Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 9417 depositata il 10 marzo 2020
reati tributari – omessa dichiarazione
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 23 luglio 2019, il Tribunale del riesame di Brescia, accoglieva l’appello del Pubblico Ministero e, per l’effetto, disponeva il sequestro preventivo delle somme di denaro esistenti sui conti correnti nonché su depositi, titoli ed altre disponibilità finanziarie della A.S. Società Cooperativa, in subordine, delle somme di denaro esistenti sui conti correnti nonché su depositi, titoli ed altre disponibilità finanziarie, di beni immobili, mobili o di qualsiasi utilità nella disponibilità di Q.P., sino alla concorrenza di € 511.919,02. Il sequestro 2091 era disposto quale profitto del reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, di cui all’incolpazione provvisoria nei confronti del medesimo Q.P., quale legale rappresentante della A.S. Società Cooperativa, in relazione all’omessa presentazione delle dichiarazioni Iva e dei redditi, per gli anni 2014- 2015, reato rispetto al quale riteneva, il tribunale, sussistente il fumus commissi delicti.
2. Riteneva, in particolare, il tribunale la sussistenza del fumus del reato di omessa dichiarazione ex art. 5 cit., sul rilievo che le dichiarazioni erano state presentate, per gli anni in contestazione, da soggetto non legittimato (ex amministratore moglie dell’indagato Q.P.), in quanto privo della legale rappresentanza, dovendosi, quelle presentate, considerarsi omesse. La norma incriminatrice delinea un reato omissivo proprio, che può essere commesso solo da chi, secondo la legge tributaria, è soggetto obbligato alla presentazione, ovvero il legale rappresentante, nella specie il Q.P., che non vi aveva provveduto; in ogni caso, evidenziava il tribunale, che, nel caso di tali reati il concorso dell’extraneus potrebbe unicamente configurarsi quale concorso morale, che non varrebbe, comunque, ad escludere il reato dell’intraneo.
In tale ambito, non poteva trovare applicazione la norma di cui all’art. 1 del d.P.R. 322/1998 che, in caso di presentazione da parte di un soggetto non legittimato, stabilisce che la dichiarazione è nulla, ma sanabile alle condizioni ivi previste, perché trattasi di norma che attiene al rapporto tributario ed esula dal processo penale, rilevando, comunque che nel caso concreto tale sanatoria non sarebbe neppure avvenuta.
Neppure era condivisibile la tesi difensiva secondo cui la C. avrebbe presentato le dichiarazioni a ciò delegata dall’indagato, trattandosi di mera allegazione difensiva che comunque non varrebbe ad escludere la responsabilità del soggetto obbligato, la cui responsabilità non sarebbe comunque esclusa nel caso di delega ad altri di predisporre e presentare la dichiarazione.
Riteneva, infine, il tribunale, che sulla scorta degli accertamenti della Guardia di Finanza era possibile determinare il profitto del reato, funzionale alla confisca diretta e, in caso di incapienza, per equivalente, nella misura sopra indicata.
3. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il difensore di Q.P. deduce due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. erronea interpretazione della legge penale in relazione all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
Il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto omessa la presentazione delle dichiarazioni fiscali, per gli anni 2014 e 2015, dichiarazioni sottoscritte dalla sig.ra C., ex amministratore della società sino al 2013 e moglie dell’indagato Q.P., dichiarazioni presentate dal commercialista della società all’uopo delegato. Il commercialista avrebbe commesso un errore materiale, circostanza avvalorata dal fatto che la C. era stata amministratore della società. L’art. 1 del d.P.R. 322/1998 stabilisce che la dichiarazione è sottoscritta dal contribuente o da chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale, e la nullità è sanata se il contribuente provvede alla sottoscrizione entro trenta giorni dall’invito da parte dell’agenzie delle entrate. La giurisprudenza di legittimità avrebbe precisato che la dichiarazione non sottoscritta non è inesistente, ma che può essere sanata. Da cui la dedotta violazione di legge.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. erronea interpretazione della legge penale in relazione all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, nella parte in cui il tribunale avrebbe escluso che l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni fiscali non sarebbe delegabile. Nell’ambito dell’amministrazione delle società è prassi costante la delega di alcune specifiche funzioni tra cui gli adempimenti fiscali a consulenti che esercitano la professione di commercialista. Il conferimento della delega sarebbe incompatibile con il dolo del reato. Nel caso in esame il Q.P. avrebbe conferito delega al commercialista rimanendo estraneo all’operato di quest’ultimo.
3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi che possono essere trattati congiuntamente secondo le seguenti coordinate ermeneutiche.
5. Va, in primo luogo, rammentato che il d.Lgs. n. 74/2000, art. 5 punisce, com’è noto, la mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti a questa tenuti. Trattasi di reato omissivo proprio, essendo soggetti attivi del reato coloro che sono obbligati alla presentazione di taluna delle dichiarazioni annuali previste dalla disposizione (Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, Lombardi, Rv. 246208 – 01; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087 – 01).
In tale ambito, si è chiarito che trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e non delegabile il relativo dovere e si è escluso che l’eventuale delega possa modificare il destinatario dell’obbligo, titolare della posizione di garanzia, il quale, in ossequio ai criteri di tassatività e di legalità, continua a coincidere con il soggetto individuato dalla legge (Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, Lombardi, Rv. 246208 – 01). Da cui la conseguente affermazione di principio secondo cui l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione.
