CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 8611 depositata il 15 marzo 2022

Omesso versamento somme trattenute sulla retribuzione – Applicazione dell’art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 – Soglia di punibilità penale ritenute non versate – Prescrizione per decorrenza del termine di cui agli artt. 157 e 161 cod. proc. Pen – Assoluta ed incolpevole impossibilità di adempiere

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 14 settembre 2020 la Corte di appello di Venezia, in sede di giudizio di rinvio, a seguito dell’annullamento della sentenza del Tribunale di Padova, che assolveva G. M. dal reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 comma 1 bis dl. 463/1983 conv. con mod. nella legge 638/1983, ha dichiarato il medesimo responsabile del reato ascrittogli per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della C.S. Società cooperativa a r.I., con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, omesso di versare le somme trattenute a titolo previdenziale ed assistenziale sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti per euro 24.642,99 per l’anno 2013 ed euro 20.266,99 per l’anno 2014.

2. Avverso la sentenza propone ricorso G. M., a mezzo del suo difensore, formulando due motivi di impugnazione.

3. Con il primo fa valere l’erronea applicazione dell’art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 per avere ritenuto la responsabilità dell’imputato non considerando che il presupposto di applicazione della disposizione è il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori e che la prova dell’effettiva corresponsione degli emolumenti, incombente sul pubblico ministero e desumibile tanto da prove dichiarative, che da documentazione ricognitiva del debito (quali sono i Mod. DM10), non è stata acquisita nel caso di specie, essendo emerso in giudizio che la C.S. ha corrisposto ai soci lavoratori nel periodo maggio 2013-settembre 2014 -in contestazione- unicamente degli acconti. Sostiene che sebbene alcune pronunce di legittimità abbiano ritenuto che il reato di cui all’art. 2 comma 1 bis d.l.  463/1983 sia configurabile anche nel caso della corresponsione di acconti, nondimeno esse sono antecedenti l’entrata in vigore dell’art. 3 comma 6 d. Igs.  8/2016, che ha introdotto, modificando il comma 1 bis dell’art. 2 d.l. 463/1983 la soglia di punibilità penale in diecimila euro anni di ritenute non versate, disposizione pacificamente applicabile al caso di specie, ai sensi dell’art. 8 del medesimo decreto legislativo e comunque ai sensi degli artt. 2 e 4 cod. pen.. Se, invero, prima della riforma qualsiasi omissione contributiva era penalmente rilevante, allo stato bisogna accertare se gli acconti versati da C.S. abbiano raggiunto proporzionalmente-percentualmente la somma di euro diecimila di contributi non versati all’ente previdenziale. Siffatta verifica è di fatto mancata, tanto che la Corte territoriale giunge ad affermare che la soglia di punibilità è stata superata per entrambe le annualità, non perché ciò sia stato provato, ma perché è stato affermato dal Procuratore generale. Sostiene che il giudice del rinvio non avrebbe potuto ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli acconti effettivamente versati potessero corrispondere al superamento della soglia di punibilità, posto che gli importi dei contributi omessi di cui al capo di imputazione erano più del doppio della somma di diecimila euro, il che implicava che le retribuzioni fossero state corrisposte almeno nella misura del 50%, il che non era risultato dalla prova dichiarativa, né era compatibile con la messa in Liquidazione coatta amministrativa della società cooperativa. Sottolinea la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, afferma che ai soci lavoratori furono versati periodicamente degli acconti, dall’altro, richiamando una giurisprudenza relativa ai lavoratori agricoli, secondo la quale ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983, la prova della corresponsione delle retribuzioni può essere ricavata dall’invio telematico all’istituto previdenziale del modello DMAG da parte dell’imprenditore (Sez. 3, n. 51214/2019), non considera che nel processo manca qualsivoglia acquisizione documentale di modelli corrispondenti (DM10).

4. Con il secondo motivo si duole della violazione della legge penale in ordine al disposto degli artt. 42, 43 e 45 cod. pen. e del vizio di motivazione, per non avere il giudice del rinvio esteso la giurisprudenza formatasi in tema di evasione fiscale, confacente, per i principi espressi anche quella contributiva, in relazione alla causa di forza maggiore, secondo cui l’inadempimento può essere attribuito a forza maggiore quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non ha potuto porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà. Deduce, sotto altro profilo, la mancanza dell’elemento psicologico del reato, ricordando che alcune pronunce della Suprema Corte hanno chiarito che l’impossibilità di adempiere rileva, a questi fini, allorquando non sia inesistente il margine di scelta, in assenza della possibilità per il responsabile della gestione aziendale di porre rimedio alla situazione per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. Ricorda che la prova dichiarativa ha dimostrato la gravissima crisi della Società C.S., legata ad omessi pagamenti dei clienti ed alla perdita di commesse, sfociata, non a caso nella liquidazione coatta amministrativa; che M. cercò in ogni modo di ovviarvi rinegoziando il credito con le banche e sollecitando i pagamenti. Ciò rileva sotto il profilo della carenza del dolo e della sussistenza di una causa di forza maggiore, neppure indagata dalla Corte, che ha preso in considerazione solo l’art. 51, relativo all’adempimento di un dovere ed all’esercizio di un diritto. Sostiene che non è possibile chiedere al legale rappresentante di una società cooperativa, la cui carica è priva di interessi di lucro, il sacrificio di patrimonio personale, preteso dalla giurisprudenza che per esimere dalla responsabilità penale pretende l’impiego di risorse personali dell’amministratore per far fronte al debito erariale, ritenendo sussistente la causa di forza maggiore solo quando egli non riesca a soddisfarlo per cause indipendenti dalla sua volontà ed a lui non imputabili. Non è possibile, infatti, nell’applicare detto principio prescindere dalla forma societaria. Rileva la mancanza grafica della motivazione in ordine all’elemento soggettivo.

5. Con il terzo motivo lamenta l’inosservanza e la falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 bis d.l. 463/1983 conv. con I. 683/1983 per avere applicato la pena di mesi sei di reclusione, asseritamente nel minimo, diminuita a mesi quattro di reclusione per la concessione delle attenuanti generiche, benché essa sia pari a dodici volte il minimo edittale, posto che la disposizione punisce la fattispecie con pena della reclusione sino a tre anni e con la multa sino ad euro 1.032,00, sicché è pacifico che il minimo edittale della pena detentiva sia pari a giorni 15 di reclusione ai sensi dell’art. 23 cod. pen.. La motivazione è, dunque, palesemente contradittoria. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e comunque la riduzione al minimo edittale della pena inflitta.

6. Con requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8 d.l. 137/2020 il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il reato di cui all’art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 conv. con mod. nella legge 638(1983, relativo all’annualità 2013, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, essendo decorso il termine di cui agli artt. 157 e 161 cod. proc. pen..

