Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 51564 depositata il 20 dicembre 2019
confisca – nozione di confisca per equivalente e confisca diretta
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’11/10/2018, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano pronunciava sentenza di applicazione della pena su richiesta a BM, P.P., C.I., C.P. e S.D. e rigettava la richiesta del Pubblico Ministero di confisca del profitto del reato contestato al capo B (artt. 110, 81 cpv. 640 co.1,2 n,1m 112 co.1 n. 1 cod.pen.)
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna, premettendo che era stata richiesta nei confronti degli imputati la confisca del profitto nella forma per equivalente, essendo assodato che pur essendosi avvantaggiati le Cooperative ed i Consorzi in cui gli imputati rivestivano cariche apicali, tuttavia gli enti versavano in stato di fallimento con impossibilità di recuperare dagli stessi l’illecito profitto che, di conseguenza, doveva essere disposto a carico degli imputati per l’equivalente; sul punto pareva concordare anche il giudice per le indagini preliminari, che aveva però escluso l’applicazione della confisca per equivalente ritenendo la natura giuridica dell’istituto prevalentemente sanzionatoria per cui l’effetto premiale previsto dall’art. 445 comma 1 cod.proc.pen., che escludeva l’applicazione di pene accessorie, impediva di poter disporre la confisca chiesta dal Pubblico ministero.
Il Pubblico Ministero osserva che il giudice non aveva dato contea nella motivazione a tale conclusione, senza considerare che la prevalente giurispru- denza, riconoscendo natura preminentemente sanzionatoria alla confisca per equivalente, ne aveva escluso la parificazione alla pena accessoria in quanto la funzione delle pene accessorie risultava del tutto distinta da quella propria della confisca per equivalente, risultando connotata da evidente carattere afflittivo ed esulando, peraltro, da qualsiasi funzione di prevenzione propria delle pene accessorie oltre che delle misure di sicurezza, rivestendo invece funzione di ripristino della situazione economica del reo precedente al reato mediante imposizione di un sacrificio patrimoniale di valore corrispondente alle utilità non più aggredibili; nessun rilievo aveva poi il fatto che gli imputati avessero versato alla curatela fallimentare una somma superiore al profitto confiscabile, visto che il fallimento era soggetto terzo e distinto.
1.2 Il Procuratore generale depositava note scritte nelle quali chiedeva rigettarsi il ricorso; osserva infatti che siccome la motivazione del provvedimento impugnato ed anche quella del ricorso avevano per oggetto la possibile confisca per equivalente del patrimonio degli enti, non era possibile una confisca diretta e una confisca per equivalente rispetto al patrimonio personale degli imputati; inoltre, posto che al momento della richiesta della misura il profitto non sussisteva più in quanto restituito al fallimento, sarebbe stata illegittima una confisca disposta non sul profitto, ma sul patrimonio dell’imputato.
2. In data 28 ottobre 2019 perveniva memoria da parte del difensore dell’imputato BM
2.1 Nella memoria il difensore eccepisce che non vi era difetto di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza, che il Pubblico ministero non poteva impugnare con ricorso per cassazione una sentenza di applicazione della pena su richiesta che avesse omesso di disporre una misura di sicurezza, che non vi era alcun profitto confiscabile, che vi era mancanza di interesse in quanto non vi era stata una richiesta di confisca diretta del patrimonio dell’ente e che il giudice dell’udienza preliminare aveva correttamente inteso il significato da attribuire all’espressione secondo cui la sentenza ex art. 444 comma 2 cod.proc.pen. non consentiva l’applicazione di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca nei casi previsti dall’art.240 cod.pen.
3. In data 28 ottobre 2019 e 7 novembre 2019 venivano depositate dal difensore di C.I. una memoria difensiva ed una memoria di replica.
3.1 Nella prima memoria il difensore osserva che, non essendo la pena oggetto del ricorso, doveva trovare applicazione l’ordinario termine di impugnazione (15 giorni dal deposito) senza necessità di alcun avviso alle parti, per cui il ricorso del Pubblico ministero era tardivo.
3.2 Il difensore ricorda poi che già con le precedenti memorie difensive di era rilevato che l’Agenzia delle Entrate non si era insinuata al passivo fallimentare per le vicende di cui al capo b) dell’imputazione, per cui non vi era alcuna pretesa erariale sul punto, che C.I. aveva cessato le funzioni di Presidente del Consiglio di Amministrazione del Copalc a far data dal 10 aprile 2010 e che il profitto confiscabile non era mai stato accertato e quantificato dal Pubblico ministero; il giudice per l’udienza preliminare aveva recepito il rischio di una duplicazione di tutela, atteso che la curatela era l’unico organo di tutela per soci e creditori, che il profitto degli eventuali reati contestati era rimasto all’interno del Copalc in bonis poi fallito e che gli ex amministratori e sindaci non avevano tratto alcun profitto personale, posto che le somme percepite dal fallimento Copalc erano di gran lunga superiori al presunto profitto confiscabile.
3.3 Nella memoria di replica il difensore ribadisce l’eccezione di tardività del ricorso e le argomentazioni già proposte, osservando come le richieste di insinuazione al passivo depositate dall’Agenzie delle Entrate non avevano mai avuto ad oggetto i presunti profitti del reato contestati al capo B9 dell’imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1 Preliminarmente, relativamente all’ammissibilità del ricorso, le Sezioni Unite di questa Corte, all’udienza del 26 settembre 2019 (proc.n. 20381/18 RG, Savin e altri), hanno precisato che “E’ ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 cod.proc.pen. con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto di accordo tra le parti” (come da informazione provvisoria); pertanto, il ricorso, pur essendo stato presentato avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta, appare ammissibile anche in seguito alla disposizione introdotta dall’art. 448 comma 2 bis cod.proc.pen., che prevede che “Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza”.
Quanto al merito del ricorso, si deve premettere che la confisca diretta (detta anche confisca di proprietà), prevista dall’art. 240 cod.pen. come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati dall’art. 322 ter cod.pen., ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato; la confisca per equivalente (detta anche confisca di valore), invece, ha per oggetto beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la confisca diretta non sia possibile.
La confisca per equivalente, prevista dall’art. 322-ter cod. pen. per il profitto o il prezzo di taluni reati contro la pubblica amministrazione, viene ormai pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte di natura sanzionatoria: la confisca per equivalente, infatti, viene ad assolvere una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza (ex plurinnis, Sez.U. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434; Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037; Sez. 3, n. 18311 del 06/03/2014, Cialini, Rv 259103; Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164).
E’ evidente, infatti, che, essendo la confisca di valore parametrata al profitto od al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista “quantitativo”, l’oggetto della ablazione finisce per essere rappresentato direttamente da una porzione del patrimonio, il quale, in sé, non presenta alcun elemento di collegamento col reato; il che consente di declinare la funzione della misura in chiave marcatamente sanzionatoria (v. al riguardo anche l’ordinanza n. 97 del 2009 della Corte costituzionale, nella quale è richiamata la giurisprudenza di legittimità nonché la già ricordata sentenza della Corte EDU Welch c. Regno Unito).
Ciò premesso, come osservato dal Procuratore generale, e come emerge dallo stesso tenore del ricorso, la confisca richiesta riguardava il patrimonio degli enti, ma era stata chiesta nei confronti degli imputati in quanto “gli enti versavano tutti in stato di fallimento con impossibilità di recuperare dagli stessi l’illecito profitto che, di conseguenza, doveva essere posto a carico degli imputati per equivalente” (pag.4 ricorso del Pubblico Ministero); questa Corte, a Sezioni Unite, ha però precisato che “in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della l. n. 244 del 2007 e 322 ter cod. pen. non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.” (Sez. U, Sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646; vedi anche Sez. 1, Sentenza n. 50823 del 27/06/2017, New Parco delle Rose s.r.l. Rv. 274640: – In tema di reati tributari, la confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e 322-ter cod. pen. può essere disposta sui beni dell’ente, nel caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo – cui detto ente è riconducibile – agisca come effettivo titolare dei beni); pertanto, non era possibile disporre una confisca a carico degli enti, non risultando che le società in questione costituissero un mero schermo rispetto ai quali gli imputati agivano come effettivi titolari dei beni.
Inoltre, si deve osservare che la confisca per equivalente ha ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’autore del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato; ne consegue che il giudice, nell’applicare il provvedimento ablatorio, deve determinare la somma di denaro costituente il prezzo, il prodotto o il profitto/vantaggio effettivamente ottenuti dall’attività illecita; nel caso in esame, posto che non è contestato neppure dal Pubblico Ministero ricorrente che gli imputati abbiano versato alla curatela fallimentare una somma superiore al profitto confiscabile (ultima pagina del ricorso), una eventuale confisca non avrebbe ad oggetto il profitto del reato, ma il patrimonio degli imputati, per cui la confisca non poteva comunque essere disposta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso