Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 10840 depositata il 22 aprile 2024
imposta unica sui concorsi e scommesse – conciliazione in udienza disciplinata dall’art. 48 bis del d.lgs. n. 546 del 1992 è inammissibile nel giudizio di cassazione – divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame
RITENUTO CHE
1. Con la sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società S.M. Limited, avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2008, con cui era stata recuperata l’imposta unica sui concorsi e scommesse nei confronti della società D. s.r.l e della S.M. Limite, per un importo pari ad euro 42.901,00, oltre interessi e sanzioni.
2. I giudici di secondo grado hanno ritenuto infondata la questione preliminare con la quale si lamentava la mancata traduzione in inglese degli avvisi di accertamento ed insussistenti i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, evidenziando anche che i profili di incostituzionalità della normativa interna di settore erano stati affrontati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 2018.
3. La Commissione tributaria regionale ha, poi, affermato che l’avviso di accertamento spiegava compiutamente le ragioni della pretesa; che il motivo di appello con il quale si contestava la soggettività passiva del CTD era inammissibile per carenza di interesse, in quanto nel presente giudizio era parte unicamente il bookmaker; che la responsabilità solidale tributaria del bookmaker estero si configurava anche per i periodi antecedenti alla legge n. 220 del 2010; che sussisteva il presupposto territoriale del tributo, stante che in Italia era avvenuta la raccolta delle scommesse, che rappresentava il momento di conclusione del contratto; era infondato il motivo di appello sul mancato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, in quanto le doglianze dedotte nella controversia attenevano tanto al contenuto in sé della normativa, di cui i soggetti agenti avevano piena consapevolezza fin dall’inizio, quanto a questioni di compatibilità di quest’ultima con il diritto eurounitario; era inammissibile, in quanto nuovo, il motivo con cui era stato dedotto che la sentenza penale di legittimità n. 25439 del 2020 aveva fatto venire meno la legittimità della pretesa tributaria controversa; il motivo era comunque infondato alla luce delle diverse esigenze che ispiravano il sistema normativo penale e quello tributario.
4. La società S.M. Limited ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a dieci motivi. In prossimità dell’udienza ha depositato istanza di conciliazione ex art. 48 bis d.lgs. n. 546 del 1992. 5.L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Va disattesa, in via preliminare, l’istanza di fissazione dell’udienza formulata dalla società ricorrente e depositata, con modalità informatiche, in data 12 gennaio 2024, al fine di consentire all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di valutare la proposta di conciliazione ex art. 48 bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, rubricato «Conciliazione in udienza», come modificato dal decreto legislativo n. 220 del 2023.
1.1 Ed invero, l’art. 4, primo comma, del decreto legislativo n. 220 del 2023, recante «Disposizioni in materia di processo tributario », emesso in attuazione della legge delega per la riforma fiscale n. 111 del 2023, prevede l’entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ovvero il 4 gennaio 2024. Poi, l’art. 1, comma 1, lett. u) del decreto legislativo n. 220 del 2023 dispone che nell’articolo 48, del decreto legislativo n. 546 del 1992, rubricato «Conciliazione fuori udienza», dopo il comma 4 è inserito il seguente: «4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione» e l’art. 1, comma 1, lett. z), prevede che, nell’articolo 48 ter del decreto legislativo n. 546 del 1992, rubricato «Definizione e pagamento delle somme dovute», al comma 1 sono aggiunte, le seguenti parole: «e nella misura del sessanta per cento del minimo previsto dalla legge in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di Cassazione».
1.2 In disparte la considerazione che l’art. 48 del decreto legislativo n. 546 del 1992 disciplina solo la conciliazione fuori udienza e non anche quella in udienza, come stabilito dalla norma richiamata dalla società ricorrente nell’istanza di fissazione dell’udienza formulata (art. 48 bis del decreto legislativo n. 546 del 1992) che, in effetti, prevede il differimento di udienza per il tentativo di conciliazione, norma la cui applicazione non è però stata estesa ai giudizi di cassazione, per i quali permane, quindi il divieto di mero rinvio di udienza, va osservato che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 220 del 2023 «Le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all’articolo 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto». L’interpretazione letterale della norma, peranto, è nel senso che la disposizione di cui all’art. 48 del decreto legislativo n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. u), del decreto legislativo n. 220 del 2023, si applica ai giudizi instaurati a partire dal 4 gennaio 2024 e non anche, dunque, al presente giudizio.
1.3 Soccorre in tal senso il principio di diritto statuito, di recente, da questa Corte, secondo cui «In tema di contenzioso tributario, l’istanza di conciliazione in udienza disciplinata dall’art. 48 bis del d.lgs. n. 546 del 1992 è inammissibile nel giudizio di cassazione, in quanto la novella di cui al d.lgs. n. 220 del 2023, con l’introduzione del comma 4 bis all’art. 48 bis, ha esteso alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione esclusivamente “conciliazione fuori udienza”, con clausola di compatibilità, ed esclusivamente per i ricorsi iscritti successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 220 del 2023 (4 gennaio 2024)» (Cass., 30 gennaio 2024, n. 2797).
2. Il primo motivo deduce , in via preliminare e pregiudiziale , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 ss. TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 19 98, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della Legge di Stabilità 2011, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc. civ. Si chiede il rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma3, TFUE, anche a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 26 febbraio 2020 [C – 788/18, StanleyParma] sui quesiti di cui alle pagine 30 e 31 del ricorso per cassazione («a)se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e S.M. [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essere interpretata nel senso che il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs.23.12.1998 no. 504, come modificati dall’art. 1 co. 66 lett. b), della Legge di Stabilità 2011, anche nel caso in cui tale normativa, sia pure nominalmente indistintamente applicabile, abbia per effetto di vietare, ostacolare o rendere meno attraente soltanto l’attività dei CTD collegati a un bookmaker di un altro Stato membro [circostanze che compete al Giudice nazionale di valutare]; b) se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e S.M. [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essere interpretata nel senso di riconoscere che i CTD affiliati a un bookmaker di un altro Stato membro, come ad esempio Stanley, esercitano l’attività allo stesso titolo dei concessionari nazionali (punto 26 della Sentenza), oppure nel senso di riconoscere che tali CTD si trovano in una situazione diversa da quella dei concessionari nazionali (punto 28 della sentenza); c)se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e S.M. [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essereinterpretata nel senso di ritenere legittima, e compatibile con il diritto dell’Unione, una normativa nazionale che vieta l’attività di prestazione di servizi di un bookmaker comunitario e dei suoi CTD, pur essendo stato reso loro impossibile acquisire i prescritti titoli abilitanti [concessioni e autorizzazioni], come riconosciuto dalle sentenze Gambelli [06.11.2003, Causa C-243/01], Placanica e altri [06.03.2007, Cause Riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04], Costa e Cifone [16.02.2012, Cause Riunite C-72/10 e C-77/10], e Laezza [28.01.2016, Causa C375/14], e che, al tempo stesso, richiede il pagamento da parte loro dell’Imposta Unica sulle Scommesse di cui al D.Lgs. 504/1998 nelle circostanze della causa principale; d)se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e S.M. [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essere interpretata nel senso che i suoi effetti si producono solamente a partire dal momento della sua pubblicazione, sia perché la sua applicazione in via retroattiva produrrebbe gravi ripercussioni economiche su un numero elevato di CTD, sia perché il mancato pagamento dell’Imposta Unica da parte di costoro è da ascriversi ad una obiettiva e rilevante incertezza sulla portata del diritto dell’Unione. e) se il diritto dell’Unione – in particolare, gli artt. 52, 56 e 57 TFUE nonché i principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e coerenza – debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una normativa nazionale sanzionatoria, del tipo di quellacontenuta negli artt. 1 -3 del D.Lgs. 23.12.1998 no. 504, come modificati dall’art. 1, co. 66, lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nei confronti dei CTD affiliati a un bookmaker di un altro Stato membro, come ad esempio Stanley, la cui attività di intermediazione sia stata riconosciuta lecita da una sentenza di un organo giurisdizionale di ultima istanza, come quella n. 25439/2020 pronunciata dalla Sezione Terza Penale della Corte di Cassazione»).
3. Il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, 57 e 58 del decreto legislativo n. 546 del 19 92, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che il richiamo alla sentenza penale n. 25439/2020 della Corte di Cassazione, compiuto nel corso dell’udienza di trattazione, costituisse un nuovo motivo di appello e che la produzione della sentenza fosse avvenuta in violazione dei termini stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo n. 546del 1992.
4. Il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 652 cod.proc. pen., nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto «inconferente» per il giudizio tributario la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario.
5. Il quarto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 del decreto legislativo n. 504del 1998, e 1, comma 66, lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nonché degli artt. 136 Cost. e 30, comma 1, della legge n. 87 del 19 53, in relazione all’art. 360, co mma primo, n. 3, cod. proc. civ., per effetto della intervenuta sentenza n. 27del 2018 della Corte Costituzionale.
6. Il quinto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600del 1973, degli artt. 24, 111 e 117 Cost., dell’art. 56 TFUE, del diritto di difesa e del principio della parità delle armi, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Commissione tributaria regionale, nel ritenere il bookmaker estero unico obbligato al pagamento del tributo in esame, modificato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base dell’avviso di accertamento impugnato, nel quale era stato indicato il CTD quale obbligato principale ed il bookmaker estero quale mero co-responsabile solidale.
7. Il sesto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma2, lett. b), della legge n. 288 del 19 98, e degli artt. 1326, 1327 e 1336 cod. civ., per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto sussistente il profilo territoriale del presupposto di applicazione del tributo, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ..
8. Il settimo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto non applicabile l’esimente di cui all’art. 6, comma2, del decreto legislativo n. 472del 1997 alla sanzione irrogata.
