Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 6507 depositata il 9 febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – OPERAIO PRECIPITA DALLA PARTE ALTA DELLE SCALE DI EMERGENZA – PRIVA DI PARAPETTO – RESPONSABILITA’ DELL’ASSISTENTE CAPO CANTIERE
FATTO
1. La Corte d’Appello di Brescia con sentenza in data 16 dicembre 2016 confermava la condanna resa dal Tribunale di Bergamo nei confronti di T.M., F.E. e C.G. in relazione all’infortunio sul lavoro nel quale aveva perso la vita S.M..
Di tale evento erano stati ritenuti responsabili, in cooperazione colposa tra loro, il T.M., quale Preposto alla sicurezza della Ditta DEC S.p.a. di Bari, impresa affidataria dei lavori edili per la realizzazione del Nuovo Ospedale di Bergamo; il F.E. ed il C.G., rispettivamente, quale Capocantiere e quale Assistente al capocantiere in Torre 3 della medesima Ditta.
Al C.G. – odierno ricorrente – era stato contestato di non aver vigilato correttamente sull’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro ed, in particolare, perché, nonostante avesse partecipato in più occasioni alle riunioni di Coordinamento, nel corso delle quali era stata evidenziata da parte del Coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione, la circostanza che le rampe delle scale di emergenza erano prive di idonei parapetti, poco illuminate ed ingombre di materiali, non si era attivato affinché le prescrizioni inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori, impartite nel corso di dette riunioni, venissero concretamente attuate tramite ordini di servizio per la sicurezza o verbali di sopralluogo.
In conseguenza di dette omissioni, e di quelle attribuite ai coimputati – come descritte nel capo di incolpazione – il S.M., assunto con qualifica di operaio a tempo determinato a partire dal 15 luglio 2009 presso la Ditta ILDOCAT S.p.a., che nel cantiere svolgeva l’attività di fornitura e posa in opera di tubazioni, proprio il primo giorno di lavoro, era precipitato dalla parte alta di una rampa di scale di emergenza all’interno della Torre 3, mentre avrebbe dovuto svolgere lavori in un’altra area vicina, riportando gravissimi traumi a cui era seguita la morte.
2. Riteneva la Corte territoriale che il C.G. rivestisse una posizione di garanzia in quanto, nella qualità di preposto della DEC, partecipava costantemente, insieme al T.M. ed al F.E., alle riunioni del comitato per la sicurezza (CSE), ed a lui, come agli altri due imputati, erano indirizzate le censure in ordine alle violazioni in tema di sicurezza e gli erano rivolte le disposizioni diramate dal CSE con indicazione delle prescrizioni necessarie ad eliminare gli inconvenienti riscontrati, in particolare nella Torre 3. Tanto risultava dei verbali delle dette riunioni, analiticamente indicati nel contenuto, e dalle numerose testimonianze assunte. Dunque, anche se dalla posizione di società mandataria dell’associazione temporanea d’impresa (ATI), non discendeva automaticamente la responsabilità della DEC e dei suoi preposti in ordine alle norme antinfortunistiche, in quanto tutte le singole imprese conservavano la loro autonomia – tesi questa sostenuta dalla difesa – l’imputato era di fatto uno dei referenti in materia antinfortunistica della specifica area di cantiere ove si era verificato l’infortunio, e titolare di una posizione di garanzia ai sensi dell’art.299 D.Lgs.n.81/2008. Rilevava ancora la Corte di Brescia che la responsabilità era ravvisabile anche nei confronti di soggetti estranei alla DEC, come il S.M. che dipendeva da altra società, e che non si era in presenza di un comportamento abnorme del lavoratore, perché la zona in cui era avvenuto il sinistro era a poca distanza rispetto a quella assegnata al lavoratore, era accessibile da più parti ed era comunque estremamente pericolosa, siccome priva di parapetti, di illuminazione ed ingombra di materiali.
3. Il C.G. ha proposto in proprio ricorso per cassazione per erronea interpretazione dell’art.589 c.p. e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Espone che la DEC, unitamente ad altre società, faceva parte di un’ATI costituitasi nel 2004, con struttura orizzontale e verticale, vincitrice del bando di gara per l’affidamento dei lavori di costruzione del nuovo Ospedale di Bergamo, non rivestiva la posizione di capogruppo e quindi i suoi preposti non erano responsabili della sicurezza nei confronti delle altre imprese, né avevano strumenti giuridicamente coercitivi per intervenire nell’organizzazione di queste. La I., alle cui dipendenze lavorava il S.M., era subappaltatrice del consorzio N. e non aveva alcun rapporto negoziale con la DEC. La Corte d’Appello di Brescia non aveva vagliato in alcun modo la posizione di garanzia del datore di lavoro dell’operaio deceduto, aveva fatto erroneo richiamo agli obblighi nascenti dall’art.2087 cod.civ., aveva male interpretato la norma attinente agli obblighi del preposto, non aveva considerato che il ricorrente non aveva alcun incarico attinente alla sicurezza, e che la sua partecipazione alle riunioni sulla sicurezza non faceva sorgere una posizione di garanzia, dato che il contratto in essere con la DEC non lo delegava in alcun modo in ambito di sicurezza, stante la nomina di un responsabile esterno munito di portafoglio. La sentenza impugnata era comunque affetta da vizio motivazionale laddove aveva escluso il comportamento abnorme e totalmente negligente del lavoratore, che si era portato di propria iniziativa in un luogo diverso da quello assegnatogli e chiuso alle lavorazioni.
DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. Il C.G. contesta in primo luogo di essere titolare di una posizione di garanzia, sia per l’attività da lui svolta all’interno del cantiere, sia per essere dipendente della DEC, società che, nell’ambito dell’Associazione Temporanea di Imprese, non esercitava alcun compito attinente la sicurezza degli operai dipendenti di altre società del gruppo.
La doglianza, già agitata nell’atto di appello, è stata disattesa dalla Corte territoriale con corretto ragionamento, che dimostra il buon governo delle norme in materia, come più volte interpretate da questa Corte Suprema.
Giova ricordare che in tema di sicurezza sul lavoro, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative “contra legem”: egli infatti sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l’esecuzione (Sez.4, n.4340 del 24/11/2015, Rv.265977; Sez.4, n.9491 del 10/1/2013, Rv.254403).
Per il principio di effettività delle mansioni, assume in ogni caso la posizione di garante colui che si accolla i compiti del preposto (Sez.4, n.50037 del 10/10/2017, Rv.271327).
Secondo la definizione normativa, il preposto è la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’Incarico conferitogli, sovraintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di garanzia (art.2, comma 1, lett.e, D.lgs.n.81/2008).
Peraltro, le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art.2, comma 1, lett.b) (datore di lavoro), lett.d) (dirigente), e lett.e) (preposto), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti (art.299 D.lgs.cit.).
3. Fatta tale doverosa premessa, i giudici di merito hanno accertato che l’Ing. C.G. svolgeva mansioni di assistente capo cantiere alla Torre 3, luogo ove si verificò il sinistro che portò alla morte del S.M., qualifica che condivideva con l’Ing. F.E., nominato capo cantiere: entrambi quindi erano da ritenersi “preposti”, e titolari ciascuno della posizione di garanzia che la legge attribuisce a tale figura professionale.
Peraltro la Corte territoriale, nel motivare la pronuncia di condanna, non si è attestata su tale dato formale, ma ha indicato in maniera puntuale e dettagliata tutti i verbali delle riunioni del Comitato per la Sicurezza, alle quali aveva partecipato l’Ing. C.G., ed i richiami e raccomandazioni personalmente rivolti a lui, ed alla relativa società DEC, di attenersi alle prescrizioni di sicurezza dell’ambiente di lavoro in particolare nella Torre 3. Numerose sono le segnalazioni, che vedono come destinatario l’odierno ricorrente, circa la pericolosità delle scale, e la necessità di provvedere a che queste fossero perfettamente illuminate, immediatamente ripulite dai materiali di risulta e completamente bonificate, dovendosi altrimenti sospendere le lavorazioni e l’utilizzo delle scale in questione, il cui accesso doveva perciò essere ben delimitato ed impedito da cesate di cantiere fino al termine delle lavorazioni: così i verbali, più prossimi all’infortunio, del 14 maggio 2009, in cui l’ing. C.G. veniva indicato come capo cantiere per le Torri, tenuto a far rispettare a tutte le imprese i divieti di accesso posti sugli accessi alle scale principali, e richiamato a provvedere a che le scale di emergenza fossero entro quello stesso pomeriggio illuminate e ripulite; del 3 giugno 2009, 9 giugno 2009, 12 giugno 2009, 16 giugno 2009, 23 e 24 giugno 2009, in cui l’Ing. C.G. ed il Geom. T.M. erano incaricati ancora di numerose prescrizioni volte ad eliminare situazioni critiche che riguardavano la Torre 3, tanto che l’attività di pavimentazione delle scale era stata sospesa fino a quando non fossero stati chiusi in modo efficace gli accessi ai vani scala ancora privi di parapetti, con pericolo di caduta delle maestranze, parapetti poi realizzati in maniera non sufficientemente robusta. Infine, nel verbale di sicurezza del 13 luglio 2009 veniva formalmente sollecitata la DEC ad attuare, tramite i suoi preposti, le prescrizioni precedentemente impartite, a ripristinare e mantenere gli stati di conformità dei luoghi agli standard di sicurezza, già in precedenza ripetutamente richiesti, ancora a posizionare i cartelli di cantiere che da più di un anno la DEC si era impegnata a collocare.
