CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 961 depositata il 10 gennaio 2019
Tributi – Evasione – Sanzioni penali – Dichiarazioni fiscali – Omessa presentazione annuale
Ritenuto in fatto
1. Il sig. F.T. ricorre per l’annullamento della sentenza del 20/06/2016 della Corte di appello di Ancona che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di un anno e tre mesi di reclusione irrogata dal Tribunale di Pesaro con sentenza del 10/12/2013 per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 5 e 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, nella sua qualità di legale rappresentante della società «T. S.r.l.», non aveva versato la somma 192.650 euro dovuta a titolo di imposta sul valore aggiunto per l’anno 2008 (capo A), e perché, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non aveva presentato la dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2009.
1.1. Con unico motivo deduce:
1.1.1. di non essere mai stato a conoscenza del processo a suo carico per gravi motivi di salute;
1.1.2. di essere stato sottoposto a numerose verifiche fiscali nel corso delle quali è stata sequestrata l’intera contabilità dell’impresa, così da rendere oltremodo impossibile l’esercizio del diritto di difesa, già compromesso dalle precarie condizioni di salute;
1.1.3. di essere stato amministratore solo per alcuni mesi prima che l’attività fosse definitivamente chiusa;
1.1.4. che la condanna si fonda su un accertamento fiscale parziale che non ha potuto necessariamente prendere in considerazione la gran quantità di fatture di acquisto sequestrate nell’ambito di altro procedimento (è stato esaminato il contenuto di soli sei scatoloni su 34 dei quali non si ha notizia dove si trovino) con conseguenze aberranti sull’entità del ricarico effettuato sul costo di acquisto calcolato nella misura del 319%;
1.1.5. che in sede di verifica fiscale non è stato preso in considerazione nemmeno il libro degli inventari;
1.1.6. che, quindi, la testimonianza del maresciallo della GdF non è veritiera allorquando sostiene che l’accertamento fu completo.
Considerato in diritto
2.Il ricorso è inammissibile ma la sentenza deve essere annullata d’ufficio limitatamente al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
3. Le eccezioni difensive sono inammissibilmente fattuali e generiche.
3.1. Il ricorrente non prova nemmeno a incasellare i fatti dedotti in uno dei casi per i quali è consentito il ricorso per cassazione, lasciando a questa Corte l’improponibile compito di individuare il profilo di nullità della sentenza impugnata.
3.2. Oggetto di cognizione, in sede di legittimità, è il fatto così come descritto dalla sentenza in base alle prove in essa indicate. E’ possibile mettere in discussione la coerenza del fatto accertato con tali prove (o con altre, in tesi, ingiustamente neglette) negli stretti limiti nei quali è consentito eccepirne il travisamento ma è onere del ricorrente indicare quanto meno di quali prove si tratti e allegarle o trascriverne il contenuto per intero.
3.3. Al di fuori di questi casi, la Corte di cassazione non può entrare nel merito della decisione impugnata per il semplice motivo che le è inibito l’accesso agli atti del fascicolo del dibattimento, sicché ogni deduzione o eccezione che faccia leva su argomenti estranei al testo della motivazione del provvedimento impugnato propone un’interlocuzione impossibile con i Giudici di legittimità sterilizzando la possibilità del ricorso di generare un valido rapporto di impugnazione.
3.4. Alla Corte di cassazione non interessa sapere se le prove assunte nel corso del giudizio giustificano la decisione impugnata: è compito del giudice di merito valutare e sistemare razionalmente il quadro probatorio e darne conto in motivazione (art. 546, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.); alla Corte di legittimità dunque non interessa sapere come il giudice avrebbe potuto decidere in base alle prove assunte nel corso del giudizio, ma come ha deciso in base a quelle indicate nel provvedimento impugnato.
3.5.Occorre, perciò, ribadire, ancora una volta, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; cfr., altresì, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 21626, secondo cui avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri).
3.6.Occorre dunque stare al testo della motivazione della sentenza impugnata dalla quale risulta che il ricorrente non ha versato l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno di imposta 2009 e non ha presentato la dichiarazione annuale ai fini della medesima imposta dovuta per l’anno 2010 nella misura di € 77.468,53.
4. L’inammissibilità del ricorso non preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., l’irrilevanza penale del fatto contestato al capo A della rubrica (anche se non oggetto di specifica impugnazione) del quale non si sono avveduti il ricorrente e la Corte di appello.
4.1. Come noto, l’art. 8, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha modificato l’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, elevando a duecentocinquantamila euro la soglia della penale rilevanza della condotta omissiva con la conseguenza che gli omessi versamenti dell’imposta sul valore aggiunto per un ammontare pari o inferiore a detto importo non sono più previsti dalla legge come reato.
4.2. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Non è necessario il rinvio perché la pena principale irrogata per il reato è stata specificamente quantificata nella misura di tre mesi di reclusione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo a) – art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 – perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena mesi tre di reclusione, rideterminando, per l’effetto, la pena finale in anni uno di reclusione.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
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