9. L’ottavo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 della legge n. 4 del 1929, dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e del principio di necessità del contradditorio endoprocedimentale a tutela del diritto di difesa secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per non avere la Commissione tributaria regionale ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in ragione della mancata notifica del PVC ai coobbligati in via solidale. In via di subordine, proposta o sollevazione d’ufficio di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUEsul quesit o specificat o a pag. 53 del ricorso per cassazione («se il diritto dell’Unione ed, in particolare, l’art. 4.3 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), il principio di effettività del diritto dell’Unione ed i diritti al contraddittorio endoprocedimentale e di difesa come espressi, fra l’altro, dalla sentenza della Corte di Giustizia 18 dicembre 2008, Causa C349/07, Sopropé, ostino ad una normativa nazionale come quella di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000 che, ove interpretata nel senso fatto proprio dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823/2015, esclude l’esercizio dei predetti diritti nel caso di accertamenti di tributi non armonizzati che non siano conseguenza di accessi fisici presso i locali del contribuente, e ad una prassi amministrativa nazionale che riflettesse tale interpretazione»).
10. Il nono motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, anche in relazione all’art. 3 della l egge n. 241 del 19 90, e dei principi di chiarezza e trasparenza amministrativa, per non avere la Commissione tributaria regionale ritenuto l’avviso di accertamento carente di motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc civ. Le motivazioni dei giudici di appello apparivano del tutto avulse dalle argomentazioni che erano state poste a base di tale motivo di doglianza. Ed invero, dinanzi alla Commissione tributaria regionale la società ricorrente aveva evidenziato come l’avviso di accertamento notificato non era corredato dal PVC cui si faceva riferimento nella parte motiva dell’atto medesimo (PVC che non era stato notificato alla società ricorrente), né riproduceva del PVC gli elementi essenziali che sostenevano il contenuto del provvedimento impositivo. Inoltre, nella parte formalmente motiva dell’avviso di accertamento, l’Ufficio aveva affermato il verificarsi dei presupposti applicativi del tributo, senza fornire alcuna spiegazione sia delle ragioni sottostanti, sia delle modalità con cui era stata individuata la base imponibile e calcolata l’imposta, di talché, l’odierna ricorrente non era stata messa in condizione di comprendere la genesi, la natura e le ragioni della pretesa, oltre che al criterio utilizzato per la liquidazione dell’Imposta.
11. Il decimo motivo , con il quale si prospetta anche una nuova rimessione alla Corte Costituzionale, deduce la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 del decreto legislativo n. 504del 1998, 1, comma 66, lett. b), della legge n. 220 del 2010 e 64, comma 3, del d. P.R. n. 600 de 197 3, in relazione agli artt. 3, comma1, e 53, comma 1, Cost. a valle della sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale che aveva lasciato spazio a due nuovi interrogativi: 1) se la traslazione economica dell’onere dell’Imposta Unica dal ricevitore (CTD) al bookmaker estero, ora demandata all’autonomia privata anche al di fuori del paradigma della rivalsa normato dall’art. 64, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 19 73, costituisca in ogni caso una soluzione rispettosa del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., a ciò non ostando la contribuzione asimmetrica del ricevitore alla gestione delle scommesse e la sua forza contrattuale ictu oculi altrettanto asimmetrica nel rapporto con il bookmaker, in quanto dei soggetti in posizione e con caratteristiche oggettivamente diverse, come il bookmaker ed il suo ricevitore, vengono trattati in modo uguale solamente per il motivo di essere parti al contratto di ricevitoria, e lasciate libere di negoziare l’an, il quantumed il quomodo dell’incisione del ricevitore per effetto dell’Imposta Unica; 2) se la regolazione privatistica del riparto dell’onere del tributo e della rivalsa, sia coerente con il precetto di cui alla prima parte del primo comma dell’art. 53 Cost., per il quale tutti debbono concorrere alle spese pubbliche. Se, infatti, il bookmaker è uno dei soggetti a cui fa capo la «gestione»delle scommesse ed è per tale ragione un soggetto passivo dell’Imposta unica, egli non potrebbe andare del tutto esente dalla sopportazione dell’onere del tributo, od esservi assoggettato in misura non ragionevolmente proporzionale alla sua capacità contributiva. Una soluzione privatistica nel senso che si paventa potrebbe, allora, presentare delle discrasie anche col principio di proporzionalità di cui pure all’art. 3 Cost.
12. Il primo, quarto e sesto motivo, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono infondati.
12.1 Come questa Corte ha già precisato il quadro normativo di riferimento (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998; art. 3 del decreto legislativo n. 504/88; art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010; art. 16 del D.M. 1 marzo 2006 n. 111; art. 1, comma 644, lett. g), della legge n. 190 del 2014), è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale (cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907- 8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761).
12.2 In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio) ed ha riconosciuto che il legislatore con l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato la Corte Costituzionale, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il giudice delle leggi ha rimarcato che il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicché, ha specificato, quanto al ricevitore, che l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Né, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno atale realizzazione.
