CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 8235 depositata il 9 marzo 2022
Misura cautelare interdittiva – Divieto di esercitare la professione – Attuazione di operazioni societarie in frode ai creditori – Pericolo di reiterazione del reato – Concorso dei professionisti in reati propri degli imprenditori – Pericolo concreto e attuale di commissione di nuovi reati della stessa specie – Mancata sussistenza di elementi indicativi
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza adottata ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., a scioglimento della riserva assunta all’esito della camera di consiglio del 25 giugno 2021, il Tribunale del riesame di Napoli ha rigettato gli appelli proposti nell’interesse degli indagati M.P., A. P., L. P. e F. D.N. avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento del 19 aprile 2021, con la quale era stata applicata loro la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare la professione di commercialista, per la durata di dodici mesi quanto ai primi tre e del divieto di esercitare la professione di avvocato per la durata di dodici mesi quanto alla quarta.
2. Dopo ampio ragguaglio delle ragioni dell’esistenza, in capo agli appellanti, di gravi indizi di colpevolezza in relazione ai delitti loro provvisoriamente ascritti – segnatamente: per M. P., i reati di cui all’art. 236-bis L.F. [Falso in attestazione quale advisor delle società N. P. M. Srl., R. Spa. e R. Spa. M. e Pastificio, istanti per l’ammissione al concordato preventivo o per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182- bis L.F., di cui ai capi a), c) e d)] e di cui agli artt. 216, 223 e 236 L.F. [concorso in bancarotta impropria, di cui al capo b), in riferimento alla N. P. M. Srl., dichiarata fallita il 7 dicembre 2016, e di cui al capo e), in riferimento alla R. Spa., che si era vista omologare l’accordo di ristrutturazione dei debiti in data 30 gennaio 2019]; per A. P., i reati di cui all’art. 236-bis LF. [Falso in attestazione quale advisor delle società R. Spa. e R. Spa. M. e Pastificio, di cui ai capi c) e d)] e di cui agli artt. 216, 223 e 236 L.F. [concorso in bancarotta impropria, di cui al capo e), in riferimento alla R. Spa.]; per L. P., i reati di cui all’art. 236-bis L.F. [Falso in attestazione quale advisor delle società N. P. M. Srl., di cui al capo a)] e di cui agli artt. 216 e 223 L.F. [concorso in bancarotta impropria, di cui al capo b), in riferimento alla N. P. M. Srl.]; per F. D.N. reati di cui all’art. 236-bis L.F. [Falso in attestazione quale advisor e consulente legale delle società N. P. M. Srl. e R. Spa. di cui ai capi a) e c)] e di cui agli artt. 216 e 223 L.F. [concorso in bancarotta impropria, di cui al capo b), in riferimento alla N. P. M. Srl.] -, per avere, quali professionisti operanti nell’ambito dello Studio P. di Benevento, prestato la propria attività, nell’ambito delle rispettive competenze, a favore delle società N. P. M. Srl. e R. Spa., che versavano in stato di insolvenza, ideando e dando concreta attuazione ad operazioni societarie (di fusione per incorporazione e di fusione cd. ‘inversa’), le quali, in quanto poste in essere in assenza delle condizioni di fatto per la loro praticabilità, si rivelavano meri strumenti per depauperare ulteriormente il patrimonio aziendale in danno dei creditori sociali, ovvero predisponendo piani concordatari o di ristrutturazione dei debiti delle società, i quali, giacché redatti senza la previa verifica della veridicità dei dati aziendali ostesi a loro sostegno e della fattibilità delle proposte di soluzione concordata della crisi, contribuivano ad aggravare l’insolvenza stessa ed a frodare i creditori, che non erano posti in condizione di valutare correttamente la convenienza degli accordi, il provvedimento impugnato motivava sull’esistenza delle esigenze cautelari, evidenziando come sussistesse a carico degli appellanti il rischio concreto ed attuale di recidiva in virtù del quadro assolutamente allarmante emerso dalle indagini circa il loro operato, attesa la disinvoltura, l’abilità e la scaltrezza dimostrate nel predisporre per gli imprenditori loro clienti – individuati anche nei titolari di società diverse da quelle prese in considerazione nel presente procedimento (ad esempio Gruppo M.) – strategie illecite da seguire per frodare i creditori e la pervicacia delle loro condotte, perpetrate in un lungo arco temporale e con modalità collaudate, costanti ed organizzate, così da conseguire oltretutto lauti guadagni a discapito anche degli interessi economici correlati alle procedure di soluzione concordata della crisi d’impresa.
3. Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di tutti gli indagati, con distinti atti d’impugnativa, affidati, tuttavia, a quattro motivi di analogo contenuto.
Con memoria in data 16 dicembre 2021 (trasmessa tramite PEC in data 21 dicembre 2021) sono stati articolati ex art. 311, comma 4, cod. proc. pen. tre motivi nuovi nell’interesse di tutti i ricorrenti.
3.1. Con il primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 125, 272, 274 lett. c), 290, 292, lett. c) e c-bis), 310 cod. proc. pen. e 133 cod. pen. e il vizio di motivazione con riferimento al profilo della concretezza del pericolo di reiterazione del reato, ritenuta sussistente valorizzando: I.) fatti diversi da quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare, ancorché degli stessi non fosse stata neppure postulata l’illiceità o l’abusività (segnatamente altre quindici procedure di gestione della crisi d’impresa seguite dallo studio P.), così da non potere essere sussunte nella categoria degli atti e comportamenti concreti sintomatici della proclività a delinquere degli indagati; II.) il lungo arco di tempo nel quale si erano dispiegate le condotte criminose, sebbene le stesse – vieppiù perché significativamente diversificate in relazione a ciascun ricorrente – si fossero arrestate al più tardi al 2018, al netto di quelle contestate tra il 2007 e il 2015, giacché non assistite da un sufficiente quadro indiziario; III.) la gravità delle condotte, benché delle due società, rispetto alle quali sono stati ravvisati gli estremi dei reati contestati, soltanto la N. P. M. Sri. fosse fallita, dal momento che, con l’accordo di ristrutturazione dei debiti predisposto dai professionisti indagati, tutti i creditori della R. Spa. si sono visti ampiamente ristorati nelle loro ragioni.
3.2. Con il secondo motivo dei ricorsi principali e con il primo dei comuni motivi aggiunti è dedotta la violazione degli artt. 125, 272, 274 lett. c), 292, lett. c) e c-bis), 310 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione con riferimento al profilo dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, della quale era stata affermata la sussistenza, a dispetto dell’interruzione delle specifiche condotte ascritte agli indagati nel corso 2018 – addirittura nel corso del 2015 quanto a L. P., coinvolta nella sola vicenda della N. P. M. Srl. -, senza enucleare alcun concreto elemento indicativo della personalità proclive al reato degli indagati o sintomatico della prosecuzione da parte loro, in riferimento ad analoghi’ contesti di operatività, dell’attività criminosa descritta nelle provvisorie contestazioni, questa non potendosi far coincidere tout court con l’esercizio dell’attività professionale, che costituisce il mero presupposto della misura cautelare interdittiva, e non potendosi assegnare rilevanza – a differenza di quanto opinato dai giudici di merito – né alla loro competenza professionale, né agli interessi economici sui quali il loro operare si era riverberato, né alle prospettive di loro lauti guadagni; da qui la censura di apparenza della motivazione, giacché espressiva di valutazioni generiche e generalizzate
3.3. Con il terzo motivo dei ricorsi principali e con il secondo dei comuni motivi aggiunti è dedotta la violazione degli artt. 125, 274 lett. c), 275, commi 1 e 2, 292, lett. c) e c-bis), 310 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione con riferimento al profilo della proporzionalità e adeguatezza della misura applicata, in quanto sorretta da valutazioni cumulative, ossia prive di qualsivoglia specifico riferimento sia alle posizioni dei singoli professionisti indagati, assai diversificate tra loro non solo dal punto di vista delle condotte loro ascritte, ma anche dal punto di vista del loro ruolo operativo – essendo direttivo quello dei P. ed esecutivo quello della P. e della D.N.-, sia alle posizioni degli imprenditori co-indagati, nei confronti dei quali era stata addirittura disposta la revoca della misura cautelare loro applicata: ciò in spregio al principio della individualizzazione dei presidi cautelari e del canone della ragionevolezza, avendo i professioni concorso da estranei in reati propri degli imprenditori.
3.4. Con il quarto motivo dei ricorsi principali e con il terzo dei comuni motivi aggiunti è dedotta la violazione degli artt. 125, 274 lett. c), 275, commi 1 e 2, 292, lett. c) e c-bis), 310 cod. proc. pen. e il vizio di mancanza motivazione con riferimento al profilo della durata della misura interdittiva, applicata nella sua massima estensione senza alcuno specifico riferimento alle ragioni atte a giustificarla.
4. Con memoria trasmessa in data 20 dicembre 2021, il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dottor L.G., ha illustrato le ragioni a sostegno della richiesta di rigetto dei ricorsi.
5. Tramite PEC in data 22 e 24 novembre 2022, i difensori dei ricorrenti hanno fatto pervenire richiesta di discussione orale dei ricorsi
Considerato in diritto
I ricorsi sono parzialmente fondati e devono essere accolti per le ragioni di seguito indicate.
1. Questa Corte, dopo la messa a punto – da parte della legge n. 47 del 2015 – del nuovo testo dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., ha stabilito che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede deve essere non solo concreto, cioè fondato su elementi reali e non ipotetici, ma anche attuale, nel senso che deve potersi formulare una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Rv. 271216).
Con riferimento al requisito dell’attualità del pericolo – sul quale ha, in effetti, inciso la novella – è stato, in particolare, precisato che esso, pur non essendo equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto, richiede, comunque, al giudice della cautela una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore è la distanza temporale dai fatti (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018 – dep. 13/03/2019, Rv. 277242).
Il giudizio da compiersi esige, dunque, che il giudice di merito valuti: <<…. attraverso la disamina della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, se permanga la situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede: la previsione che all’imputato si presenti un’effettiva occasione per la reiterazione delittuosa non può, dunque, prescindere dalla verifica del permanere di siffatta situazione, ossia dell’insieme delle condizioni fattuali (pur se connesse a qualificazioni giuridiche o dipendenti da atti giuridici) la cui persistenza rende attuale il pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per il quale si procede» (Sez. 5, n. 12618 del 18/01/2017, Rv. 269533). Il che comporta che l’accertamento ad esso sotteso, necessariamente calibrato anche sul dato cronologico della distanza dall’epoca di commissione dei fatti dei quali si teme la reiterazione, debba incentrarsi sulla verifica «della persistenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede ovvero, nelle ipotesi in cui tale preliminare valutazione sia preclusa, in ragione delle peculiarità del caso di specie, su elementi concreti – e non congetturali – rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione» (Sez. 5, n. 48092 del 17/10/2019, in motivazione).
2. Tanto premesso, occorre sottolineare come il requisito della concretezza – del quale deve ribadirsi la distinzione rispetto a quello dell’attualità, che si atteggia nei modi dianzi illustrati – implichi l’esistenza di elementi, non meramente congetturali ed astratti ma fondati su dati oggettivi ed indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalità dell’indagato, atti a consentire di affermare che quest’ultimo possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere detti reati (Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Rv. 255857; Sez. 4, n. 18851 del 10/04/2012, Rv. 253864; Sez. 6, n. 38763 del 08/03/2012, Rv. 253372; Sez. 1, n. 25214 del 03/6/2009, Rv. 244829; Sez. 3, n. 26833 del 26/03/2004, Rv. 229911).
In proposito, è stato chiarito che la pericolosità sociale, rilevante ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità del fatto e dalla personalità dell’indagato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, di modo che è legittima l’attribuzione alle medesime modalità e circostanze del fatto di una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere, in quanto la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalità dell’agente (Sez. 2, n. 18290 del 12/04/2013, Rv. 255755; Sez. 5, n. 49373 del 05/11/2004, Rv. 231276): donde, fra i “comportamenti” o “atti” concreti sulla base dei quali deve essere condotto il giudizio sulla personalità del soggetto sottoposto ad indagini o dell’imputato ai fini della verifica, a norma dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., del pericolo di reiterazione del reato, possono essere ricompresi anche le “specifiche modalità e circostanze del fatto” a cui fa riferimento la prima parte della medesima disposizione (Sez. 3, n. 48502 del 13/11/2003, Rv. 227039). Del resto, il concreto pericolo di reiterazione dell’attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto essa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo (Sez. 5, n. 45950 del 16/11/2005, Rv. 233222). In definitiva, quindi, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015, il divieto previsto dall’art. 274 lett. c), cod. proc. pen. non consente di desumere il pericolo di recidiva dall’astratta gravità del titolo del reato per il quale si procede, ma non osta alla considerazione della concreta condotta perpetrata, in rapporto al contenuto e alle circostanze fattuali che la connotano (Sez. 1, n. 45659 del 13/11/2015, Rv. 265168).
Stando a tale pacifica ermeneusi, il provvedimento impugnato è immune da censure quanto all’operata valutazione della concretezza del pericolo di reiterazione.
Invero, il rilievo secondo il quale il Tribunale avrebbe errato nel desumere la concretezza del pericolo di recidiva dal modus operandi (analogo a quello mediante il quale erano state realizzate le condotte di reato descritte nell’imputazione cautelare), utilizzato dagli indagati nell’attività professionale prestata a favore di altre quindici compagini imprenditoriali, che pure versavano in stato di crisi, sebbene nulla consentisse di ritenerne l’abusività o l’illiceità, è privo di decisività.
Dalla rassegnata motivazione, nel suo complesso considerata (ivi compresa, dunque, quella che correda la decisione in punto di esistenza dei gravi indizi di colpevolezza), si evince come gli indagati, nell’ambito delle competenze connesse al ruolo rispettivamente assunto nella gestione della crisi della N. P. M. Sri. – conclusasi con la dichiarazione di fallimento della stessa – e della crisi della R. Spa – esitata nell’omologa di ristrutturazione dei debiti della stessa ai sensi dell’art. 182-bis L.F. – avessero progettato (M. P. in combutta con M., da un lato, e i R. dall’altro) ed attuato (A. P., L. P. e F.D.N.) uno schema operativo complesso, dispiegatosi attraverso operazioni societarie prive di giustificazione economica e attraverso il ricorso alle procedure di soluzione concordata della crisi di impresa in assenza delle relative condizioni fattibilità, nell’ambito del quale ciascuno di essi, sottoscrivendo singoli atti, aveva agito in maniera scientemente organizzata, predisponendo, al momento opportuno (come del resto documentato anche dalle conversazioni intercettate), attestazioni, relazioni o proposte, che, in quanto prive di aderenza all’effettivo assetto patrimoniale e finanziario delle società interessate, avevano il solo scopo di falsare le valutazioni dei creditori sociali e ritardare l’emersione del dissesto, con la conseguente erosione delle residue garanzie patrimoniali anche per effetto dell’accumularsi delle spese di procedura e di onorario.
Le riportate articolate modalità operative, riferibili a ciascuno degli indagati in relazione al proprio agire individuale convergente verso preordinati obiettivi comuni, costituiscono, invero, indici particolarmente significativi del loro spessore criminale, di modo che fondatamente è stato da esse desunto il pericolo concreto di reiterazione di condotte della stessa specie, queste ultime non dovendosi identificare in comportamenti sovrapponibili a quelli già commessi, ma, stante la palesata dimestichezza dei prevenuti con operazioni societarie di complessa portata e con gli strumenti operativi della gestione della crisi d’impresa, in azioni replicanti un loro uso abusivo e spregiudicato (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018 – dep. 02/01/2019, Rv. 274403). Ne viene che anche le ulteriori deduzioni circa la limitata estensione temporale delle condotte ascritte ai ricorrenti e l’asserita modesta gravità dei fatti complessivamente considerati (posto che l’accordo di ristrutturazione dei debiti predisposto per la R. Spa. avrebbe portato all’integrale pagamento di tutti i creditori) non sono tali da inficiare la tenuta del giudizio formulato in punto di concretezza del periculum.
