Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50350 depositata il 12 dicembre 2019
reato fiscale – occultamento e/o distruzione dei documenti contabili
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 26.04.2018, la Corte d’appello di Ancona confermava la sentenza del tribunale di Ancona 14.04.2016, che aveva condannato il B. alla pena condizionalmente sospesa di 9 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, perché ritenuto colpevole dei reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, di distruzione ed occultamento di scritture contabili ex art. 10, d. lgs. n. 74 del 2000 e di violazione dell’art. 11, comma 1, d. l. n. 201 del 2011, in relazione a fatti contestati come accertati in data 30.01.2012.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando otto motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo dell’illegittimità ed errata valutazione della prova. In sintesi, la difesa lamenta il fatto che, nonostante gli indizi di reato fossero emersi in data 22 novembre 2011, gli accertatori non avevano proceduto secondo le modalità previste dall’articolo 220 disp. att. c.p.p. e, pertanto, la parte del PVC su cui i giudici di merito avevano fondato la loro decisione redatta successivamente non potrebbe entrare nel processo penale. Infatti, i verificatori hanno fatto coincidere l’emersione degli indizi di reato con l’ultimo giorno del controllo, momento in cui veniva redatto il PVC e tutta l’attività di controllo era terminata, non osservando le garanzie previste dal codice di procedura penale, con conseguente inutilizzabilità di tutti gli atti successivi all’accesso del 22 novembre 2011. Del resto, per la difesa, la prova del fatto non era emersa nel corso del giudizio e la sola testimonianza dell’agente accertatore non era idonea a fondare l’accusa. Per tali ragioni il PM ha obbligato gli agenti accertatori a depositare il verbale di PVC e, a tale acquisizione, la difesa in primo luogo si era opposta e, in secondo luogo, aveva eccepito e richiesto l’inutilizzabilità già in sede di appello.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge sotto il profilo dell’illegittimità nella valutazione della prova testimoniale dell’agente. In sintesi, la difesa ricorda che è onere dell’accusa presentare elementi di prova utilizzabili ex articolo 195 c.p.p. Sottolinea che gli agenti non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351, 357 comma 2 lettere a) e b) c.p.p. Data quindi tale inutilizzabilità, la difesa sottolinea che l’unico riscontro esistente è il verbale di PVC prodotto illegittimamente nel fascicolo dibattimentale.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge sotto il profilo della genericità del capo di imputazione e della sentenza. In sintesi, la difesa lamenta la genericità del capo di imputazione che non ha permesso di esercitare correttamente il diritto di difesa: infatti l’arco temporale della violazione non è definito e la contestazione è generica così da non riuscire a comprendere quali fatture sono state occultate e distrutte, circostanza non chiarita neppure in dibattimento in cui l’unico teste escusso non è stato in grado di riferire quali fossero tali fatture. La difesa ritiene quindi necessaria la dichiarazione di nullità o illegittimità della sentenza.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge per intervenuta prescrizione del reato. In sintesi, la difesa lamenta il fatto che l’istruttoria dibattimentale non ha fatto chiarezza sul periodo in cui sono state commesse le violazioni contestate, e ritiene che per il principio del favor rei, il riferimento non può essere che riferibile al 2007 con conseguente prescrizione dei reati.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, violazione di legge sotto il profilo del principio nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali e conseguente nullità della sentenza. In sintesi, la difesa sottolinea che i documenti contabili sono registrati su formato cartaceo e oggi su quello digitale. L’imputato consegnava le fatture registrate in data 21 novembre 2011 e in data 12 dicembre 2011 eseguiva una seconda consegna; osserva pertanto che non può essere incorso nel reato di cui all’articolo 11, comma primo, d.l. 201 del 6 dicembre 2011 perché l’emissione o la consegna di fatture già emesse in anni precedenti in cui il fatto non era previsto come reato non può fondare la responsabilità stante il principio di irretroattività. Per la difesa l’illecito non poteva quindi essere stato commesso, dato che la consegna era un atto successivo alla commissione.