12.3 Sulla base delle suddette considerazioni, la Corte Costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla legge n. 220 del 2010. I giudici delle leggi hanno anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 (nel caso in esame rileva l’anno 20 08 ), non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
12.4 A diversa conclusione, si perviene per le annualità dal 2011 e con riferimento alla posizione del ricevitore, dovendosi osservare che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte «in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011»con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., «giacchè l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i « rapporti successivi al 2011», quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto (cfr. Cass., 8 febbraio 2023,n. 1184, in motivazione).
12.5 Con specifico riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo si è già precisato da questa Corte, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività, queste, tutte svolte in Italia (cfr. tra le tante Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione).
12.6 Alla luce delle esposte argomentazioni, la prospettazione della società ricorrente non merita accoglimento, sia sotto il profilo della nullità dell’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008, in quanto rileva in questa sede la posizione del bookmaker, perché, come già precisato, i giudici delle leggi hanno posto fondamento della pronuncia di incostituzionalità la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione edhanno dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. Sulla base delle suddette considerazioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo, infatti, come già precisato, non si può procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla legge n. 220 del 2010. I giudici delle leggi, tuttavia, hanno chiarito che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. Inoltre, i giudici delle leggi, nell’affermare che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che le ricevitorie operanti per conto di bookmaker privi di concessione hanno l’obbligo di versare il tributo e le relative sanzioni, hanno equiparato, ai fini tributari, il « gestore per conto terzi » , ovvero il titolare di ricevitoria, al « gestore per conto proprio » , ossia al bookmaker , ed hanno precisato che entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker, con l’ulteriore specificazione che l’attività gestoria del ricevitore va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale, mentre il bookmaker è quello che effettivamente gestisce il servizio delle scommesse, anche attraverso il contratto stipulato con il ricevitore, e sul quale il titolare della ricevitoria, attraverso la regolazione delle commissioni ha la possibilità di trasferire il carico tributario. I giudici delle leggi, dunque, concludono affermando che i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, comunque concorrono , sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo. Correttamente, dunque, i giudici di secondo grado hanno affermato che il legislatore ha considerato un presupposto di imposta riferibile sia al bookmaker, che al CTD, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti all’adempimento dell’obbligazione impositiva in via solidale paritetica, avendo la Corte Costituzionale, diversamente da quanto affermato dalla società ricorrente, chiaramente riferito il presupposto oggettivo dell’imposta sia al bookmaker, che al CTD, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti a rispondere solidalmente dell’obbligazione tributaria.
12.7 Ciò che rende priva di rilievo, ai fini che qui interessano, la circostanza che la verifica fiscale, l’accertamento e le violazioni contestate abbiano avuto per oggetto le ricevitorie, tenuto anche conto, peraltro, che l’avviso di accertamento è stato notificato sia al bookmaker, che al CTD.
13. Ciò posto, la società ricorrente ha chiesto, con riferimento al primo motivo, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 26 febbraio 2020, il rinvio pregiudiziale ex art.267, secondo comma, T.F.U.E. e/o rinvio interpretativo alla Grande Sezione, ex art. 104, secondo comma, del Reg. Proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello Statuto della Corte di giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del T.F.U.E. in ordine ai seguenti quesiti :«a) se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e S.M. [26.02.2020, Causa C – 788/18] debba essere interpretata nel senso che il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs. 23.12.1998 no. 504, come modificati dall’art. 1 co. 66 lett. b), della Legge di Stabilità 2011, anche nel caso in cui tale normativa, sia pure nominalmente indistintamente applicabile, abbia per effetto di vietare, ostacolare o rendere meno attraente soltanto l’attività dei CTD collegati a un bookmaker di un altro Stato membro [circostanze che compete al Giudice nazionale di valutare]; b)se la sentenza della Corte di Giustizia Stanley Parma e S.M. [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essere interpretata nel senso di riconoscere che i CTD affiliati a un bookmaker di un altro Stato membro, come ad esempio Stanley, esercitano l’attività allo stesso titolo dei concessionari nazionali (punto 26 della Sentenza), oppure nel senso di riconoscere che tali CTD si trovano in una situazione diversa da quella dei concessionari nazionali (punto 28 della sentenza); c)se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e S.M. [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essere interpretata nel senso di ritenere legittima, e compatibile con il diritto dell’Unione, una normativa nazionale che vieta l’attività di prestazione di servizi di un bookmaker comunitario e dei suoi CTD, pur essendo stato reso loro impossibile acquisire i prescritti titoli abilitanti [concessioni e autorizzazioni], come riconosciuto dalle sentenze Gambelli [06.11.2003, Causa C- 243/01], Placanica e altri [06.03.2007, Cause Riunite C-338/04, C-359/04 e C- 360/04], Costa e Cifone [16.02.2012, Cause Riunite C-72/10 e C-77/10], e Laezza [28.01.2016, Causa C375/14], e che, al tempo stesso, richiede il pagamento da parte loro dell’Imposta Unica sulle Scommesse di cui al D.Lgs. 504/1998 nelle circostanze della causa principale; d) se la sentenza della Corte di Giustizia StanleyParma e Stanleybet Malta [26.02.2020, Causa C-788/18] debba essere interpretata nel senso che i suoi effetti si producono solamente a partire dal momento della sua pubblicazione, sia perché la sua applicazione in via retroattiva produrrebbe gravi ripercussioni economiche su un numero elevato di CTD, sia perché il mancato pagamento dell’Imposta Unica da parte di costoro è da ascriversi ad una obiettiva e rilevante incertezza sulla portata del diritto dell’Unione. e)se il diritto dell’Unione – in particolare, gli artt. 52, 56e 57 TFUE nonché i principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e coerenza – debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una normativa nazionale sanzionatoria, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs. 23.12.1998 no. 504, come modificati dall’art. 1, co. 66, lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nei confronti dei CTD affiliati a un bookmaker di un altro Stato membro, come ad esempio Stanley, la cui attività di intermediazione sia stata riconosciuta lecita da una sentenza di un organo giurisdizionale di ultima istanza, come quella n. 25439/2020 pronunciata dalla Sezione Terza Penale della Corte di Cassazione»).
