CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 51571 depositata il 20 dicembre 2019

bancarotta – riciclaggio – occultamento e/o distruzioni documenti contabili

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 03/06/2019, il Tribunale di Reggio Calabria, adito in sedei riesame ex art. 309 cod. proc. pen. da M.V., ha confermato l’ordinanza applicativa della misura custodiale in carcere, emessa nei suoi confronti in data 08/04/2019 dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, in relazione ai delitti di riciclaggio, bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere, occultamento e distruzione di scritture contabili, come dettagliatamente specificato ai capi D), E), I), L), P), Q), R, S), T) della provvisoria incolpazione (esclusa, peraltro, la contestata aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.).

2. Ricorre per cassazione il M.V., deducendo:

2.1. Violazione dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. Si censura l’ordinanza impugnata per aver motivato sul pericolo di reiterazione di condotte analoghe facendo uso di espressioni generiche sulla “personalità trasgressiva” del M.V.. Si lamenta inoltre l’omessa motivazione sul requisito dell’attualità delle esigenze, tanto più necessario trattandosi di condotte comprese nel periodo 2006/2012, e si censurano i riferimenti – ritenuti esplorativi e congetturali – alla costituzione della T. s.r.l. da parte della figlia del ricorrente e alle funzioni di amministratore della predetta società alla compagna del M.V..

2.2. Vizio di motivazione sull’attualità del pericolo e la ritenuta inadeguatezza di misure gradate. Si censura l’ordinanza impugnata, da un lato, per aver desunto il requisito dell’attualità da condotte profondamente diverse, sul piano ontologico, da quelle contestate, e da congetturali affermazioni circa la vicinanza del M.V. a varie cosce di ‘ndrangheta. D’altro lato, si denuncia la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto inidonei gli arresti domiciliari per l’utilizzo del c.d. home banking da parte del ricorrente: e ciò in quanto la misura domiciliare poteva essere accompagnata da divieti di comunicazione con persone diverse da quelle con lui conviventi.

3. Con memoria depositata con allegati il 14/11/2019, la difesa del M.V. evidenzia il tempo trascorso dall’inizio di esecuzione della misura, il passaggio alla fase dibattimentale, l’attuale occupazione – illustrata anche in sede di interrogatorio – come dirigente della T. s.r.l., alle dipendenze della compagna V.R. (“commercialista capace e totalmente indipendente dalla Calabria”), la chiusura di ogni rapporto con gli originari coimputati e il trasferimento in Veneto, l’assenza di attualità nelle pendenze presso le Autorità Giudiziarie emiliane. La difesa ribadisce poi la già segnalata carenza motivazionale in ordine a quanto osservato dal Tribunale – senza peraltro l’allegazione di alcun supporto dimostrativo – in ordine alla pretesa contiguità ed inserimento del M.V. in ambienti criminali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Con l’odierna impugnazione, il ricorrente non ha inteso in alcun modo contestare il quadro indiziario emerso a carico del M.V. in relazione a plurimi reati di bancarotta fraudolenta (capi D, I, P, T), riciclaggio di ingenti somme di provenienza illecita (capi E, L, Q), occultamento e distruzione di scritture contabili (capo S), posti in essere avvalendosi di società formalmente amministrate da prestanome e con operazioni ripetute nel tempo, pur se riferite alle diverse società; neppure è stata censurata l’attribuzione, al M.V., di un ruolo apicale nell’ambito del sodalizio contestato al capo R). Del resto il ricorrente, secondo quanto precisato dal Tribunale nel provvedimento impugnato, ha ammesso nel corso dell’interrogatorio di garanzia “di essere il gestore di fatto delle società in argomento e di averle condotte al fallimento, conferma lo stratagemma della vendita di beni senza I.V.A., nonché le operazioni commerciali afferenti beni e servizi non ricollegabili alle attività di impresa esercitate” (pag. 23 dell’ordinanza impugnata). Quel che il ricorrente ha contestato è invece il profilo delle esigenze cautelari, sia quanto al prospettato pericolo di reiterazione, sia quanto alla proporzionalità ed adeguatezza della misura applicata. Tali censure appaiono peraltro manifestamente infondate, per le ragioni che verranno qui di seguito illustrate.

3. Con riferimento al primo motivo, è opportuno anzitutto richiamare un consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare» (così, tra le tante, Sez. 2, n. 26093 del 31/03/2016, Centineo, Rv. 267264). Nella medesima prospettiva, la più recente elaborazione giurisprudenziale ha posto l’accento sul fatto che «il requisito dell’attualità del periculum libertatis può individuarsi a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive ed immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’inquisito, essendo necessario e sufficiente formulare un giudizio prognostico che, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., si riconnetta alla realtà emergente dagli atti del procedimento ed alle valutazioni della persistente pericolosità che è dato trarne, dovendosi effettuare una previsione correlata alla situazione esistenziale e socio ambientale in cui verrà a trovarsi l’indagato, nell’ipotesi in cui venga meno lo stato di detenzione» (così da ultimo Sez. 2, n. n. 46721 del 18/09/2019, Verdolini, alla quale si rimanda per i numerosi precedenti conformi).In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, il percorso argomentativo tracciato dal Tribunale di Reggio Calabria risulta immune da censure deducibili in questa sede.

