecito amministrativo ex art. 25-septies, comma 3, d.lgs. n. 231/2001. La Corte territoriale ha, in particolare, dichiarato estinto per prescrizione il reato ascritto al M. e ha, per il resto, confermato la decisione di primo grado.
Oggetto del giudizio é un infortunio occorso al lavoratore S.D., autotrasportatore dipendente dalla ditta C.D. Autotrasporti; costui aveva condotto il proprio autocarro all’interno dell’impianto gestito dalla G.C.R. per effettuare un carico di conglomerato bituminoso destinato ad altra impresa; secondo la prassi corretta, il carico doveva aver luogo accostando il mezzo a un silos. Mentre lo S. era intento alla bagnatura del cassone dell’autocarro, onde impedire che il conglomerato bituminoso aderisse al fondo del cassone stesso, egli veniva investito da una “bennata” di conglomerato bituminoso, che gli provocava gravissime ustioni su varie parti del corpo.
L’addebito mosso al M., nella qualità a lui attribuita di delegato per la sicurezza all’interno della predetta società G.C.R., é di avere omesso di fornire alle ditte degli autotrasportatori idonee informazioni sui rischi specifici dell’ambiente di lavoro e, in specie, sulle modalità di effettuazione del carico (l’effettuazione del carico mediante benna, anziché accostando gli autocarri al silos, era una procedura scorretta ma che, secondo la Corte di merito, sarebbe stata a volte osservata presso la G. C.), omettendo altresì di coordinare con l’appaltatore gli interventi di prevenzione e protezione ed eliminazione dei rischi interferenziali, dovuti cioé alla compresenza di più imprese all’interno dell’impianto, nonché di disciplinare in modo chiaro e predeterminato le operazioni di carico del conglomerato bituminoso sugli automezzi inviati dalle ditte esterne. Alla società G.C. R. viene addebitato l’illecito amministrativo dianzi indicato perché aveva agito in assenza di modello di organizzazione per la prevenzione di delitti del tipo di quello commesso (tra gli altri) dal M., in vista del conseguimento di un vantaggio costituito da una più rapida immissione sul circuito produttivo del materiale bituminoso, onde evitare un più costoso procedimento a tal fine.
A parte la declaratoria di prescrizione del reato, la Corte di merito ha affermato che non vi era l’immediata evidenza di ragioni proscioglimento nel merito, rilevando a contrario che i singoli imputati – tra cui il M. – avevano dato, nella rispettiva qualità e in relazione alle rispettive posizioni di garanzia, dato il loro contributo all’evento lesivo; quanto alla responsabilità da illecito amministrativo della società G. C. R., le modalità di caricamento del bitume mediante pala meccanica erano tutt’altro che estranee al modus operandi dell’impresa.
2. Avverso la prefata sentenza ricorrono sia il M., sia la società G.C.R..
2.1. Il ricorso del M., preceduto da una breve premessa, consta di un unico motivo, teso a denunciare vizio di motivazione della sentenza impugnata. Premettendo che la procedura di caricamento mediante pala meccanica, lungi dall’essere prassi nota, era del tutto estemporanea e fu decisa dal coimputato L. F., il deducente evidenzia che erroneamente i giudici di merito hanno ravvisato in capo al M. la posizione di garanzia a lui attribuita, a fronte di una responsabilità tipica del datore di lavoro, nell’assunto che egli fosse stato investito di delega alla sicurezza: delega che tuttavia, secondo l’esponente, non risulta in atti, e di cui incombeva alla pubblica accusa comprovare l’esistenza e la rispondenza ai requisiti di cui all’art. 16, d.lgs. n. 81/2008. Dell’esistenza della delega vi é unicamente un riferimento indiretto nella sentenza di primo grado, attraverso il richiamo al DVR nel quale si attribuisce al M. la qualifica di delegato alla sicurezza, senza ulteriori specificazioni. La Corte di merito, a fronte delle censure mosse sul punto dalla difesa del M. nell’atto d’appello, nulla ha osservato, omettendo così di fornire motivazione.
2.2. Il ricorso della società G. C. R. si articola in due motivi, preceduti da una premessa riassuntiva.
2.3. Nel primo motivo si denuncia difetto di motivazione in riferimento all’apodittica affermazione della Corte di merito secondo cui «le modalità di caricamento con la pala erano tutt’altro che estranee al modus operandi dell’impresa»: affermazione che non viene ulteriormente sviluppata dalla Corte distrettuale, che perciò incorre nel denunciato vizio motivazionale.
2.4. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione di legge con particolare riguardo all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001: disposizione secondo la quale la responsabilità da illecito amministrativo dell’ente si riferisce a reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente medesimo, da soggetti apicali o da soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di quelli apicali.
Nella sentenza impugnata, tuttavia, non viene in alcun modo argomentata la sussistenza dei predetti requisiti ai fini della configurabilità della responsabilità in capo alla società ricorrente; in particolare, vengono richiamate le deposizioni testimoniali in base alle quali non risulta che il caricamento mediante pala costituisse una modalità nota, ed anzi la pala meccanica serviva per riempire il silos, non gli autocarri. La società ricorrente ribadisce quanto già sostenuto nel ricorso M., e cioé che l’iniziativa di effettuare il carico mediante pala meccanica fu estemporanea e fu adottata dal coimputato F..
Considerato in diritto
1. Il ricorso del M. é inammissibile per carenza di interesse. Ed invero, secondo quanto affermato in proposito dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione proposto dall’imputato avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, emessa con riferimento a reato presupposto della responsabilità da reato degli enti, non essendo configurabile un autonomo interesse dell’imputato neppure nel caso in cui dalla responsabilità dell’ente possano discendere conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o amministratore (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 41768 del 22/06/2017, Fitto e altri, Rv. 271287). Si soggiunge che, come pure affermato da questa Corte in tema di impugnazioni, l’imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, é tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ponendosi così rimedio all’errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Pintilie, Rv. 275219).
Nella specie, il reato contestato al M. é stato dichiarato estinto per prescrizione e, peraltro, alcuna conseguenza economica negativa discende a suo carico da tale pronunzia, atteso che é stata confermata anche la statuizione del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda di parte civile nei confronti dello stesso M.. Né, del resto, il ricorrente ha dimostrato l’esistenza di evidenti ed oggettive ragioni di suo proscioglimento nel merito.
2. E’ invece fondato il ricorso della società G. C. R..
Vi é, infatti, da registrare l’evidente carenza motivazionale in ordine alla consistenza probatoria dell’ipotesi -apoditticamente accreditata nella sentenza impugnata, ma confutata nel ricorso della società suddetta sulla scorta di numerosi richiami probatori – che presso la G. C. R. si fosse univocamente instaurata una prassi contra legem, la cui sussistenza chiama in causa la vigilanza del datore di lavoro (e soprattutto postula, comunque, l’effettiva conoscenza o conoscibilità della prassi medesima da parte sua): è sufficiente qui ricordare che è il datore di lavoro ad essere tenuto a dominare ed evitare l’instaurarsi, presso gli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, Sentenza n. 22813 del 21/04/2015, Palazzolo, Rv. 263497); e, nella specie, ad essere chiamato in causa è un soggetto che viene qualificato come “delegato” dal datore di lavoro, in assenza tuttavia di elementi comprovanti l’esistenza di tale delega (e, con essa, del dovere di vigilanza sulle prassi contra legem).
2.1. A parte tale considerazione, risulta del tutto carente e apodittico il percorso argomentativo della Corte di merito in ordine all’effettivo instaurarsi della prassi denunciata e alla conoscenza o conoscibilità della stessa da parte dei soggetti responsabili; tale prassi, peraltro, anche dalla lettura delle motivazioni della sentenza di primo grado, risulta non univocamente acclarata (si parla piuttosto di una modalità residuale, talvolta adottata in passato, ma ciò viene riferito solo da alcuni fra i testimoni); così come non risulta in alcun modo affrontato, neppure nella pronunzia del Tribunale, il tema della conoscenza o della conoscibilità di siffatta prassi da parte del vertice aziendale.
2.2. Anche sotto il profilo della violazione dell’art. 5, d.lgs. n. 231/2001 la sentenza impugnata si appalesa del tutto lacunosa, non essendo stato in alcun modo argomentato in che cosa sarebbe esattamente consistito “l’interesse” o il “vantaggio” della società perseguito attraverso la condotta criminosa, se non con un sommario rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado (la quale a sua volta, a pag. 16, si limita a un breve accenno a un non meglio precisato risparmio sui tempi di lavoro e sulle spese di smaltimento del bitume non conforme all’ordine). Orbene, é noto che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (Sez. 4, Sentenza n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda, Rv. 274320); ma nella specie, né l’uno, né l’altro criterio di imputazione risultano osservati; e, con particolare riguardo all’assunto della violazione sistematica di norme antinfortunistiche, vale quanto si é osservato a proposito della carenza motivazionale circa l’instaurarsi della prassi contra legem nelle modalità di carico del conglomerato bituminoso presso la società ricorrente.
3. Conclusivamente, alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso del M. consegue la condanna dello stesso ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il M. va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
La sentenza impugnata va invece annullata, quanto alla posizione della società G. C. R., con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’appello di Trieste.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei conforti della G.C.R. s.r.l., e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Trieste.
Dichiara inammissibile il ricorso di M. R. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
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