13.1 Deve premettersi chela Corte di Giustizia ha deciso, con sentenza 26 febbraio 2020, causa C-788/18, la questione avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma (Italia), con ordinanza del 15 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria il 14 dicembre 2018, nel procedimento Stanleyparma Sas di Cantarelli Pietro C., S.M. Ltd contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e ha stabilito ch e « L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse».
13.2 I giudici unionali, in particolare, rispondendo al primo e al secondo quesito («se l’articolo56 TFUE osti ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i CTD stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro») hanno premesso che: 1) la libera prestazione dei servizi, di cui all’articolo 56 TFUE, esigeva non soltanto l’eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione quando era idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza del 22 ottobre 2014, Blanco e Fabretti, C ‑ 344/13e C ‑ 367/13, EU:C:2014:2311, punto 26);2) la Corte aveva approvato nel settore dei giochi d’azzardo il ricorso al sistema delle concessioni, ritenendo che quest’ultimo potesse costituire un meccanismo efficace che consentisse di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti (sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e S.M., C ‑ 375/17, EU:C:2018:1026, punto 66); 3) per determinare se s ussist eva una discriminazione, occorre va verificare che situazioni analoghe non fossero trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non fossero trattate in maniera uguale, a meno che una differenziazione non fosse oggettivamente giustificata (sentenza del 6 giugno 2019, P.M. e a., C ‑ 264/18, EU:C:2019:472, punto 28).
13.3 La Corte di Giustizia, poi, con riferimento alla vicenda in esame, ha affermato che: -) come risultava dagli atti di causa , l’imposta unica era relativa all’attività di raccolta di scommesse in Italia. Ai sensi dell’articolo 1, comma 66, lettere a) e b), della legge di stabilità 2011, soggetti passivi di tale imposta erano tutti gli operatori che gesti vano sistemi di scommesse, indipendentemente dal fatto che operassero per proprio conto o per conto di terzi, dalla circostanza che fossero o meno titolari di una concessione o dal luogo in cui si trovava la loro sede, anche all’estero; -) alla luce di tali elementi forniti dal giudice del rinvio, risultava che l’imposta unica si applicava a tutti gli operatori che ges tivano scommesse raccolte sul territorio italiano, senza operare alcuna distinzione in funzione del luogo di stabilimento di tali operatori, cosicché l’applicazione di tale imposta alla S.M. non poteva essere considerata discriminatoria; -) occorreva rilevare, infatti, che la normativa nazionale di cui si trattava nel procedimento principale non prevedeva un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi fosseeffettuata in Italia o in altri Stati membri; -) inoltre, per quanto riguardava l’argomento della S.M. secondo cui, in base alla normativa italiana oggetto del procedimento principale, essa erasoggetta a doppia imposizione, a Malta e in Italia, andava rilevato che, allo stato attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, gli Stati membri godevano, fatto salvo il rispetto di tale diritto, di una certa autonomia in materia e che, pertanto, essi non avevano l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione deglialtri Stati membri, al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione che risultava dal parallelo esercizio da parte di detti Stati membri della loro competenza fiscale (v., per analogia, sentenza del 1o dicembre 2011, Commissione/Ungheria, C ‑ 253/09, EU:C:2011:795, punto 83); -) ne conseguiva che, rispetto a un operatore nazionale che svolge va le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la S.M. non subiva alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattava si nel procedimento principale. Inoltre, detta normativa non appariva atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la S.M., nello Stato membro interessato; -) per quanto riguarda la Stanleyparma, essa esercitava, in qualità di intermediario della S.M. e in cambio di una remunerazione, un’attività di offerta e di raccolta di scommesse.Tale società esercitava in particolare, allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali, un’attività di gestione di scommesse, la quale costituivauna condizione necessaria ai fini dell’assoggettamento all’imposta unica. Per tale ragione, in forza dell’articolo 1, comma 66, lettera b), della legge di stabilità 2011, la Stanleyparma era soggetta, in solido con la S.M., al pagamento di tale imposta; -) inoltre, dall’articolo 16 del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10marzo 2006, n. 111, emergeva che gli operatori titolari di una concessione per l’organizzazione delle scommesse in Italia assolvevano anch’essi l’Imposta unica. Secondo il giudice del rinvio, i loro CTD tuttavia, al contrario della Stanleyparma, non eranosoggetti al pagamento in solido di tale imposta; -) a tal proposito, occorre va nondimeno constatare che, a differenza dei CTD che trasmettevano i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali, la Stanleyparma raccoglieva scommesse per conto della S.M., che avevasede in un altro Stato membro. Essa non si trovava, quindi, alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011, in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali; -) di conseguenza, la normativa nazionale di cui si trattava nel procedimento principale non comportava alcuna restrizione discriminatoria nei confronti della S.M. e della Stanleyparma e non pregiudicava, per quanto le riguardava, la libera prestazione dei servizi.
13.4 La Corte di Giustizia, dunque, con la sentenza del 26 febbraio 2020, ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la S.M., nello Stato membro interessato»; ha affermato che, secondo costante giurisprudenza unionale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi e che, di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità; ha ritenuto che il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore», in quanto la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale; ha stabilito, in relazione al bookmaker, che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro e ha specifica to , in concreto, che «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, ha concluso che«…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la S.M. non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale»; in ultimo, quanto al centro trasmissione dati, ha ribadito che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse «allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali» ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della legge n. 220 del 20 10, ma ciò non toglie che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro; la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero; nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce «…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti» (cfr. anche Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione).
13.5 Per quanto sopra esposto e in ragione del quadro sopra delineato, ricostruito in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, che risulta definito nei suoi assetti di fondo, che risulta definito nei suoi assetti di fondo, così come chiarito dai precedenti di questa Corte, sopra richiamati, in relazione a controversie aventi medesimo contenuto, non sussistono i presupposti per un ulteriore rinvio pregiudiziale ex art. 267, secondo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia o per un rinvio interpretativo alla Grande Sezione ex art. 104, secondo comma, del Reg. Proc. della Corte di Giustizia, come invece sollecitato dalla società ricorrente nel ricorso per cassazione.
13.6 Peraltro, come già rilevato, sulle tematiche sottese alle prime tre questioni prospettate dalla società ricorrente si è già pronunciata la Corte di Giustizia (sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), escludendo qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativaitaliana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società…nello Stato membro interessato», mentre con riferimento alla questione posta con il quarto quesito rileva la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 2018, per quanto sopra ampiamente rilevato. Con riguardo, invece, all’ultimo quesito, non può non rilevarsi come lo stesso si fonda su una interpretazione della sentenza penale di questa Corte che va, come di qui a poco si dirà, in senso opposto a quello sostenuto dalla società ricorrente, e sull’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppure specifici, meccanismi impositivi.
14. Il secondo e il terzo motivo, che vanno trattati unitariamente, perchè connessi, sono infondati. 14.1Come già precisato da questa Corte, la giurisprudenza penale di questa Corte, con la sentenza 10 settembre 2020, n. 25439, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui all’art. 4, comma 4bis, legge n. 401/1989, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che il bookmaker estero era stato «illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni …e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi dell’art. 4, comma 4 bis, l. n. 401/1989, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea» e che il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dal bookmaker estero privo di concessione, tuttavia, non implicava la sottrazione dello stesso, e della ricevitoria, dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postulava proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nell’art. 1, comma 66, legge n. 220/2010 che ha, come visto, disposto che: «Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) l’articolo 1 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici lo ti e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) l’articolo 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni»; l’applicabilità della previsione normativa in esame escludeva, altresì, che potesse porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che potesse ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non avesse preso in considerazione la « specifica situazione » nella quale il bookmaker estero aveva dovuto operare; quel che rilevava era il fatto che la società ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di trasmissione dati per conto del bookmaker estero, aveva realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, era da cons iderarsi soggett o passivo del tributo e, sotto tale profilo, andava fatto richiamo alla pronuncia della Corte di Giustizia che, sul punto, aveva escluso ogni violazione dei principi unionali citati(cfr. Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione).
15. Il quinto motivo, in disparte il profilo di non autosufficienza della censura, laddove non riporta il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato (cfr. Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950), è infondato.
15.1 Questa Corte, in proposito ha stabilito che «Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili»(Cass., 22 settembre 2017, n. 22015; Cass., 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., 31 maggio 2016, n. 11223)e che «In tema di contenzioso tributario, l’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 preclude in appello esclusivamente le nuove eccezioni “in senso tecnico” dalle quali, cioè, deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del “thema decidendum”; conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria può difendersi dall’impugnazione, da parte del contribuente, del silenzio-rifiuto su un’istanza di rimborso d’imposta eccependo, anche in appello, il mancato versamento degli importi richiesti o la loro utilizzazione in compensazione, poiché il rilievo integra una mera difesa o un’eccezione “in senso improprio”, ammissibile in quanto mera contestazione delle censure avanzate col ricorso, non introduttiva di nuovi elementi d’indagine» (Cass., 28 aprile 2023, n., 11284) .
15.2 Soccorre nello stesso senso anche il principio statuito da questa Corte secondo cui «Nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art.32 del D.Lgs. n. 546 del 1992 , di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti nel ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art.24, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 » (Cass., 24 maggio 2021, n. 14165; Cass., 4 dicembre 2019, n. 31605; Cass., 24 luglio 2018, n. 19616).
15.3 Ciò posto, nella specie, la Commissione tributaria regionale non ha affatto ecceduto i confini della «causa petendi» delimitati dapprima nell’avviso di accertamento e poi dai motivi di impugnazione formulati dalla società contribuente nel ricorso introduttivo, né è stata alterata la sostanza dell’accertamento, rimanendo gli stessi i fatti sui quali lo stesso è stato fondato, né sono state avanzate pretese diverse, sul piano del fondamento giustificativo, da quelle recepite nell’atto impositivo. La Commissione tributaria regionale non ha, infatti, mutato il destinatario principale della pretesa fiscale, originariamente individuato nel CTD, e ciò in quanto il bookmaker estero era stato individuato già nell’avviso di accertamento quale coobbligato in solido nei confronti della società D. s.r.l.; non vi è stata, dunque, alcuna «sostituzione» della motivazione sostenuta nell’avviso di accertamento, né alcuna modifica dei presupposti di fatto e de l l e ragioni giuridiche poste a base dell’avviso di accertamento impugnato.
16.Il settimo motivo è fondato.
16.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte « l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente». (Cass. 17 maggio 2017, n. 12301; Cass. 13 giugno 2018, n. 15452, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32082).
16.2 Proprio con riferimento al caso di specie, questa Corte , in applicazione dei principi suesposti, ha affermato che «In tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (cfr. Cass., 12 aprile 2021, n. 9531).
16.3 Più in particolare, questa Corte, con motivazione che si condivide, ha affermato che «La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 gennaio 2018, nel ricostruire l’ambito applicativo dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1988, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, ha bensì affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione, con conseguente responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione. La stessa sentenza ha tuttavia anche evidenziato che “il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmaker con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano)” (punto 4.1.), dando poi atto del fatto che “con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata” e che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la previsione contenuta nell’art. 3, d.lgs. n. 504/1998, si prestava ad un duplice opzione interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva. La fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione. Infine, non si ravvisa la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C- 788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67). Ed in questo senso deve poi ritenersi irrilevante la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. 25439/2020) che si riferisce alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di r accolta delle scommesse, esclusa, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni. Il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dall’art. 4, commi 1 e 4-bis, della l. 13 dicembre 1989, n. 401 nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che l’art. 3 del d.lgs. n. 504/98 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse » (Cass., 21 settembre 2021, n. 25450, in motivazione).
16.4 La fattispecie in esame, venendo in rilevo l’anno di imposta 2008, è fondato, in quanto rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 472 del 1997, sussistendo, come già detto, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010.
17. L’ottavo e il nono motivo, che devono essere trattati unitariamente perchè connessi, indisparte il difetto di autosufficienza delle censure , nella parte in cui non è riportato il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato, sono pure inammissibili sia perché non si confrontano con il contenuto del provvedimento impugnato, laddove ha affermato che non era stato oggetto di specifica contestazione la circostanza rilevata dall’Ufficio nelle controdeduzioni che il PVC, oltre che richiamato era stato allegato all’avviso notificato alla società Stanleybet, quale responsabile in solido, sia perché involgono una accertamento in fatto, non adeguatamente censurato in questa sede, dato che i giudici di secondo grado hanno espressamente affermato che l’avviso di accertamento spiegava compiutamente le ragioni della pretesa che si fondava non su specifici elementi acquisiti in sede di PVC, ma sulla documentazione agli atti dell’Ufficio (banca dati dell’Agenzia delle Entrate e dati registrati nel totalizzatore nazionale), in quanto il responsabile del CTD non aveva fornito alcuna documentazione all’Ufficio procedente e non aveva mai restituito il questionario compilato, né aveva fornito alcuna documentazione o informazione relativa all’attività effettivamente esercitata (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
17.1 Il nono motivo, poi, nella parte in cui deduce che nella parte formalmente motiva dell’avviso di accertamento, l’Ufficio aveva affermato il verificarsi dei presupposti applicativi del tributo, senza fornire alcuna spiegazione sia delle ragioni sottostanti, sia delle modalità con cui era stata individuata la base imponibile e calcolata l’imposta, di talché, l’odierna ricorrente non era stata messa in condizione di comprendere la genesi, la natura e le ragioni della pretesa, oltre che al criterio utilizzato per la liquidazione dell’Imposta, è inammissibile, nella parte in cui, nella sua tecnica di formulazione, rivolge la censura direttamente al provvedimento impositivo, che non è atto del processo, bensì atto, la cui impugnazione è oggetto del processo(Cass., 27 marzo 2013, n. 7717; Cass., 7 maggio 2007, n. 10295; Cass., 13 marzo 2009, n. 6134).
17.2 I motivi, tuttavia, sono anche infondati , in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto nazionale, allo stato della legislazione non pone in capo all’Amministrazione fiscale, che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Al contrario, in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e sempre che l’opposizione di dette ragioni, valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio, si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (Cass., 14 ottobre 2022, n. 30211).
17.3 Né sussiste, un obbligo generalizzato di attivare un contraddittorio endoprocedimentale, in quanto in tema di procedimento tributario, l’obbligatorietà del detto contraddittorio, codificato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della U.E., pur costituendo un diritto fondamentale del contribuente e principio fondamentale dell’ordinamento europeo, in quanto espressione del diritto di difesa e finalizzato a consentire al contribuente di manifestare preventivamente il suo punto di vista in ordine agli elementi su cui l’Amministrazione intende fondare la propria decisione, non è assunto dalla giurisprudenza della CGUE in termini assoluti e formali, ma può soggiacere a restrizioni che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, a obiettivi di interesse generale, sicché, nell’ambito tributario, non investe l’attività di indagine e di acquisizione di elementi probatori, svolta dall’Amministrazione fiscale (Cass., 9 luglio 2020, 14628).
17.4 Mette conto rilevare che, la Corte Costituzionale, di recente, con la sentenza 21 marzo 2023, n. 47, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, affermando che in materia di contraddittorio endoprocedimentale, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti.va, pertanto, dichiarata inammissibile, in quanto il superamento dei dubbi di legittimità esige un intervento di sistema del legislatore, che garantisca l’estensione del contraddittorio.
17.5 Alla luce delle sopra ricordate pronunce della Corte Costituzionale e di questa Corte di legittimità, ritiene il Collegio che non sussistono i presupposti per accedere alla richiesta di rinvio pregiudiziale , non sussistendo il dubbio interpretativo sull’art. 4.3 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), e sul principio di effettività del diritto dell’Unione ed i diritti al contraddittorio endoprocedimentale e di difesa come espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia 18 dicembre 2008, causa C- 349/07, richiamata dalla società ricorrente (cfr. anche Cass., 16 giugno 2017, n. 15041; Cass., Sez. U., 10 settembre 2013, n. 20701).
18. Infine, con specifico riferimento alla richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale, formulata con il decimo motivo, va rilevato che la prospettazione della società ricorrente è assai carente sotto il profilo della rilevanza concreta ed attuale delle questioni sollevate (inteso il requisito della rilevanza della questione incidentale di legittimità sollevata, come affermato dall’art. 23, comma secondo, della legge n. 87/1953, quale «legame di carattere obiettivo tra il giudizio di costituzionalità e il giudizio principale, commisurato all’interesse dell’ordinamento di prevenire ogni possibilità che il giudizio applichi nel processo principale una norma anticostituzionale, ovvero nesso di pregiudizialità tra la questione di costituzionalità e la risoluzione del giudizio principale», cfr. Corte Costituzionale, 6 aprile 1995,n. 108; Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 1991, n. 2013; Corte Costituzionale, 3 novembre 1988, n. 1012) , che sussiste quando le norme sottoposte allo scrutinio di costituzionalità devono essere certamente e concretamente applicate dal Giudice rimettente e l’eventuale accoglimento della questione ha come conseguente corollario il cambiamento del quadro normativo di riferimento assunto dal giudice a quo.
18.1 Ed invero, le questioni prospettate dalla società ricorrente non involgono il «thema decidendum» della presente causa, in quanto concernenti le tematiche della traslazione economica dell’onere dell’Imposta Unica dal ricevitore (CTD) al bookmaker estero e la regolazione privatistica del riparto dell’onere del tributo e della rivalsa, non oggetto del presente giudizio, non senza sottacere che i giudici delle leggi, per quanto diffusamente rilevato, hanno affermato, nella sentenza più volte citata n. 27 del 2018, che la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione non viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera; la rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.
19. Per le ragioni di cui sopra, va accolto il settimo motivo e vanno rigettati i restanti motivi; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito, deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite in relazione all’irrogazione delle sanzioni.
19.1 Le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, tenuto conto del percorso evolutivo giurisprudenziale nella materia trattata, sia in ambito nazionale, che in quello unionale, giustificano la compensazione delle spese processuali dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo motivo di ricorso e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite limitatamente alle sanzioni. Compensa fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.