In proposito va ricordato che “In tema di omesso versamento di contributi previdenziali ed assistenziali, ai fini del computo della prescrizione per i fatti pregressi alla modifica introdotta dall’art. 3, comma 6 , del d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8, la normativa più favorevole, ai sensi dell’articolo 2, comma quarto, cod. pen., va individuata, nel caso in cui non sia stata superata la soglia di punibilità di 10.000 euro annui, nella nuova previsione normativa, mentre nell’ipotesi di superamento di detta soglia, nella normativa previgente, secondo la quale il momento consumativo del reato coincideva con la scadenza del termine previsto per ogni versamento mensile, ovvero con il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi” (ex multis Sez. 3, Sentenza n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, Rv. 271446). Invero stabilendo che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali integra reato ove l’importo sia superiore a quello di euro 10.000,00 annui, il legislatore non si è limitato semplicemente ad introdurre un limite di “non punibilità” delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l’assetto della precedente figura normativa (che, come noto, nessun limite prevedeva), ma ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo dello stesso (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv 268308). La giurisprudenza richiamata ha, infatti, chiarito, che “il reato deve ritenersi già perfezionato, in prima battuta, nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di euro 10.000,00 senza che, peraltro, attesa, come si è detto la necessaria connessione con il periodo temporale dell’anno, le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno sino al mese finale di dicembre possano “aprire” un nuovo periodo e, dunque, dare luogo, in caso di secondo superamento, ad un ulteriore reato. Tali omissioni, infatti, contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge sicché, da un lato, non possono semplicemente atteggiarsi quale post factum penalmente irrilevante e, dall’altro, approfondendo il disvalore già emerso non possono segnare in corrispondenza di ogni ulteriore mensilità non versata, un ulteriore autonomo momento di disvalore (che sarebbe infatti assorbito da quello già in essere)” (Sez. 3, Sentenza n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, in motivazione) La nuova fattispecie è, quindi, caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, in motivazione). Ne consegue che “rispetto alla precedente figura di reato, il momento consumativo é evidentemente diverso: mentre nel precedente assetto normativo il reato si consumava in corrispondenza di ogni omesso versamento mensile (cfr., da ultimo, Sez.3, n. 26732 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bongiorno, Rv. 264031), nell’attuale e nuovo la consumazione appare coincidere, secondo una triplice diversa alternativa, o con il superamento, a partire dal mese di gennaio, dell’importo di euro 10.000,00 ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l’ulteriore o le ulteriori omissioni successive sempre riferite al medesimo anno ovvero, definitivamente e comunque, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, con la data del 16 gennaio dell’anno successivo. La struttura del “nuovo” reato come tratteggiata sopra, impone inoltre di tenere conto, al fine dell’individuazione o meno del superamento del limite di legge di euro10.000,00 di tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno e, dunque, nella specie, anche di quelle eventualmente estinte per prescrizione: la mera declaratoria di estinzione del reato per ragioni connesse al decorso del tempo non può significare elisione della materiale sussistenza del fatto di omesso versamento (Sez. 3, Sentenza n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, in motivazione). Inoltre, la diversa strutturazione del reato comporta, altresì, che “con riferimento ai fatti pregressi, laddove l’omissione annuale non abbia superato l’importo di euro 10.000,00, debba applicarsi, in quanto norma sicuramente più favorevole, la nuova previsione normativa alla stregua dell’art. 2, comma 4, c.p., mentre, laddove l’importo sia stato superato, le due normative debbano essere messe a confronto per individuare, ai sensi dell’art. 2 comma 4 cod.pen., la norma più favorevole in particolare ai fini della prescrizione del reato tenuto conto del periodo di sospensione di mesi tre di cui all’art. 2, comma 1 quater del dl. n. 463 del 1983, non modificato dalla legge in questione (ibidem).

2. Nel caso di specie, pertanto, la nuova disciplina consente di dichiarare il reato estinto per prescrizione per l’annualità del 2013, mentre in relazione all’anno 2014, non essendo superato il limite soglia di euro 10.000,00 come previsto dall’art. 2, comma 1-bis d.. 463/1983 come mod. dall’art. 3 comma 6 d.lgs. 2016, al mese di febbraio 2014, non è possibile dichiarare la prescrizione del reato, in relazione ai contributi omessi nei mesi di gennaio e febbraio 2014.

3. D’altro canto le medesime considerazioni consentono di affermare che il giudice del rinvio ha dato pieno adempimento al mandato del giudice rescindente. 