Colui che abbia affidato al commercialista ovvero ad un consulente fiscale l’incarico di compilare la dichiarazione, non può dirsi, per ciò stesso, esonerato da responsabilità, sia perché la legge tributaria considera come personale il relativo dovere, sia perché una diversa interpretazione, che trasferisca il contenuto dell’obbligo in capo al delegato, finirebbe per modificare l’obbligo originariamente previsto per il delegante in mera attività di controllo sull’adempimento da parte del soggetto delegato. Il che è contrario al dato normativo, legge tributaria, che individua nel legale rappresentante il soggetto tenuto alla presentazione delle dichiarazioni.
Ancora in tempi più recenti si è ribadito che, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere; ed ha chiarito che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo nè da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087 – 01).
6. Così delineata la questione interpretativa, le prospettazioni difensive agitate nel ricorso sono tutte manifestamente infondate.
Manifestamente infondata, perché contraria ai principi sopra richiamati, è la tesi difensiva secondo cui vi sarebbe stato un mero errore materiale del professionista delegato che avrebbe fatto sottoscrivere le dichiarazioni all’ex amministratore, situazione che in forza della delega (non dimostrata) escluderebbe la responsabilità in capo al ricorrente.
In primo luogo, la tesi difensiva, che non considera la natura dell’obbligo personale e indelegabile di presentazione delle dichiarazioni fiscali, come delineato dalla legge tributaria, finisce per ammettere l’omissione stessa della prestazione da parte del soggetto-contribuente che ha, secondo le leggi tributarie, l’obbligo di presentazione, cioè il Q.P., legale rappresentante al momento della scadenza dell’obbligo di presentazione. La tesi propugnata dell’errore altrui (del commercialista) e della scriminante delle delega a terzi, si scontra in primis con il dato insuperabile che il Q.P., legale rappresentante della società cooperativa, alla scadenza del termine non aveva presentato le dichiarazioni fiscali, né aveva allegato che l’omissione (in un contesto fattuale nel quale non si contesta di essere il soggetto obbligato) era conseguente a causa a lui non imputabile, non avendo allegato di aver predisposto la dichiarazione, di avere preso accordi con la persona deputata alla materiale redazione che poi, erroneamente, avrebbe fatto sottoscrivere a terzi le dichiarazioni.
Seguendo fino in fondo la tesi difensiva, emerge plasticamente la sua manifesta infondatezza, giacchè la C. non risponderebbe del reato omissivo perché non era soggetto tenuto alla presentazione, ma neppure risponderebbe il ricorrente per errore del professionista a ciò delegato, in una situazione nella quale il ricorrente non contesta di essere il soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione in quanto legale rappresentante, né allega alcuna situazione riconducibile a forza maggiore che può avere giustificato tale omissione (Sez. 3 n. 3928 del 25/02/1991, Rv. 186784). Infine, non si può trascurare che il contribuente aveva poi 90 giorni di tempo dalla scadenza del termine per adempiere all’obbligo, obbligo che non è stato adempiuto.
7. Va ribadito che l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche, su chi ne abbia la legale rappresentanza, tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità (art. 1, comma 4, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Il fatto che il contribuente (la persona giuridica nel caso di specie) possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione (art. 3, commi 3 e 3-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, cit.) non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente il quale, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione, è comunque obbligato alla conservazione della copia sottoscritta della dichiarazione (art. 1, comma 6, d.P.R. n. 322 del 1998).
La legge tributaria considera come personale il relativo dovere e il fatto di aver affidato al commercialista ovvero ad un consulente fiscale l’incarico di compilare la dichiarazione, non può esonerare la responsabilità di colui in capo al quale, la legge, impone un obbligo non delegabile di presentazione della dichiarazione previamente sottoscritta dal soggetto indicato dalla legge come quello obbligato.
In tale ambito, non può, come correttamente evidenziato dal tribunale, invocarsi la previsione normativa per cui la dichiarazione nulla, presentata da soggetto non legittimato, è sanabile ai sensi dell’art. 1 comma 4 del d.P.R. n. 322/1998, trattandosi di norma valevole nei rapporti tributari che esula dalla fattispecie penale, sanatoria, non dimostrata nel caso concreto, che presuppone comunque l’adesione del soggetto realmente obbligato, situazione neppure verificatasi nel caso in esame. La dichiarazione sottoscritta da soggetto non legittimato e non sanata dalla persona obbligata alla presentazione si considera omessa.
E’, poi, frutto di un equivoco interpretativo l’affermazione del ricorrente secondo cui nell’ambito di amministrazione di persone giuridiche sarebbe prassi quella di delegare specifiche funzioni. Non è questione di delega di funzioni, che rimane circoscritta ad obblighi delegabili a terzi, tra i quali non v’è quello, imposto dalla leggi tributarie in capo al legale rappresentante, di presentazione delle dichiarazioni fiscali, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l’inoltro telematico che non vale a trasferire il capo al delegato l’obbligo del contribuente (Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, Lombardi, Rv. 246208 – 01).
Infine, quanto al profilo del dolo, questo è dimostrato dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi (vedi supra) che il soggetto obbligato ha consapevolmente omesso la presentazione della dichiarazione nella consapevolezza dell’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (qui non contestata).
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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