Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50929 depositata il 17 dicembre 2019
reati tributari – cause di forza maggiore – escluso la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione (contributiva o fiscale) per effetto di una scelta di politica imprenditoriale
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bari con sentenza del 18 gennaio 2019, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Bari del 22 febbraio 2016 ha rideterminato la pena nei confronti di GS, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in mesi 4 di reclusione relativamente al reato di cui all’art. 10 ter d. lgs. 74 del 2000 (omesso versamento dell’IVA per € 273.380,00 per l’anno 2010).
2. Ricorre in cassazione l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
La motivazione risulta solo apparente in quanto la sentenza della Corte di appello si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado. Nell’appello e nell’esame dell’imputato erano ben rappresentati i motivi del mancato pagamento e della scelta fatta dal ricorrente che ha deciso di pagare i 44 dipendenti della sua azienda, prima ed in luogo del versamento delle imposte. L’appalto che la ditta si era aggiudicato era risultato improduttivo. Manca, quindi, il dolo nel comportamento del ricorrente.
La grave situazione finanziaria configura comunque uno stato di necessità ex art. 54 cod. pen., non adeguatamente valutato dalla sentenza impugnata. Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta inammissibile per la manifesta infondatezza del motivo, genericità e perché articolato in fatto, senza critiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata.
3. 1. Relativamente alla crisi d’impresa (e allo stato di necessità ex art. 54 cod. pen.) la sentenza impugnata con applicazione corretta delle decisioni di questa Corte di Cassazione ha ritenuto che la crisi di liquidità non risulta dalle generiche allegazioni del ricorrente, e comunque non ha cagionato uno stato di assoluta forza maggiore all’adempimento degli obblighi fiscali, sia per il pagamento delle retribuzioni e sia perché (relativamente all’appalto con l’acquedotto pugliese) non emerge il mancato pagamento, ma solo l’applicazione di penali. Lo stesso ricorrente, poi, con il ricorso in cassazione prospetta il pagamento delle retribuzioni come scelta imprenditoriale.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è costante nel ritenere che l’inadempimento della obbligazione può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico; la Cassazione ha, infatti, escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione (contributiva o fiscale) per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 26312801; vedi anche Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019 – dep. 29/05/2019, MINARDI SAURO, Rv. 27596701).
Inoltre, «In tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’Iva cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio credi torum, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato» (Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018 – dep. 26/11/2018, MOFFA GUERINO, Rv. 27431901).
Si tratta, comunque, di una questione di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se ben motivata come nel caso in esame. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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