Si trattava dunque di eliminare una serie di criticità, di cui l’imputato era ben consapevole, con particolare riguardo alla pulizia dei luoghi, alla illuminazione ed agibilità delle aree di cantiere, in particolare delle scale della Torre 3, alla cartellonistica del tutto carente: il C.G. dunque, di fatto ed indipendentemente da una formale assunzione da parte della DEC di tale onere, era uno dei responsabili della realizzazione delle prescrizioni del Comitato per la Sicurezza ed era uno dei referenti per il rispetto della normativa antinfortunistica nel cantiere.
A tale conclusione la Corte di Brescia è pervenuta tenendo conto della documentazione in atti, mentre le testimonianze di numerosi lavoratori, sentiti nel corso del dibattimento, hanno confermato che la zona ove era avvenuto l’infortunio era priva di luce, con scale buie ma ingombre di materiali, priva di idonei parapetti, ed accessibile da più posizioni.
Il fatto che la posizione di garanzia fosse rivestita anche da altri soggetti, il Geom. T.M. e l’ing. F.E., parimenti destinatari delle medesime prescrizioni del Comitato per la Sicurezza, non costituisce poi esclusione di responsabilità dell’odierno ricorrente, poiché in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari di una posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez.4, n.18826 del 9/2/2012, Rv.253850).
Del pari corretto il ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale circa l’irrilevanza del fatto che il S.M. non lavorasse alle dipendenze della DEC.
In materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, appartiene infatti al gestore del rischio connesso all’esistenza di un cantiere, anche la prevenzione degli infortuni di soggetti a questo estranei, ancorché gli stessi tengano condotte imprudenti, purché non esorbitanti il tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata (Sez.4, n.38200 del 12/5/2016, Rv.267606; Sez.4, n.43168 del 17/6/2016, Rv.260947).
Talune norme prevenzionistiche, quali la sicurezza del cantiere, intendono infatti evitare il rischio che chiunque, addetto o non alla lavorazione all’interno dello specifico sito, dipendente od estraneo, per qualunque motivo, possa trovarsi in una situazione di pericolo e riportare danni. In tale caso, le ragioni per le quali si determina il contatto tra la fonte di pericolo e l’estraneo, non incide sulla causalità colposa, proprio perché la sfera di competenza del titolare del l’obbligo è definito su basi eminentemente oggettive, ovvero in relazione alla fonte di pericolo. La qualità di estraneo dunque, nel senso dianzi assunto, non è di per sé incompatibile con l’esistenza del dovere di sicurezza facente capo al C.G.: nel caso di specie, come ricordato, l’analisi delle prescrizioni inosservate dall’imputato evidenzia proprio che si trattava di regole che imponevano misure oggettive, che valevano ad eliminare per chiunque i rischi derivanti dall’accesso e dall’uso delle scale pericolose.
Infine, del tutto corretto il ragionamento sviluppato dalla Corte di Brescia in tema di esclusione di una condotta abnorme del S.M., tale da interrompere il nesso di causalità con il comportamento del ricorrente, che la difesa aveva prospettato valorizzando la circostanza che l’operaio quel giorno non era addetto ad una lavorazione all’interno della Torre 3 e dunque si trovava in un luogo diverso rispetto a quello assegnatogli dal proprio datore di lavoro.
Il rispetto delle norme prevenzionali ha infatti lo scopo di ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato anche da imprudenza. Proprio al fine di scongiurare tali eventi nefasti, evitabili rispettando gli standard di sicurezza imposti dalla legge, vi sono soggetti chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio antinfortunistico: essi non possono pretendere esonero di responsabilità in caso di condotta inadeguata del lavoratore, fatto salvo il contegno abnorme, che si configura in caso di comportamento anomalo, assolutamente estraneo alle mansioni attribuite, esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere (Sez.4, 5 marzo 2015 n. 16397, Rv.263386; Sez.4, 14 marzo 2014 n.22249, Rv.259228) e non anche quando il lavoratore compia un’operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate.
?Nel caso di specie il S.M., al suo primo giorno di lavoro, forse per errore o seguendo un’indicazione sbagliata, per raggiungere il posto a lui assegnato era entrato dall’alto nel vano scala di quella Torre 3, così pericoloso: evidente che il rispetto delle prescrizioni più volte impartite dal competente Comitato per rendere tale vano scala inaccessibile fino alla sua messa in totale sicurezza, e l’allocazione di adeguata
cartellonistica di cantiere indicativa dei percorsi da seguire, avrebbero impedito l’evento mortale, scongiurando proprio quel rischio in concreto verificatosi.
4. Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.