CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 8423 depositata il 14 marzo 2022
Violazione disciplina antinfortunistica – Reato di omicidio colposo – Rischio da “ambiente confinato” – Assenza temporanea del preposto alla sicurezza – Irrilevanza ai fini del subentro del vice-preposto
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Lecce il 17 gennaio 2020, per quanto in questa sede rileva, ha integralmente confermato la sentenza, impugnata dall’imputato, con cui il Tribunale di Brindisi il 2 ottobre 2015, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto V. C. responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo, con le attenuanti generiche stimate equivalenti all’aggravante, alla pena di giustizia.
2. Il fatto, in sintesi, come ricostruito concordemente dai giudici di merito.
Il 4 novembre 2008 V. M., lavoratore dipendente della ditta “N. L. s.r.l.”, che aveva avuto in appalto lavori di manutenzione dall’Enel, all’interno di una centrale elettrica, è precipitato a terra da un “riscaldatore d’aria” che era oggetto di manutenzione ed è deceduto dopo quindici giorni per le gravi lesioni riportate.
Hanno accertato i giudici di merito che la vittima, che era all’interno della parte alta del macchinario riscaldatore e che era – sì – munita di casco protettivo e di maschera antipolvere ma non era fornita di maschera antigas e nemmeno di cintura di sicurezza (dotazioni che però erano espressamente prescritte dal P.O.S.) e che, dopo avere avvertito un malore a causa della mancanza d’aria, è caduto giù da un’altezza superiore a due metri.
Si è ritenuto che il rischio da “ambiente confinato” era espressamente previsto nel P.O.S., che ciononostante V. M. non era stato sottoposto a visita medica per valutare la idoneità a svolgere lavori in ambienti confinati, che non aveva seguito un corso di formazione specifico per la peculiare attività lavorativa che doveva svolgere, che non era stato munito di tutte le dotazioni di sicurezza necessarie (maschera antigas e cintura di sicurezza) e che non era ancorato ad un punto fisso.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi ad un solo, complessivo, motivo con il quale denuncia promiscuamente violazione di legge, in particolare degli artt. 192, 530, comma 2, e 533 cod. proc. pen. e 299 del d. Igs. del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in relazione al principio di “effettività” delle mansioni, e difetto di motivazione, che sarebbe mancante, contraddittoria e manifestamente illogica e basata su evidenze probatorie che si assume essere totalmente travisate siccome contraddicenti l’ipotesi di accusa, nel contempo trascurando emergenze documentali (comunicazione in data 18 gennaio 2006 della s.r.l. N.L. all’Enel, depositata in Tribunale all’udienza del 2 maggio 2011) favorevoli alla Difesa e ritenute decisive.
Premesso che nell’organigramma e nel P.O.S. del cantiere della s.r.l. “N.L.” (allegati al ricorso) il ricorrente V. C. era pacificamente indicato come “capo cantiere” e “preposto responsabile del processo lavorativo” e che C. I. era indicato come “capo squadra” e “preposto”, si richiamano i motivi di appello, cui la Corte non avrebbe fornito adeguata risposta, si sottolinea che al momento dell’infortunio mortale il capo cantiere V. C. era legittimamente impegnato in altre incombenze lavorative e che, pertanto, lo stesso risultava sostituito in concreto ed effettivamente dal vice capo cantiere e capo squadra C. I., quest’ultimo in possesso – si assume – delle stesse competenze tecniche dell’imputato (per essere stato già stato capo cantiere prima dell’arrivo di V. C. nei cantieri L.) e peraltro formalmente delegato quale preposto alla sicurezza.
Si censura in particolare l’affermazione della Corte di appello (che si rinviene alla p. 7 della sentenza impugnata) secondo cui l’assenza rilevante ai fini del subentro del vice-preposto sarebbe soltanto quella derivante da congedo o da ferie o comunque di durata significativa, come in caso di malattia od altro, mentre sarebbe irrilevante quella momentanea, poiché in ipotesi foriera di incertezze nella individuazione del soggetto responsabile, in quanto, secondo il ricorrente, essa sarebbe erronea in diritto e non terrebbe conto dell’emerso, legittimo, concomitante impegno di V. C. per ragioni di lavoro al momento dell’infortunio mortale.
Emergerebbe, in definitiva, una motivazione gravemente viziata e non rispettosa del canone in tema di valutazione delle prove fissato dall’art. 192 cod. proc. pen.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
4. Il P.G. della S.C. nella requisitoria scritta dell’8 ottobre 2021 ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Premesso che il reato non è prescritto (fatto del 4 novembre 2008 + 15 anni = 4 novembre 2023, salve eventuali sospensioni), il ricorso è infondato, per le seguenti ragioni.
2. Le doglianze del ricorrente sono le stesse già svolte nell’atto di appello (e puntualmente riferite alle pp. 2-4 della sentenza impugnata), cui ha offerto risposta non incongrua né illogica la Corte di appello con riferimento sia al documento che sarebbe decisivo (comunicazione in data 18 gennaio 2006 della s.r.l. N.L. all’Enel, depositata in Tribunale all’udienza del 2 maggio 2011) sia alla pretesa violazione del principio di effettività quanto alla presenza al momento dell’incidente del “vice” dell’imputato, che era altrove ma – si afferma – per ragioni di lavoro (pp. 5-9 della decisione impugnata ).
In particolare, si è ritenuto da parte dei giudici di merito non avere l’odierno ricorrente, nella qualifica pacificamente rivestita di capo cantiere, controllato che il lavoratore dipendente V. M. fosse idoneo e preparato per l’attività rischiosa da svolgere in ambienti confinati e che fosse provvisto dei necessari mezzi di protezione individuale (mascherina con filtro specifico e cintura di sicurezza ancorata a punto fisso, che non sono stati trovati sul luogo dopo il fatto né risultano essere stati forniti), la cui assenza è stata riconosciuta in diretta correlazione causale con l’incidente mortale (pp. 6-8 della sentenza impugnata).
E si è anche specificato che i dispositivi di sicurezza venivano forniti ai lavoratori da C. I., che a sua volta riceveva le istruzioni e le disposizioni da V. C., il quale non aveva fornito al caposquadra C. I., considerato ulteriore preposto ma subordinato al capocantiere C., le opportune direttive onde verificare, prima dell’inizio dell’attività lavorative del riscaldatore, che all’interno vi fosse sufficiente areazione ed ossigenazione, come previsto non solo dalla legge ma anche espressamente dal P.O.S. (p. 8 della sentenza impugnata).
In conseguenza, deve ritenersi essere stata fornita risposta alla questione relativa al documento in data 18 gennaio 2006.
3. In definitiva, la sentenza impugnata offre sufficiente risposta ai temi posti dal ricorrente che, a ben vedere, lamenta solo vizio di motivazione pur in presenza di doppia conforme, essendo il prospettato vizio di motivazione affidato, in sostanza, alla lamentata violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.: ma, come è noto, «Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art.192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» (così, tra le numerose, Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191-02).
4. Consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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