3.1. Va anzitutto evidenziato che le condotte contestate al M.V. nei capi da D) a Q) erano state oggetto di una precedente richiesta cautelare, rigettata dal G.i.p. nel 2015 per difetto di attualità (trattandosi di condotte poste in essere fino al 2012). La nuova richiesta, accolta dal G.i.p. con decisione confermata dall’ordinanza oggi impugnata, ha peraltro ad oggetto anche le ulteriori imputazioni formulate all’esito dell’ulteriore attività investigativa posta in essere: si allude non solo al reato associativo sub R), ma anche agli ulteriori reati fine, tributari (occultamento- sottrazione di scritture contabili di cui al capo S) e fallimentari (bancarotta documentale e patrimoniale di cui al capo T), emersi – con connotazioni operative analoghe a quelle già apprezzate nelle vicende delle altre società, utilizzate dal M.V. e condotte al fallimento – in relazione all’attività della G. s.r.l., dichiarata fallita nell’aprile 2015. Quel che peraltro assume una decisiva rilevanza, ai fini specifici che qui interessano, è quanto evidenziato nell’impugnata ordinanza in ordine alle più recenti vicende (pag. 26 seg.). Il Tribunale segnala infatti – oltre al deferimento del M.V. all’A.G. di Verona nel 2016 da parte del Nucleo di Polizia Tributaria, per titoli di reato del tutto analoghi a quelli oggetto dell’odierno giudizio – la coincidenza temporale tra la scarcerazione del ricorrente, avvenuta nel 2015, e la costituzione, ad opera della figlia di quest’ultimo M.V. Giulia, di una ulteriore società (T. s.r.l.), operante nel commercio di apparecchiature elettroniche ed informatiche (ovvero nello stesso settore di pertinenza delle società coinvolte nell’odierno procedimento), ed autorizzata ad effettuare operazioni I.V.A. intracomunitarie (operazioni costituenti uno dei principali “modelli operativi” utilizzati dal M.V. quale dominus occulto delle società condotte al fallimento: cfr. sul punto pag. 20 dell’impugnata ordinanza). Il Tribunale segnala altresì (pag. 27): che amministratore unico della T. (e titolare del 20% delle quote) è l’attuale compagna del M.V.; che questi risulta essere stato assunto dalla società, nel febbraio 2018, quale “tecnico commerciale”; che nel corso dell’interrogatorio di garanzia, peraltro, il M.V. aveva ammesso che anche la T. era di fatto da lui gestita. Risulta allora evidente che il Tribunale ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali in precedenza richiamati: pur in presenza di un’incolpazione relativa a condotte in larga parte risalenti, l’ordinanza impugnata ha valorizzato una serie di circostanze di fatto certamente e pienamente idonee ad “attualizzare” il pericolo di recidiva. Si allude in particolare: alla nuova società venuta costituita dalla figlia al momento della scarcerazione del M.V., e formalmente amministrata dalla compagna; all’omogeneità del settore operativo della nuova società rispetto a quelle condotte al fallimento; all’ottenimento dell’autorizzazione per operare con modalità (operazioni IVA intraconnunitarie) analoghe al pregresso; alla gestione di fatto della predetta società ammessa dallo stesso M.V. con buona pace del formale inquadramento come “tecnico commerciale”. Tale quadro complessivo consente di ritenere tutt’altro che congetturali le considerazioni svolte dal Tribunale, evidenziando ampiamente – tenuto anche conto della gravità e sistematica reiterazione delle condotte a lui ascritte e del ruolo apicale rivestito nel complesso delle attività illecite e nel sodalizio contestato al capo R) – «la presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare» (Sez. 2, n. 26093 del 2016, cit.).

3.2. E’ conclusivamente opportuno porre in evidenza – quanto alla doglianza difensiva imperniata sulla asserita genericità delle locuzioni adottate dal Tribunale in ordine alla frequentazione, da parte del ricorrente, di soggetti vicini alla criminalità organizzata – che il Collegio reggino ha del tutto legittimamente operato un integrale rinvio alla ricostruzione delle vicende sottese alla richiesta cautelare (cfr. pag. 19). Proprio in considerazione di questo rinvio, e tenendo perciò conto di quanto esposto dal G.i.p. in ordine alla specifica posizione del M.V. (cfr. in particolare pag. 120 ss. e 140 ss. del provvedimento applicativo della misura), risulta del tutto immune da censure il passaggio motivazionale in cui il Tribunale segnala che il G.i.p., proprio per evidenziare la sussistenza di un pericolo di recidiva concreto e attuale, “richiama correttamente le frequentazioni del M.V. con soggetti pregiudicati, anche per associazione mafiosa, l’indicazione, ad opera di collaboratori di giustizia, provenienti da diversi contesti geografico-criminali, del ricorrente quale soggetto vicino alla cosca B., per conto della quale si è prestato al riciclaggio di denaro, nonché la collocazione del prevenuto quale soggetto stabilmente associato a S.D. e dedito alla commissione di frodi, mediante imprese nella loro disponibilità” (cfr. pag. 26 dell’ordinanza impugnata).

4. Manifestamente infondata è anche la residua censura. La valutazione di inadeguatezza di ogni misura gradata rispetto a quella carceraria è stata formulata dal Tribunale non già con il mero riferimento all’utilizzo dell’home banking da parte del M.V. per operare sui conti delle varie società, riferito da fonti dichiarative. In realtà, la concreta inadeguatezza degli arresti domiciliari, anche se applicati con le modalità di controllo a mezzo del cd.braccialetto elettronico, è stata motivata facendo riferimento anche alla personalità trasgressiva del M.V. (evidenziata dalla reiterazione delle condotte), al suo ruolo all’interno del sodalizio, alle specifiche modalità dei fatti, ai rapporti e contatti con ambienti criminali, alla palese inadeguatezza della soluzione abitativa proposta (presso la compagna e formale amministratrice della T.). Si tratta di un percorso argomentativo del tutto immune da profili di contraddittorietà o illogicità manifesta deducibili in questa sede.

5. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del M.V. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Non derivando dall’odierna pronuncia la rimessione in libertà del ricorrente, la Cancelleria provvederà agli adempimenti comunicativi di cui all’art. 94, comma I- ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.