Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 9324 depositata il 1° marzo 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – REATO DI OMICIDIO COLPOSO – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – MISURE DI SICUREZZA – SUSSISTE
Fatto Diritto
1. G.A.R. ricorre avverso la sentenza in epigrafe che confermava la decisione del Tribunale di Novara che la aveva riconosciuta colpevole del reato di omicidio colposo con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contesta circostanza aggravante la aveva condannata alla pena di mesi sei di reclusione.
2. La ricorrente deduce carenza motivazionale e violazione di legge in relazione alla omessa mitigazione del trattamento sanzionatorio sulla base delle censure mosse alla sentenza di primo grado, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alle circostanze aggravanti contestate e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Ebbene, ritiene il Collegio che i motivi sopra richiamati siano manifestamente infondati, in quanto generici e tesi ad ottenere una rilettura di medesimi argomenti già introdotti nel giudizio di appello.
Il giudice territoriale ha fornito adeguata contezza della misura della pena applicata, evidenziando che la stessa era stata agganciata a criteri minimi edittali e che, in relazione alla gravità e pluralità di violazioni alla disciplina antinfortunistica riconosciute, il giudizio di equivalenza tra circostanze di opposto segno era da considerarsi addirittura benevolo in assenza di altri profili di meritevolezza da valorizzare. Il ragionamento del giudice di appello risulta espresso in corretti termini logico giuridici e appare del tutto condivisibile.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle ammende.
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