Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 11172 depositata il 26 aprile 2024
eccezione di decadenza dell’azione di accertamento
Rilevato che:
1. In data 19 novembre 2014 il sig. C.A. riceveva notifica di cinque distinti avvisi di accertamento ai fini IRPEF, nn. T9B01QM00836, T9B01QM00828, T9B01QM00829, T9B01QM05375 e T9B01QM00833, rispettivamente per gli anni d’imposta 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009. L’Agenzia delle Entrate – direzione provinciale di Milano I, a seguito di accertamenti su attività finanziarie del contribuente localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata, per le quali non risultavano adempiuti gli specifici obblighi di dichiarazione ex art. 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, provvedeva a riprendere a tassazione redditi diversi (per un importo pari alle somme transitate sui conti correnti esteri), nonché redditi di capitale sottoposti a tassazione separata, il tutto in forza del combinato disposto degli artt. 6 del d.l. n. 167/1990, 12 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 e 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; al contribuente, in particolare, venivano riferiti tre conti correnti situati in Svizzera quali, segnatamente: conto acceso dal suddetto presso Banca UBS, sede di Bellinzona, n. CQUE632009TRCQ; conto intestato alla società UNTERSTRASS FINANZ AG, interposta del contribuente, presso Banca UBS, sede di Zurigo, n. 267 – 940243; conto intestato alla società SPEFI FINANZ AG, interposta del contribuente, presso Banca UBS, sede di Zurigo, n. 267 – 856024.
2. Avverso gli avvisi di accertamento il contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi alla C.t.p. di Milano; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
3. La C.t.p., previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 79/18/2015, rigettava i ricorsi del contribuente, confermando gli avvisi di accertamento impugnati.
4. Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la t.r. della Lombardia; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, eccependo quanto già dedotto in primo grado.
5. Con sentenza n. 193/03/2018, depositata in data 22 gennaio 2018, la C.t.r. adita accoglieva il gravame del contribuente, annullando gli avvisi di accertamento impugnati.
6. Avverso la sentenza della t.r. della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 5 marzo 2024.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla decadenza dell’ufficio dal potere accertativo riguardo all’annualità 2009: violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato l’illegittimità di tutti gli avvisi impugnati per notifica avvenuta oltre i termini ordinari, nonostante il contribuente non avesse sollevato la relativa eccezione con riferimento all’avviso per l’anno 2009, la notifica del quale è, infatti, avvenuta il 19 novembre 2014 e, dunque, prima della scadenza dei termini ordinari fissata al 31 dicembre 2014 (la dichiarazione è del 2010).
1.2 Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla decadenza dell’Ufficio del potere accertativo riguardo a tutte le annualità; Violazione degli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione vigente ratione temporis, e dell’art. 331 cod. proc. pen. » l’Ufficio lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto insussistenti i presupposti del raddoppio dei termini in quanto nei confronti del contribuente si era svolto procedimento penale avente ad oggetto reati non tributari, nonostante ciò che rilevi a tale scopo sia solo l’astratta configurabilità di una fattispecie di reato tributario cui sia connesso l’obbligo di denuncia penale, a nulla rilevando, invece, tanto l’effettiva presentazione della denuncia quanto lo svolgimento o gli esiti dell’eventuale procedimento penale.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Sugli effetti preclusivi dello “scudo fiscale”: nullità della sentenza per violazione degli 61 e 36, comma primo, n. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., pronunciandosi nel merito nonostante la dichiarata decadenza dell’ufficio dal potere accertativo, ha ritenuto di condividere le argomentazioni del contribuente quanto agli effetti preclusivi dello scudo fiscale per il patrimonio, oggetto di emersione, detenuto al di fuori dello Stato, affermando ciò con formule vaghe e generiche, astrattamente riferibili a qualunque controversia nella quale venga in rilievo la questione e senza indicare gli elementi posti a fondamento della conclusione raggiunta.
2. Il primo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia delle Entrate si duole del vizio di ultra-petizione in cui è incorsa la C.t.r. nel ritenere che l’eccezione di decadenza ex 43, comma terzo, d.P.R. n. 600 del 1973, fosse sollevata anche in relazione all’anno d’imposta 2009, è fondato.
