Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 7683 depositata il 16 febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – OPERAZIONI DI MONTAGGIO DELLA TENSOSTRUTTURA – DATORE DI LAVORO DI FATTO – SUSSISTE
FATTO
1. La Corte di Appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, con sentenza emessa all’udienza del 22 settembre, depositata nel termine di 90 giorni di cui all’art. 544, terzo comma, cod.proc.pen., ha confermato la sentenza di primo grado, con cui M.G., in qualità di titolare della S. R. e datore di lavoro di fatto, è stato dichiarato responsabile ex art. 589, primo e secondo comma, cod.pen., dell’omicidio colposo di A.M., dipendente della F. s.r.l., in data 6 maggio 2004 e condannato alla pena di un anno e 8 mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili (più precisamente per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nelle operazioni di installazione di un gazebo e per colpa specifica consistita nella violazione delle istruzioni del produttore e più precisamente nell’omesso ancoraggio al suolo dei pilastri della tensostruttura, che, a causa del forte vento, si sollevava dal suolo, trascinando la vittima la quale, precipitata a terra, decedeva).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo, da un lato, la violazione e la falsa applicazione della legge penale, la mancanza, insufficienza, illogicità manifesta della motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità ed all’applicabilità dell’aggravante relativa alla violazione di norme sulla tutela del luogo di lavoro, la violazione degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen. per immutazione in sentenza del fatto contestato in rubrica e, dall’altro, la mancanza, insufficienza, illogicità manifesta della motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra modalità di montaggio della tensostruttura ed evento mortale. In particolare il ricorrente ha denunciato: 1) l’inapplicabilità degli obblighi del datore di lavoro all’imputato, intervenuto nelle operazioni in qualità di mero esperto, essendo la vittima dipendente della F., proprietaria del gazebo, e la conseguente prescrizione del reato in assenza dell’aggravante contestata; 2) la sussistenza di una tromba d’aria idonea a determinare lo sradicamento della struttura anche se ancorata al suolo, ma del tutto ignorata dai giudici di merito.
DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato, atteso che le motivazioni delle sentenze impugnate si fondano sul ruolo concreto di datore di lavoro di fatto dell’imputato, che ha diretto le operazioni di montaggio della tensostruttura. In proposito va ricordato che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (v., da ultimo, Sez. 4, n. 50037 del 10/10/2017 ud., dep. 31/10/2017, rv. 271327). Più precisamente, in virtù del chiaro disposto dell’art.299 d.lgs. 81/2008, le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti, sicché è irrilevante che l’imputato non fosse dipendente dell’effettivo datore di lavoro e fosse legato a quest’ultimo da rapporti contrattuali di altro tipo e da una mera comunanza di interessi economici: ciò che è determinante è solo il ruolo concretamente svolto nella direzione delle operazioni di montaggio della termostruttura. Il provvedimento impugnato, nell’applicare tale principio, non viola alcuna disposizione di legge e contiene sul punto una motivazione congrua, non manifestamente illogica né contradditoria in ordine ai relativi presupposti di fatto, per cui è immune da censure il riconoscimento dell’aggravante contestata della violazione delle norme sulla tutela del luogo di lavoro (“nella vicenda in esame l’imputato impartì le disposizioni concernenti il montaggio della struttura senza attenersi alle istruzioni fornite dal costruttore/venditore…; per il tipo di funzioni in concreto esercitate, egli svolse il ruolo di datore di lavoro di fatto…”).
Né si ravvisa alcuna violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna in quanto la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, ud., dep. 19/08/2014, rv. 260161 che riguarda fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l’omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori). Peraltro, il dato della proprietà della tensostruttura non è determinate ai fini dell’assunzione della posizione di garanzia propria del datore di lavoro.
2. Parimenti il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile, in quanto si limita a riproporre la diversa ricostruzione dei fatti sostenuta dal ricorrente e disattesa con una motivazione congrua, non manifestamente illogica e priva di contraddizioni intrinseche o estrinseche dai giudici di merito, con due sentenze conformi. Difatti, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 26548219). Peraltro, il giudice di appello si è specificamente soffermato sulla tesi difensiva del ricorrente, precisando che il consulente tecnico di parte S.C. si è limitato ad affermare che sebbene l’evento verificatosi a Fiumicino nella stessa data “non è idoneo a fornire la prova che un evento di uguali proporzioni si sia verificato nel porto di Olbia al momento dell’incidente, dimostra comunque che la situazione metereologica generale della zona tirrenica nella giornata in questione presentava delle particolari condizioni di inabilità” e che, comunque, proprio la percezione che l’imputato ebbe dell’instabilità delle condizioni metereologiche avrebbe dovuto indurlo a rinviare le operazioni di montaggio o, quantomeno, a preventivamente consultare il bollettino meteo.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché – non ravvisandosi motivi di esonero (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 186 del 2000) – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in € 2000,00 ed alla refusione delle spese della costituita parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende nonché alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.
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