3. Quanto sin qui argomentato circa lo studiato contributo offerto da ciascuno dei professionisti indagati alle organizzate manovre di strumentalizzazione delle procedure di soluzione concordata della crisi attivate nell’interesse della N. P. M. Srl. e della R. Spa., contributo comprovato dalla loro personale sottoscrizione di fondamentali atti d’impulso o di avanzamento delle stesse, dei quali, così facendo, avevano assunto piena la responsabilità, rende infondati i rilievi in punto di omessa individualizzata valutazione dell’adeguatezza e della proporzionalità della disposta misura cautelare, applicata in maniera indistinta anche nella durata, a tutti i ricorrenti, di cui al terzo ed al quarto motivo delle impugnative.
4. A diverse conclusioni deve, invece, pervenirsi quanto al profilo dell’attualità del pericolo di recidiva.
Come eccepito dai ricorrenti, la motivazione del provvedimento impugnato non ha fatto buon governo dei principi illustrati in premessa, avendo il Tribunale desunto l’attualità del pericolo di recidiva specifica in capo a loro: «..dalla pervicacia con la quale costoro avevano perpetrato, a lungo, la loro attività criminale.., affinando sempre più il loro modus operandi che dal 2016 aveva raggiunto livelli elevatissimi, innestandosi nelle collaborazioni con importanti studi del Nord», come sarebbe rimasto dimostrato dall’intercettazione telefonica nella quale una collaboratrice dello Studio P., conversando con il contabile, dipendente di uno di questi studi, addetto alla predisposizione delle dichiarazioni fiscali per la società O.D. (Gruppo M.), aveva riferito che per l’anno d’imposta 2016 la relativa dichiarazione era ‘fantasma’. Si tratta, tuttavia, all’evidenza, di argomentazione che nulla dice circa l’effettiva possibilità che gli indagati possano replicare, in contesti diversi, condotte omogenee a quelle loro contestate, non essendo stati specificamente indicati elementi concreti recenti, successivi al 2018, atti a rappresentare l’esistenza di situazioni di fatto idonee a costituire il sostrato per la prosecuzione del loro operare illecito. In tal senso non rilevano gli evocati rapporti con imprenditori diversi dal M. e dai R. (ad esempio B.M. di cui alla conversazione n. 6801 del 21 marzo 2018), suscettibili solo di descrivere la cornice entro la quale si è dispiegata la vicenda investigata, non essendosi gli stessi tradotti in comportamenti di rilievo penale o disciplinare, né l’intercettazione menzionata, che, per come sintetizzata dai giudici del riesame, risulta del tutto neutra ai fini della prognosi da compiere. Si tratta, dunque, di dati informativi, vieppiù quelli attinenti all’attività professionale svolta dai componenti dello Studio P., non logicamente univoci, essendo risultato che la stessa era stata esercitata anche in maniera lecita, la cui eventuale sintomaticità avrebbe richiesto adeguata e specifica motivazione, invece del tutto assente.
In definitiva, al di là del perdurante esercizio della professione — dalla motivazione al vaglio non emerge alcun elemento oggettivo indicativo di una effettiva possibilità, di commissione, nell’attualità, di nuovi reati della stessa specie ad opera dei ricorrenti, non potendosi reputare sufficiente, in funzione della valutazione richiesta, la loro specifica capacità di districarsi nella complessa materia della gestione della crisi d’impresa.
5. S’impone, pertanto, con riguardo al solo profilo dell’attualità del pericolo di recidiva, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli.