Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 6926 depositata il 21 febbraio 2020
reati tributari – omesso pagamento di imposte superiori al limite di punibilità – sottrazione fraudolente
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 17 gennaio 2019 la Corte di appello di Brescia, in accoglimento dell’impugnazione del Procuratore Generale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza del 29 gennaio 2018, ritenuta la recidiva, ha condannato B.M. alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione per il reato ex art. 11 dlgs. 74/2000, perché, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e di interessi e sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare superiore a 29.000.000 di euro, alienava simulatamente o comunque compiva sugli stessi atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva avviata a seguito di verifica fiscale iniziata il 3 maggio 2012 con la notifica dell’invito a presentarsi emesso dalla compagnia di Sesto San Giovanni della Guardia di Finanza. Secondo le sentenze di merito, il 21 febbraio 2013 B.M. cedette alla moglie A.L. il 50% della propria quota di partecipazione al capitale sociale della S. SRL; il 17 dicembre 2013 cedeva al figlio R.B. ed a C.G. rispettivamente il 95% ed il 5% della propria quota di partecipazione nella società agricola A. SRL.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.M..
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione per avere la corte territoriale ritenuto sussistente il reato solo in base alla mera esistenza degli atti di disposizione. La corte territoriale avrebbe omesso la motivazione sulla sussistenza della condotta fraudolenta, del dolo specifico, sul concorso degli acquirenti, sul prezzo di mercato effettivamente corrisposto – fatto quest’ultimo che non sarebbe contestato dalla Agenzia delle Entrate – sulla sussistenza del danno all’erario. La Corte di appello non avrebbe valutato che dalla consulenza tecnica prodotta dalla difesa risultava che a partire dal 2011 il ricorrente avrebbe incrementato il proprio patrimonio immobiliare, aggredibile dalla Agenzia delle Entrate, di circa 3.000.000 di euro, rimanendo per altro proprietario delle quote della BMR, bene di maggior valore.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione quanto al rigetto della richiesta di applicazione della continuazione con i reati oggetto della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza del 5 aprile 2012, irrevocabile il 12 dicembre 2012, non essendo stata valutata l’epoca dei commessi reati.
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della recidiva, che andrebbe esclusa in caso di accoglimento della richiesta di applicazione della continuazione e sulla sussistenza della pericolosità sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In punto di diritto vanno ribaditi i principi espressi da Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Auci, Rv. 273493 – 01, per cui in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione
In motivazione la Corte di cassazione ha ricordato che l’art. 11 del d. lgs. 74/2000 («sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte») sanziona, nell’ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più l’elevata laddove l’ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.
Per la concretizzazione del reato è sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace, in tutto o in parte, l’esecuzione esattoriale; il delitto è infatti un reato di pericolo concreto.
La norma distingue chiaramente due diverse condotte: l’alienazione simulata e gli atti fraudolenti.
L’alienazione è simulata quando è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale: quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) all’effettiva volontà dei contraenti.
Se invece il trasferimento del bene è effettivo, la condotta non può concretizzare l’atto simulato, ma deve essere valutato, esclusivamente quale possibile atto fraudolento.
Secondo la giurisprudenza, atti fraudolenti, (cfr. Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), sono tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.
Ai fini della configurabilità del reato, non è sufficiente la semplice idoneità dell’atto a ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario, essendo invece necessario il compimento di atti che, nell’essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta.
La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell’agente è stata di recente sottolineata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12213 del 21/12/2017, Rv. 272171) che, nell’ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all’art. 388 cod. pen., norma il cui schema risulta richiamato dall’art. 11 del d. lgs. 74/2000, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito, per cui in quest’ottica può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma, non potendosi in definitiva far coincidere la natura simulata dell’alienazione o il carattere fraudolento degli atti con il fine di vulnerare le legittime aspettative dell’Erario.
2. Dalla sentenza di primo grado emerge che, rispetto alla contestazione alternativa della vendita simulata o fraudolenta, la condanna è avvenuta per tale ultima ipotesi, posto che nella parte finale si fa riferimento alla vendita fraudolenta delle quote sociali.
2.1. La Corte di appello ha ritenuto che gli atti dispositivi siano «manifestamente fraudolenti» trattandosi di un trasferimento puramente formale, operato in ambito familiare, allo scopo di paralizzare la riscossione del debito; il versamento del corrispettivo sarebbe servito solo a consolidare la veste formale dell’atto. La stretta connessione temporale tra la notifica dell’avviso di accertamento (del 19 dicembre 2012), il tentativo, protrattosi fino all’inizio del 2013, di chiudere bonariamente la procedura, poi fallito, ed il trasferimento delle quote sociali, dimostrerebbero che l’operazione ha avuto quale unica ragione quella di pregiudicare l’esecuzione forzata nei confronti dell’imputato.
Secondo la corte territoriale non avrebbe rilevanza l’incremento del patrimonio della BMR s.r.l. descritto dal c.t. di parte perché il valore di mercato della società, pari a circa 5 milioni e mezzo di euroisarebbem comunque inferiortall’imposta oggetto dell’accertamento, pari a circa 30.000.000 di euro.
2.2. La motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria perché attribuisce agli atti di disposizione da un lato la natura fraudolenta e dall’altro riconosce l’esistenza di un trasferimento puramente formale, quindi in realtà simulato.
2.3. La motivazione è anche mancante, perché ha dedotto l’esistenza del trasferimento formale dal solo rapporto di parentela, senza alcuna verifica sulle vicende societarie e sull’esercizio in concreto dei diritti di socio.
2.4. Inoltre, non risulta adeguatamente motivata la sussistenza della natura fraudolenta delle operazioni compiute, che non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario.
Ove poi la corte territoriale abbia inteso qualificare la condotta quale atto fraudolento, assume certamente rilevanza se il prezzo corrisposto sia stato effettivo e/o aderente ai valori di mercato, così come l’eventuale compiacenza delle controparti negoziali.
2.5. Per quanto la sequenza cronologica degli atti dispositivi compiuti dal ricorrente deponga per una destinazione dei comportamenti negoziali al progressivo svuotamento del suo patrimonio, nella prospettiva delle ormai imminenti azioni esecutive dell’Erario, deve tuttavia ribadirsi che l’idoneità degli atti a eludere l’esecuzione esattoriale non può ritenersi di per sé sufficiente a riconoscere sia la natura ingannatoria o artificiosa degli atti, sia l’esistenza del dolo specifico richiesto dalla norma.
2.6. Pertanto, essendo contradditoria la sentenza impugnata sulla condotta realmente realizzata, sul carattere r2 simulato o effettivamente fraudolento delle varie operazioni compiute, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame.
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