È pacifico, difatti, che l’eccezione sia stata sollevata dal contribuente in relazione ai soli anni di imposta compresi tra il 2004 e il 2008, come chiarito anche nel controricorso (cfr. pagg. 5; cfr. pag. 13); il contribuente, in relazione all’eccezione di cui sopra, si riferisce espressamente alle sole annualità 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008: «con riferimento agli anni dal 2004 al 2008, il sig. Concolino lamentava che la sentenza aveva erroneamente rigettato la dedotta decadenza dal potere impositivo e sanzionatorio, in particolare ritenendo applicabile il c.d. “raddoppio dei termini” di cui all’art. 43 del d.p.r. 600/1973 pur in assenza dei necessari presupposti, cfr. motivo II a pag. 10 dell’atto di appello»); cfr. pag. 8 controricorso per cassazione.
3. Il secondo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia censura la pronuncia della C.t.r. nella parte in cui ha ritenuto che «il contribuente ha documentato come il procedimento penale non aveva ad oggetto reati tributari ed altresì che il procedimento penale si è concluso prima della notifica degli avvisi di accertamento e degli atti di irrogazione delle sanzioni», così accogliendo l’eccezione di decadenza ex art. 43, è fondato.
3.1 La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che “In tema di sanzioni amministrative pecuniarie di natura tributaria, il termine di decadenza per il potere accertativo che l’art. 5, commi 4 e 5, del d.l. n. 167 del 1990, conv., con modif., nella l. n. 227 del 1990, contempla per l’omissione della dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività finanziarie all’estero di cui all’art. 4 dello stesso decreto, deve essere individuato, tra quelli indicati dall’art. 20 del d.lgs. n. 472 del 1997, non nel termine che fa riferimento al tempo della commissione della violazione, ma in quello maggiore previsto per l’accertamento del tributo dovuto, tenuto conto del raddoppio dei termini introdotto dall’art. 12, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., nella l. n. 102 del 2009, applicabile, trattandosi di norma di carattere procedimentale, anche nei periodi d’imposta precedenti a quello della loro entrata in vigore” (Cass. 28/11/2018, n. 30742; Cass. 14/11/2019, n. 29632).
3.1 Nel caso di specie, la circostanza che il contribuente fosse imputato per fattispecie di reato diverse da quelle di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (il reato di cui all’art. 319 c.p. “Corruzione per un atto contrario a doveri d’ufficio” e le imputazioni correlate di cui agli articoli 110 c.p. – concorso, 81 c.p. reato continuato, 321 c.p. pene per il corruttore, 3 e 4 L. 146/2006 reato transnazionale, come risulta da 15 del ricorso per cassazione) non esclude che, in applicazione dei principi fatti propri dalla giurisprudenza maggioritaria di legittimità, potesse applicarsi il regime del raddoppio dei termini in virtù di un obbligo di denuncia “ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”; il testo della norma (art. 43, comma terzo, d.P.R. n. 600 del 1973), invero, deve essere letto in chiave estensiva, non dovendo essersi necessariamente in presenza di reati tributari ma di violazioni suscettibili di comportare un obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. per reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.
3.2 La C.t.r., nell’accogliere l’eccezione di decadenza ex art. 43, comma terzo, d.P.R. n. 600 del 1973, ha disatteso i principi fatti propri dalla giurisprudenza maggioritaria di legittimità.
4. Il terzo motivo, con cui l’Agenzia delle Entrate si duole, sotto il profilo dell’error in procedendo, dell’operato dei Giudici di seconde cure laddove si sono limitate a condividere le argomentazioni del contribuente quanto agli effetti preclusivi dello scudo fiscale, anche è fondato.
Sul punto precipuo, la C.t.r. ha motivato scarnamente limitandosi ad affermare: “la Commissione ritiene parimenti condividere le argomentazioni dell’appellante contribuente in ordine agli effetti preclusivi dello scudo fiscale per la totalità del patrimonio oggetto di emersione, detenuto, direttamente o indirettamente al di fuori del patrimonio dello Stato”.
4.1 Va qui ricordato che per le Sezioni unite di questa Corte la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/12/2016 n. 26127; conf. Sez. 5 del 14/12/2018 n. 32347).
4.2 La sentenza in esame, non presenta affatto le indicazioni richieste, laddove è del tutto obliterata una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca al di sotto della soglia del minimo costituzionale ex art. 111 Cost. comma 6.
5. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.