2.6. Deduce, con il sesto motivo, violazione di legge sotto il profilo dell’errata valutazione del fatto e dell’illegittimità della sanzione penale per mancanza di un numero limitato di fatture, donde non sarebbe configurabile il reato di distruzione o occultamento di documenti contabili ex articolo 10 D.Igs 74/2000.In sintesi, la difesa ritiene non integrato il reato perché le omissioni hanno riguardato importi limitati e non hanno impedito di ricostruire i redditi e il volume degli affari. Invero, sottolinea che tale reato non è configurabile nel caso in cui il risultato economico delle operazioni non documentate possa comunque essere accertato sulla base di altra documentazione conservata dall’imprenditore, mancando in tal caso l’offensività della condotta. Inoltre, per la difesa manca, considerando anche il limitato volume di affari, una corretta valutazione dell’elemento soggettivo del reato che è caratterizzato dal dolo specifico di evasione.
2.7. Deduce, con il settimo motivo, violazione di legge e correlato vizio di motivazione sotto il profilo della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. In sintesi, la difesa sottolinea il fatto che il giudicante deve tener conto della pena, della natura, della specie dell’azione, della mancanza di gravità del danno e delle condizioni di vita sociali e familiari del reo. Sottolinea inoltre che il ricorrente ha ammesso le sue responsabilità in data 21 novembre 2011 e si è attivato per la ricostruzione del reddito omesso, ha collaborato con gli accertatori. Data la particolare tenuità del fatto la difesa sostiene la necessaria applicazione di tali circostanze. Inoltre, sottolinea che, per quanto concerne il precedente penale, sarà promosso un giudizio di revisione, poiché esso è frutto di una norma che comportava l’interdizione dall’esercizio della professione che è stata dichiarata incostituzionale.
2.8. Deduce, con l’ottavo motivo, violazione di legge e correlato vizio di motivazione sotto il profilo della mancata declaratoria di non punibilità ex articolo 131 bis c.p. per particolare tenuità del fatto. In sintesi, la difesa ritiene applicabile tale disciplina data la condizione del ricorrente, un uomo di 68 anni che ha subito un fallimento con gravi ripercussioni economiche, che oggi ha una certa stabilità economica. Pertanto sottolinea che, per l’uomo, subire una sanzione accessoria come la pubblicazione della sentenza su quotidiani potrebbe essere un duro colpo. Del resto, la precedente condanna per esercizio abusivo della professione, conseguente alla dichiarazione di fallimento che conduceva a non poter esercitare la professione, sarà oggetto di richiesta di revisione e non è ostativa all’applicazione dell’articolo 131 bis. c.p. La difesa, inoltre, sottolinea che la causa di non punibilità è stata applicata anche ad un reato di omesso versamento di Iva che prevede la soglia di punibilità di 250.000 euro e che, nel caso in esame, si tratta di un’omissione di Iva di modesto importo. Inoltre, la difesa chiede di valutare la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12 d.lgs. 74/2000 per quanto attiene alle omissioni di Iva di modesto importo, data la depenalizzazione di omissioni contributive IVA per importi annui pari ad euro 250.000.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il primo motivo è inammissibile.
4.1. Ed invero, in sede di appello il giudice di merito ha ritenuto aspecifico il motivo con cui non venivano spiegati quali fossero gli atti e le acquisizioni viziati da nullità per violazione del diritto di difesa, ed ha inoltre sottolineato che i profili di rilevanza penale sono stati valutati solamente all’esito degli accertamenti amministrativi compiuti e documentati. Pertanto, nel momento della emersione degli indizi di colpevolezza sono stati rispettati i principi di cui al codice di procedura penale e non risulta essere stato leso il diritto di difesa dell’imputato. Il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale utilizzabile nel processo penale. È ben vero, tuttavia, che, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., perché, altrimenti, la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria (in questo senso Cass. Sez. 3, sentenza n. 54379 del 23/10/2018). E’ tuttavia altrettanto vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’art. 220 disp.att. cod. proc. pen. non determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l’inutilizzabilità o la nullità dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l’art. 220 disp. att. rimanda (Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018 – dep. 05/12/2018, G, Rv. 274131; Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016 – dep. 13/02/2017, Pelini e altro, Rv. 269299; in tale ultima decisione, in particolare, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché i ricorrenti non avevano indicato né dedotto le violazioni codicistiche che avrebbero determinato l’inutilizzabilità del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza).