La Corte di legittimità, infatti, nell’annullare la decisione del Tribunale di Padova, impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia ha richiamato i principi, desumibili dalla giurisprudenza di legittimità da applicare al caso di specie, così enunciati: “il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, previsto dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983, (modificato dall’art. 3, comma sesto, del d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 8, che ha introdotto la soglia di punibilità di euro 10.000 annui), ha una struttura unitaria e la condotta può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento (16 gennaio-16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso); il momento consumativo del reato coincide o con il superamento dell’importo di euro 10.000,00 ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l’ulteriore o le ulteriori omissioni successive sempre riferite al medesimo anno, caratterizzandosi in tale ultimo caso quale progressione criminosa nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti  esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell’ultima mensilità (Sez.U, n.10424 del 18/01/2018, P.M. in proc. Zattera, Rv.272163; Sez.3, n.35589 del 11/05/2016, Di Cataldo, Rv.268115; Sez.3, n.37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv.268308); tenuto ad adempiere alla diffida inviata ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983 è colui che era obbligato al versamento al momento dell’insorgenza del debito contributivo, anche se medio tempore abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa, in quanto il predetto adempimento costituisce una causa personale di esclusione della punibilità, sicché vi è tenuto soltanto l’autore del reato (Sez.3, n.39072 del 18/07/2017, Falsini, Rv.271473); l’imputato, autore del reato tenuto ad adempiere alla diffida ai sensi dell’art. 2 d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, che non sia più legale rappresentante della società vincolata al versamento contributivo, può beneficiare della causa personale di non punibilità adempiendo all’obbligazione in nome e per conto di quest’ultima, secondo lo schema del pagamento del terzo di cui all’art. 1180 cod. civ. (Sez.3,n.30879 del 27/03/2018, Lazzari, Rv.273335)” (Sez. 3, n. 30398 del 16 aprile 2019, in sede di annullamento della sentenza del Tribunale di Padova in data 11 dicembre 2017).

4. La Corte territoriale ha affermato che è indiscusso in giudizio che la Società cooperativa C.S. a r.l. nel corso del periodo oggetto di imputazione (anni 2013-2014) abbia provveduto al pagamento di acconti dei compensi dovuti ai soci lavoratori, e che negli anni 2013-2014 non siano stati versati i contributi previdenziali ed assistenziali, con superamento della soglia annuale stabilita in euro diecimila dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983, come modificato dall’art. 3, comma sesto, del d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 8).

5. Ciò, che il ricorrente contesta è che, in assenza -in giudizio- di documentazione comprovante gli importi corrisposti e, quindi, quelli dovuti a fini contributivi, non possa addivenirsi ad una sentenza che dichiara la penale responsabilità dell’imputato, non essendo stati acquisiti i DM10 relativi, paragonabili, secondo il giudice del rinvio a modelli DMAG, relativi ai lavoratori agricoli e ritenuti dalla giurisprudenza di legittimità prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni (Sez. 3 n. 51214 del 10/10/2019).

6. Ora, ancorché la sentenza qui gravata sia sul punto estremamente sintetica, facendo genericamente riferimento alla documentazione acquisita ed alle  testimonianze raccolte nel corso del giudizio di appello, nondimeno, la sua lettura congiunta con quella di primo grado consente di superare agevolmente la censura introdotta. Ed invero, il giudice di prima cura dà atto che l’imputato ha prodotto i “ruolini paga” dei soci della cooperativa (da intendersi le buste paga), che recano i contributi da versare, non versati, non avendo la Cooperativa corrisposto alcunché ai proprii soci. Circostanza questa ritenuta inveritiera dallo stesso Tribunale, che assolve l’imputato, per avere il medesimo perduto la carica di Presidente del Consiglio di amministrazione nel momento in cui spirava il termine di tre mesi concesso dal verbale di accertamento per l’inadempimento. La Corte, tenuta in considerazione la documentazione prodotta, prende atto che dalle testimonianze assunte nel corso del giudizio di appello è emerso che gli acconti sono stati effettivamente pagati dalla Cooperativa ai proprii soci e che rispetto a detti acconti non sono stati versati i contributi dovuti in misura superiore alla soglia. Ciò è sufficiente a considerare integrato il reato oggetto dell’imputazione. Il riferimento alla giurisprudenza di questa Corte relativa ai DMAG (Sez. 3 – , Sentenza n. 51214 del 15/10/2019, Rv. 277617), avente ad oggetto il lavoro agricolo, ritenuta estensibile all’ipotesi di specie (evidentemente con riferimento ai DM10) appare, dunque, ultronea rispetto al tessuto motivazionale, posto che è stata raggiunta la prova degli esborsi, rispetto ai quali manca il versamento dei contributi (Sez. 3, Sentenza n. 29037 del 20/02/2013, Rv. 255454).

7. Il secondo motivo è infondato.

8. La sentenza impugnata precisa che “Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali non può essere scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, perché, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice. (Sez. F – , Sentenza n. 23939 del 11/08/2020, Rv. 279539; cfr. anche “Sez. 3 – , Sentenza n. 36421 del 16/05/2019, dep. 26/08/2019, Rv. 276683).

