CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 51242 depositata il 19 dicembre 2019
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Distrazione di giacenze di cassa – Vendita veicoli aziendali – Annullamento pene accessorie – Illegittimità costituzionale art. 216, ultimo comma, L.F.
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Ancona, in data 16 maggio 2016, ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Fermo del 30 ottobre 2014, con la quale era stata riconosciuta la responsabilità di C.F. per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in relazione alla distrazione di giacenze di cassa, alla data del 31 dicembre 2009, per un ammontare di Euro 46.305,00, e del corrispettivo della vendita di due autoveicoli aziendali, di pertinenza della “F.S. Srl.>>, dichiarata fallita in data 8 marzo 2012, nonché per il delitto di omessa tenuta delle scritture obbligatorie della stessa società, a far data dall’esercizio 2010, e per l’effetto, negatagli la circostanza attenuante di cui all’art. 219, ultimo comma, L.F., l’aveva condannato alla pena di giustizia, confermando l’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, L.F. per la durata di legge.
2. Il ricorso per cassazione, proposto nell’interesse del C. dal difensore, è affidato a due motivi, che denunciano:
2.1. la violazione degli artt. 216 e 223 L.F. e 192 cod.proc.pen. e il vizio di motivazione in punto di accertamento della responsabilità dell’imputato in riferimento alla bancarotta fraudolenta per distrazione: ciò in quanto la Corte territoriale aveva replicato ai rilievi di gravame – che avevano evidenziato: come le somme non trovate nella cassa sociale in sede d’inventario fallimentare fossero state destinate a tacitare i creditori; come il ricavato della cessione del ramo d’azienda, pari ad Euro 9.500,00 fosse stato versato sui conti della società; come la mancata percezione del corrispettivo della vendita dei due autoveicoli strumentali all’esercizio dell’impresa non potesse costituire distrazione in quanto conseguenza dell’inadempimento dell’acquirente – rendendo una motivazione del tutto congetturale perchè sganciata dalle risultanze acquisite – le quali stavano a dimostrare che, essendosi insinuato al passivo soltanto un istituto di credito, gli altri creditori sociali erano stati soddisfatti con le somme non reperite – e, comunque, in contrasto con le massime di esperienza attestanti che il pagamento di piccoli debiti non sempre è quietanzato; nondimeno, in punto di responsabilità per il delitto di bancarotta semplice documentale, si sarebbe dovuto tener conto delle dichiarazioni del Curatore fallimentare attestanti il mancato pagamento degli onorari dovuti al commercialista dal C., come tali indirettamente corroboranti la tesi secondo la quale egli non era venuto in possesso delle scritture contabili per il rifiuto del professionista di rendergliele;
2.2. la violazione degli artt. 216 e 217 L.F. e il vizio di motivazione in riferimento alla mancata derubricazione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione in quello di bancarotta semplice, per avere l’imputato consumato la giacenza di cassa in spese per i suoi bisogni personali vitali e per essere stato impudente nella scelta dell’acquirente dei veicoli aziendali, rivelatosi insolvente.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. Le censure sviluppate con il primo motivo sono estranee alla tipologia di quelle che è consentito dedurre nel giudizio di legittimità.
1.1. E’ jus receptum, infatti, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944). Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
1.2. Le riportate indicazioni direttive fanno emergere l’inidoneità delle formulate doglianze a costituire un valido rapporto processuale nel giudizio di legittimità, perché sollecitano da parte della Corte di Cassazione un apprezzamento alternativo e più favorevole delle risultanze probatorie plausibilmente valutate dai giudici di merito nelle loro conformi decisioni.
1.3. Peraltro le stesse doglianze nulla eccepiscono di decisivo in ordine al travisamento delle risultanze probatorie stesse, nel quale sarebbero incorsi tanto il Tribunale quanto la Corte di appello. Tanto emerge dalla stessa formulazione del rilievo censorio nel quale è genericamente detto – quanto alla destinazione delle somme di denaro censite come presenti nella cassa sociale alla data del 31 dicembre 2009 e non rinvenute in sede di inventario fallimentare – che:<<In atti vi sono dati che fanno presumere l’assenza di un comportamento distrattivo da parte del prevenuto>>.
Nondimeno, quanto all’asserito inadempimento, nel pagamento del prezzo, dell’acquirente dei veicoli aziendali, non è indicato, a sostegno del rilievo di assenza di valenza distrattiva dell’operazione di vendita dei detti beni aziendali, alcun elemento, acquisito nel corso dell’istruttoria, atto a comprovare il compimento da parte dell’imputato di qualsivoglia attività volta a cercare di conseguire il corrispettivo della vendita stessa. Le dichiarazioni del Curatore Fallimentare, le quali sarebbero tali da giustificare la mancata consegna delle scritture contabili della società all’Ufficio Fallimentare, in ragione del rifiuto del commercialista tenutario di consegnarle, per non essere stato retribuito, sono, infine, richiamate senza adempiere alle incombenze prescritte in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).
2. Il secondo motivo è, in parte, manifestamente infondato e, in parte, genericamente articolato.
2.1. Non ricorre, invero, nel caso concreto, l’ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma 1, n. 1 L.F., sia in quanto la predetta norma si riferisce al solo imprenditore individuale (Sez. 5, n. 2799 del 22/10/2014 – dep. 21/01/2015, Merlo, Rv. 262584), sia in quanto valgono ad integrare la detta fattispecie criminosa soltanto <<quelle spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali e più o meno connesse alla vita dell’azienda risultano sproporzionate alla capacita economica dell’imprenditore>> (Sez. 5, n. 894 del 22/06/1971, Bruno, Rv. 119090): connessione funzionale, questa, in relazione alla quale nulla di decisivo è stato allegato dal ricorrente, che non ha fornito prova di essa neppure nel giudizio di merito.
2.2. Il rilievo che postula la sussunzione della vendita degli autoveicoli aziendali ad un venditore, rimasto inadempiente nel versamento del prezzo, nella fattispecie di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma 1, n. 2, L.F., per avere posto in essere un’operazione manifestamente imprudente, è generica, posto che, se per operazioni di grave imprudenza, ai fini del reato di cui si discute, devono intendersi quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico, le quali, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo di ritardare il fallimento (Sez. 5, n. 24231 del 20/03/2003, Griffini ed altro, Rv. 225937), il ricorrente non ha allegato alcun elemento denotante le caratteristiche dell’acquirente o le clausole del negozio: ad esempio si trattasse un soggetto che non offriva serie garanzie di solvibilità e che il contratto non aveva previsto il pagamento del prezzo al momento della traditio.
3. La sentenza impugnata va, tuttavia, annullata, di ufficio, per quanto concerne il profilo della durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, L.F. applicate all’imputato in relazione al delitto bancarotta fraudolenta, documentale e patrimoniale, per la durata fissa di dieci anni.
3.1. La necessità dell’annullamento con rinvio in punto di pene accessorie deriva dalla recente evoluzione sia della giurisprudenza costituzionale che di quella di legittimità.
Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, L.F., nella parte in cui dispone che la condanna per uno dei fatti di bancarotta fraudolenta importa l’applicazione delle anzidette pene accessorie per la durata fissa di dieci anni, anziché fino a dieci anni. Il testo della norma, risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, si applica con efficacia ex tunc anche nel presente processo in corso, secondo il disposto degli artt. 136, comma 1, Cost. e 30, comma 3 della legge costituzionale n. 87 dell’ 11 marzo 1953.
Ne consegue che oggi, a prescindere dall’assenza di specifici motivi di ricorso, si impone la necessità di operare una rimodulazione della durata delle pene accessorie in discorso che tenga conto del venir meno della rigidità della disposizione dichiarata incostituzionale, rigidità che rende illegale, in parte qua, il trattamento sanzionatorio.
3.2. Quanto al concreto epilogo – annullamento con o senza rinvio – del processo di adeguamento al quadro normativo ridisegnato dalla Consulta, soccorre l’insegnamento impartito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286), secondo il quale:<< La durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod.pen. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod.pen.>>.
Sulla scorta di tale autorevole indicazione nomofilattica e considerato che la determinazione della durata del trattamento sanzionatorio ai sensi dell’art. 133 cod.pen. implica valutazioni di merito che esulano dai limiti cognitivi della Corte di cassazione, essa, in parte qua, va rimessa al Giudice di merito.
4. S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie ex art. 216, ultimo comma, L.F. con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di Appello di Perugia. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, L.F., con rinvio alla Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.
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