5. Anche il secondo motivo è inammissibile.
5.1. Come ricordato dalla difesa del ricorrente, in base al disposto dell’art. 195, c.p.p., che detta la disciplina la testimonianza indiretta, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettera a) e b). Una specifica disciplina è prevista quindi per la testimonianza degli agenti e degli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali non possono deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, ma limitatamente alle dichiarazioni acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357 comma 2, lett. a) e b). Negli altri casi, possono invece essere chiamati a deporre. L’ordinaria disciplina dei primi tre commi si applicherà dunque sia in relazione a qualsiasi dichiarazione proveniente da soggetti terzi ed appresa al di fuori di un rapporto dialettico formale (ad es. interrogatorio), sia con riferimento a dichiarazioni rese da tali soggetti, se corret- tamente documentate secondo modalità diverse da quelle richiamate dal comma 4.
5.2. Tanto premesso, il motivo è inammissibile. Ed invero, come sottolineato dalla Corte di appello, la deposizione del teste Petrucci Giovanni è utilizzabile, con i limiti di cui si dirà infra, come fonte di informazione sull’attività svolta e sui suoi esiti. Invero come si evince dalla sentenza di primo grado, il teste ha riferito che nel corso di un accesso ispettivo presso lo studio dell’imputato che svolgeva la professione di geometra era stato rinvenuto sul computer un file contenente fatture che avevano lo stesso numero, data e prestazioni di quelle registrate in contabilità ed esibite, ma con un importo superiore a queste ultime. Tuttavia, il teste riferisce che era stato eseguito un accertamento presso i clienti del geometra per confermare la veridicità delle prestazioni, come risultanti dalle fatture rinvenute sul computer, e che da tale accertamento erano anche emerse fatture non registrate in contabilità. Orbene, dal verbale di udienza redatto con fonoregistrazione in data 29 gennaio 2015 risulta che il teste, nel riferirsi anche a quanto confermato dai clienti del professionista, oltre a quanto da loro dichiarato, si è riferito direttamente a quanto rinvenuto nei loro uffici. Il quadro probatorio, risulta dunque confortato non solo dalla presenza delle fatture rinvenute sul pc dell’indagato, dal PVC in atti, ma anche dal dato oggettivo costituito dalle risultanze dell’accertamento eseguito presso i clienti del geometra, che aveva consentito l’emersione di fatture non registrate in contabilità.
6. Palese l’inammissibilità del terzo motivo.
6.1. Il motivo è infatti inammissibile, consistendo in una mera riproposizione delle censure già sollevate con l’atto di appello. Inoltre, la Corte di appello ha sottolineato che si trattava di un motivo nuovo e infondato date le precise contestazioni rivolte all’imputato anche alla luce degli atti depositati.
7. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
7.1. Le censure prospettate dal ricorrente sono infatti prive di pregio in quanto puramente contestative e generiche. E’ infatti evidente come la doglianza secondo cui l’istruttoria dibattimentale non avrebbe fatto chiarezza sul periodo in cui sono state commesse le violazioni contestate (con la conseguenza che il dies a quo avrebbe dovuto essere individuato nel 2007), non hanno pregio, non soltanto perché, in relazione al reato di cui all’art. 11, d.l. n. 201 del 2011, il reato si è consumato al momento della consegna delle fatture ideologicamente false in data 12.12.2011 e, quanto al delitto di occultamento di documenti contabili, la condotta – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (da ultimo: Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016 – dep. 24/03/2017, Quaglia, Rv. 269898), dunque il dies a quo decorre dal 30.01.2012.
7.2. Non rileva, peraltro, la circostanza che, limitatamente alla contestazione relativa all’art. 11, comma 1, d. l. n. 201 del 2011 – in assenza di eventi interruttivi del termine di prescrizione – la stessa si è estinta per intervenuta prescrizione alla data del 12.06.2019. Ed invero, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
7.3. Analogamente, ritiene il Collegio infondato il rilievo quanto alla residua imputazione di cui all’art. 10, d. lgs. n. 74 del 2000, il cui termine di prescrizione maturerà in data 30.01.2022. Ed invero, in base a quanto sopra specificato, il dies a quo del termine di prescrizione decorre dal momento dell’accertamento (30.01.2012). Il termine di prescrizione, tenuto conto del disposto dell’art. 17, comma 1-bis, d. lgs. n. 74 del 2000, secondo cui “I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo”, non è infatti ancora decorso. Detta disposizione, introdotta dall’ art. 2, comma 36- vicies semel, lettera I), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (che trova applicazione, per espressa previsione del comma 36-vicies bis del predetto art. 2 “ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, e, dunque, a far data dal 17.09.2011, data di entrata in vigore della predetta legge), comporta pertanto l’individuazione del termine di prescrizione per il delitto di cui all’art. 10 in anni dieci. Dunque, anche ove si ritenesse di individuare tale dies a quo in quello più favorevole al reo, la prescrizione maturerebbe alla data del 30.01.2022.
8. Il quinto motivo è inammissibile.
8.1. La norma punisce “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”. La ratio della incriminazione è quella di assicurare un efficace presidio penale alle attività di controllo della posizione dei contribuenti ad evitare che siano frustrate da comportamenti idonei a sviarne il corretto svolgimento. L’obiettivo è, dunque, ottenere una “leale collaborazione” del cittadino confidando nella forza persuasiva e deterrente dello strumento penale. La fattispecie in esame sanziona la condotta di chi “esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte”, non rilevando invece la circostanza che gli stessi – nella specie le fatture ideologicamente false – sia intervenuta precedentemente all’entrata in vigore della disciplina normativa. Il disvalore penale è infatti integrato dalla condotta consistente nell’esibire o trasmettere gli atti o i documenti falsi.
8.2. Ne discende, quindi, che, essendo stata posta in essere la predetta condotta illecita in data posteriore all’entrata in vigore della disciplina (quantomeno con riferimento alla seconda consegna, intervenuta in data 12.12.2011), non risulta in alcun modo violato il principio di irretroattività della legge penale.
9. Anche il sesto motivo è inammissibile.
9.1. Ed invero, per quanto concerne il reato in esame, l’occultamento e la distruzione della contabilità integrano il delitto non ex se, ma solo in quanto abbiano determinato la impossibilità di procedere alla ricostruzione dei redditi o del volume degli affari. Tale elemento non costituisce una modalità della condotta o una condizione obiettiva di punibilità, ma l’evento del reato, il comportamento illecito del contribuente. In altre parole, per la configurazione del reato è necessaria una impossibilità di procedere alla ricostruzione dei redditi da intendersi come l’ammontare complessivo netto delle entrate, determinato ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 917 del 1986 e del volume degli affari. Quest’ultimo viene definito dall’articolo 20, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, ed è costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e di prestazioni di servizi effettuate dal contribuente, registrate o soggette a registrazione con riferimento ad un anno solare. Tale formula normativa tuttavia non è esente da problemi interpretativi in relazione all’individuazione dell’impedimento della ricostruzione. Ed invero la dottrina si interroga se occorra un impedimento assoluto ed insuperabile, o sia sufficiente una seria difficoltà di ricostruzione, comunque superabile ottenendo in altro modo i dati contabili necessari e se il requisito debba essere valutato sulla base di un giudizio di idoneità “ex ante” ovvero debba essere riscontrato in concreto. In passato la dottrina e la giurisprudenza si contrapponevano sul punto: infatti, la prima richiedeva un’effettiva lesività del comportamento e, quindi, un’impossibilità assoluta, mentre, la seconda, con un orientamento valido ancora oggi, riteneva che fosse sufficiente, data la natura di reato di pericolo del delitto in esame, una lesione all’interesse alla trasparenza fiscale del contribuente. A tal proposito, la giurisprudenza è costante nell’affermare che, in tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante (in questo senso Cass., Sez. 3, sentenza n. 7051 del 15/01/2019; Cass., Sez. 3, sentenza n. 39711 del 04/06/2009). Certamente il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato, in quanto in tal caso manca la necessaria offensività della condotta.
9.2. Nel caso in esame, tuttavia, la ricostruzione del reddito e del volume degli affari è stata possibile solo attraverso una ricostruzione della Guardia di finanza effettuata attraverso accertamenti presso i clienti dell’imputato e sul computer del B., nonchè mediante verifiche sulle movimentazioni per bonifici eseguiti dai clienti con riferimento alle operazioni bancarie al numero di fattura esistente nella versione file rivenuta presso l’ufficio del geometra. Da qui, dunque, quella ricostruibilità aliunde che integra compiutamente l’illecito penale in esame, essendo stato a più riprese ribadito da questa stessa Sezione che l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde (In motivazione la Corte ha precisato che il reato deve essere escluso, per mancanza di offensività, solo nel caso in cui il risultato economico delle operazioni possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dallo stesso imprenditore: Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018 – dep. 26/09/2018, Vitali, Rv. 274862-02).
10. Il settimo motivo è inammissibile.
10.1. Ed invero, la Corte di appello ha motivato congruamente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, sottolineando l’intensità del dolo, la presenza di un precedente penale specifico e la mancanza di fattori suscettibili di apprezzamento per la concessione. Del resto, la concessione delle circostanze attenuanti generiche non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art.133 cod. pen., essendo sufficiente che si specifichi a quale di essi si sia inteso fare riferimento. (sul tema, Cass. sez. I 33506/2010).
10.2. Nel caso di specie il giudice valorizza il profilo soggettivo del dolo e pertanto sussiste una motivazione logica e coerente. Inoltre è opportuno sottolineare che in materia di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto e la sua motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art.133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (così Cass., Sez. 5, sentenza n. 43952 del 13/04/2017). Non rileva, allo stato, il rilievo in fatto secondo cui per il precedente penale è stata annunciata la promozione di un giudizio di revisione, atteso che, in ogni caso, il diniego risulta motivato non solo per l’esistenza di precedenti penali ma anche, e soprattutto, valorizzando in chiave negativa il profilo soggettivo del dolo e la mancanza di fattori suscettibili di apprezzamento per la concessione.
11. Anche l’ottavo ed ultimo motivo non si sottrae al giudizio di inammissibilità.
11.1. Ed invero, come è noto, con l’articolo 1 della l. 16 marzo 2015 n. 28 è stato introdotto l’istituto della particolare tenuità del fatto con lo scopo di ampliare l’ambito di esclusione della rilevanza penale del fatto e della non sanzionabilità di alcune condotte astrattamente integranti gli estremi del reato. L’articolo 131-bis, c.p. è applicabile ai soli reati puniti con la pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni ed è configurabile laddove il giudice possa affermare, sulla base dei parametri affermati dall’articolo 133 c.p., la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. La disposizione in esame specifica che l’offesa non possa essere definita lieve nel caso in cui la condotta incida in modo definitivo e irreparabile sul bene vita o sulla sua incolumità ovvero quando ricorrono alcune delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 63 c.p. Inoltre, la norma prevede delle presunzioni di abitualità che sussistono in tutti quei casi in cui l’imputato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso altri reati della medesima indole anche se ciascun fatto, in sé considerato, sarebbe di lieve entità.
11.2. Orbene, nel caso di specie, la Corte di appello correttamente ritiene insussistenti i requisiti di applicabilità della speciale causa di non punibilità, data la pluralità delle condotte, il tempo prolungato di commissione e l’esistenza di un precedente penale specifico, donde la motivazione non appare censurabile. Del resto, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità (in questo senso Cass., Sez. 3, sentenza n. 776 del 04/04/2017). Inoltre, è opportuno sottolineare che, nel caso in esame, sussiste il vincolo di continuazione ciò che costituisce un comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio (in tal senso Cass., Sez. III, n. 29897/2015 e, da ultimo, Cass., Sez. 6, sentenza n. 18192 del 20/03/2019 che afferma che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento del beneficio).
11.3. Le ragioni sulla cui base la difesa del ricorrente ne sollecita l’applicazione, del resto, sono articolate su argomenti meramente fattuali e paiono ispirarsi a ragioni di opportunità (età del reo; ingiustizia nel dover subire la sanzione accessoria come la pubblicazione della sentenza su quotidiani, senza peraltro tener conto che ex art. 166, c.p. l’intervenuta sospensione condizionale della pena principale si estende ex lege a quelle accessorie; la “revisionabilità” della precedente condanna per esercizio abusivo della professione).
11.4. Privo di pregio è poi il raffronto con altre fattispecie penali tributarie in relazione alle quali è stata riconosciuta in giurisprudenza l’applicabilità dell’art. 131- bis, c.p., non solo perché la valutazione della particolare tenuità del fatto deve essere operata tenuto conto delle singole circostanze concrete (essendo stato affermato infatti che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo: Sez. U, n. 13681 dei 25/02/2016 – dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590), ma anche perché, a differenza di altre fattispecie penali tributarie, quella in esame, prescinde dalla esistenza o meno di soglie di punibilità, essendo incentrato il disvalore penale sul comportamento illecito del contribuente attuatosi attraverso l’occultamento o la distruzione della contabilità, finalizzato ad evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi.
12. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.O.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
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