9. A fronte di siffatta motivazione, il ricorrente assume di non avere affatto invocato l’applicazione dell’art. 51 cod. pen., ma quella di cui all’art. 45 cod. pen., stante la crisi dell’impresa, sfociata nella liquidazione coatta amministrativa, riconosciuta anche dalla Corte territoriale, determinante l’incolpevole condizione di non poter far fronte ai debiti, ed implicante il tentativo di postergare i pagamenti, senza che potesse essere addebitata all’imputato alcuna responsabilità penale, non avendo egli determinato la crisi dell’impresa, pacificamente estranea alle sue modalità gestorie.

Sul punto, al di là dell’asserita omessa motivazione della Corte, è sufficiente ricordare che “Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. (Sez. 3, Sentenza n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 3512 del 17/01/1994, Rv. 196977, secondo cui: “In tema di reato di omesso versamento all’Erario di somme trattenute a titolo di sostituto d’imposta – art. 2 comma secondo legge 7 agosto 1982 n. 516 – il fallimento sopravvenuto non è annoverabile tra le cause di forza maggiore non prevenibili e non può costituire un’esimente della responsabilità penale derivante dall’inadempimento del debito fiscale, non potendo avere, il fallimento stesso, alcuna incidenza su una condotta illecita omissiva già realizzatasi alle scadenze mensili successive ai mesi cui le ritenute operate si riferiscono“).

Come ben chiarito dalla motivazione della sentenza della Sez. 3, Sentenza n. 38594 del 23/01/2018, Rv. 273958, in un’ipotesi di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’emissione della fattura, nel quale si invocava l’esimente di cui all’art. 45 cod. pen. “La forza maggiore esclude la “suitas” della condotta. Secondo l’impostazione tradizionale, è la «vis cui resisti non potest», a causa della quale l’uomo «non agit sed agitur» (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855). Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv.  147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191). Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822). Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856), assoluta impossibilità che deve essere collegata a eventi che sfuggono al dominio finalistico dell’agente.

Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la “suitas” della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico“.

Si tratta di principi che possono pacificamente estendersi alla diversa ipotesi di omissione contributiva, per il caso di crisi di impresa, stante la presenza di margini di scelta sui pagamenti da effettuare, tanto che lo stesso imputato ha chiarito di avere ritenuto preferibile corrispondere degli acconti ai soci, anziché versare i relativi contributi.

10. Il terzo motivo è parzialmente assorbito dall’annullamento della sentenza impugnata per l’estinzione per prescrizione del reato relativo all’annualità 2013, che comporta la rideterminazione della pena in mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa. In ogni caso va osservato che la critica mossa dal ricorrente, che assume la grave illogicità della motivazione per aver il giudice di secondo grado sostenuto di applicare la pena nel minimo edittale, benché la misura di mesi quattro di reclusione sia di dodici volte superiore al minimo, appare del tutto pretestuosa. Da un lato, infatti, la sanzione è stata determinata in una misura che se non rappresenta il minimo edittale (pari a giorni quindici di reclusione) è certamente di poco superiore, mentre la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che quando la pena concreta è determinata entro il medio edittale, il richiamo ai criteri dell’art. 133 cod. pen., ancorché reso esplicito con le espressioni pena congrua o pena equa costituisce giustificazione sufficiente dell’uso della discrezionalità del giudice (moltissime sono le pronunce che distinguono l’obbligo motivazionale fra il caso di applicazione della sanzione minima o media e quello dell’irrogazione della sanzione superiore e più prossima al massimo edittale, ex multis Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017 Rv. 2712439Sez. 4, Sentenza n. 27959 del 18/06/2013, Rv. 258356).

11. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio limitatamente al reato relativo all’annualità 2013, in quanto estinto per prescrizione, il che comporta la necessità di rideterminare la pena i mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato relativo all’annualità 2013 in quanto estinto per intervenuta prescrizione e ridetermina la pena in mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa. Rigetta il ricorso nel resto.