CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 9963 depositata il 16 marzo 2020
Reati tributari – Sostituto d’imposta – Omesso versamento ritenute alla fonte operate – Soglia di punibilità
Ritenuto in fatto
1. M.S. ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la quale la Corte di appello di Brescia ha confermato quella emessa dal Tribunale di Bergamo che, per quanto qui interessa, lo aveva condannato alla pena di mesi 10 di reclusione per il reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 perché, in qualità di amministratore delegato della società “M. 1 Wheels & Cycles Production” ometteva di versare, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione di sostituto d’imposta, le ritenute operate alla fonte sugli emolumenti corrisposti nell’anno di imposta 2008 per un ammontare complessivo di 132.374,00 euro.
Fatto commesso in Treviglio il 31 luglio 2009 (data in cui avrebbe dovuto effettuare il versamento).
2. Il ricorrente, tramite il difensore di fiducia, impugna con tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale), sul rilievo che la norma penale incriminatrice, di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, è stata modificata con l’entrata in vigore del decreto legislativo del 24 settembre 2015, n. 158 in forza del quale la soglia di punibilità del reato di omesso versamento di ritenute certificate è passata da 50.000 euro a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta, con la conseguenza che, essendo stato contestato l’omesso versamento di ritenute per un importo complessivo relativo alla annualità 2008 pari ad euro 132.374, il fatto contestato non costituisce più reato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale) con riferimento all’articolo 37 del codice penale in relazione alle sanzioni accessorie di interdizione dagli uffici direttivi di persone giuridiche e imprese, dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per la durata di anni due e in perpetuo dall’ufficio di componente della commissione tributaria, nonché incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di anni due, sebbene la pena principale inflitta all’imputato fosse stata commisurata in complessivi mesi 10 di reclusione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale), nella parte in cui è stata ritenuta provata la responsabilità penale senza verificare che l’obbligazione principale, ossia il pagamento al sostituto d’imposta, fosse stata realmente eseguita.
Considerato in diritto
1. La Corte dà atto che si redige la motivazione in forma semplificata.
Il ricorso è fondato in accoglimento del primo motivo che, all’evidenza, assorbe gli altri.
2. Il d.lgs. 24 settembre 2015, n.158 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 233 del 7 ottobre 2015, in vigore dal 22 ottobre 2015) ha novellato la fattispecie incriminatrice ex articolo 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 attraverso una riformulazione del modello legale e soprattutto elevando la soglia di punibilità per l’integrazione del fatto di reato da euro 50.000 ad euro 150.000.
3. Ne consegue che, nel caso di specie, non risulta integrata la soglia di punibilità richiesta per la configurabilità della fattispecie incriminatrice.
Ritiene il Collegio che, nell’articolo 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 e nelle fattispecie analoghe che condividono la stessa struttura quanto agli enunciati di tipicità che caratterizzano la fattispecie incriminatrice, la soglia di punibilità rientra tra gli elementi costitutivi del reato e non tra le condizioni obiettive di punibilità.
Per rendersene conto è fondamentale la considerazione per la quale l’integrazione o meno della soglia quantitativa necessaria per il perfezionamento del reato non dipende da un evento futuro ed incerto (ossia da una condizione) ma dallo stesso comportamento omissivo dell’agente che non versa le ritenute operate nella qualità di sostituto d’imposta entro il termine previsto per la presentazione della relativa dichiarazione annuale per un importo che, integrata la soglia, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico.
In definitiva, la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico (come avviene, a titolo esemplificativo, nell’usura, ove il requisito della usurarietà del tasso di interesse risulta da una complessa operazione di determinazione di esso; avviene nei casi in cui si ricorre alla fissazione di limiti tabellari che servono a qualificare la tossicità degli alimenti, o il tasso alcoolemico del conducente di veicoli), con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una “sensibilità” penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività, dovendo alla soglia di punibilità spettare – come si legge nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – anche il compito, conformemente alla previsione dell’articolo 9, comma 1, lettera b), della legge delega, di «limitare l’intervento punitivo ai soli illeciti di significativo rilievo economico», consentendo di riflesso un conseguente alleggerimento del carico penale.
E’ il caso poi di segnalare come la Corte costituzionale (sentenza n. 241 del 2004), convalidando siffatte opzioni interpretative, abbia assegnato alle soglie di punibilità (nel caso dello scrutinio di costituzionalità si trattava delle soglie contemplate dalla previgente formulazione dell’articolo 2621 cod. civ.) il ruolo di “requisiti essenziali di tipicità del fatto”.
Inoltre, nella stessa relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 74 del 2000 è poi significativamente affermato che le soglie di punibilità sono “da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato e che in quanto tali debbono essere investiti dal dolo”.
Ne deriva che la soglia di punibilità (ora di Euro centocinquantamila a seguito del d.lgs. n. 158 del 2015), in quanto elemento costitutivo del fatto di reato, rientra nel “fuoco del dolo”, con la sottolineatura che il dolo è generico (Sez. U, n. 37425 del 28/03/2013, Favellato, in motiv.) e che la prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale o da quanto risulta dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, emergendo da tali atti l’importo dovuto a titolo sostituto di imposta e che deve, quindi, essere versato entro il termine di legge previsto o che deve essere almeno contenuto non oltre la soglia, ora, di Euro centocinquantamila.
4. Da ciò consegue che – tanto nel caso in cui, contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto-soglia, quanto nel caso in cui, come nella specie, la soglia di punibilità sia stata elevata a seguito dello ius superveniens – la formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità nel delitto previsto dall’articolo 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, è quella corrispondente all’insussistenza del fatto (di reato), avendo le Sezioni Unite penali affermato che qualora manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula «il fatto non sussiste» (in senso contrario, Sez. 3, n. 28934 del 09/02/2016, Gramigni, Rv. 267344 – 01) e non con quella «il fatto non è previsto dalla legge come reato», che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, un motiv.).
Peraltro, l’adozione della formula «il fatto non è previsto dalla legge come reato» può dipendere dal tenore formale dell’imputazione, dalla circostanza cioè che con esso si assume la riconducibilità della fattispecie concreta ad una fattispecie astratta mai esistita, abrogata o dichiarata in toto costituzionalmente illegittima. Mentre, quando il fatto storico, così come ricostruito, non è idoneo, come nella specie, ad essere sussunto nella fattispecie astratta, per la mancanza di un elemento costitutivo del reato, occorre adottare la formula «il fatto non sussiste» (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, cit.).
5. Resta soltanto da chiarire che l’insussistenza del fatto dichiarata, come nel caso in esame, per la mancata integrazione della soglia di punibilità, attiene all’inconfigurabilità della fattispecie incriminatrice quanto all’accertamento che non sussiste il fatto che sia stata raggiunta una soglia pari o superiore a quella prevista per la realizzazione del reato, con la conseguenza che è esclusivamente rispetto a tale fatto che, ai sensi dell’articolo 652 del codice di procedura penale, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata, come in questo caso, a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato, restando impregiudicata, per assenza di accertamento in sede penale, l’eventuale mancato versamento delle ritenute operate in misura inferiore alla soglia di punibilità e potendo l’amministrazione finanziaria procedere in via amministrativa all’accertamento della violazione e all’irrogazione delle relative sanzioni in relazione all’imposta dovuta e non versata, purché sotto soglia.
Va pertanto ribadito il principio di diritto secondo il quale, in tema di sentenza di assoluzione dell’imputato per il reato di cui all’articolo 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, per mancato raggiungimento della soglia di punibilità individuata dalla norma – nel frattempo elevata a seguito del D.Lgs. n. 158 del 2015 – va deliberata la formula “perché il fatto non sussiste” e non quella “perché il fatto non è previsto come reato”, versandosi in una ipotesi di mancanza di un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato (Sez. 3, n. 6105 del 18/11/2015, dep. 2016, Marchese, Rv. 266273 – 01),
Ne deriva l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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