CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 12903 depositata il 10 maggio 2024

Tributi – Annullamento avvisi di accertamento – IRPEF – Addizionali – Utili extra-bilancio – Accoglimento parziale

Rilevato che

1. La CTR del Veneto, nel rigettare con la sentenza impugnata l’appello proposto dall’Agenzia, ha confermato l’annullamento degli avvisi di accertamento notificati, inerenti ai redditi asseritamente occulti transitati su un conto corrente intrattenuto presso una banca sammarinese (formalmente intestato ad una fiduciaria, C. s.a., e riconducibile a certo Lu.Re., il quale aveva dichiarato che le somme confluite nei conti si riferivano a vendite effettuate dalle società R.C.B., delle quali il Lu.Re. era legale rappresentante) e imputati ai fini IRPEF (anni 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011) ed addizionali pro quota ai soci della A. Srl (odierni controricorrenti), titolare del 70 % delle quote delle suddette società. Ciò ha fatto sulla base di una doppia ratio decidendi, affermando cioè da un lato che non ricorrevano gli estremi per la presunzione di distribuzione utili a fronte di una società a ristretta base sociale, atteso che il legale rappresentante delle società R.C.B. non risultava avere rapporti di parentela con i soci di A. Srl, odierni controricorrenti. Dall’altra parte si afferma che la presunzione di distribuzione di utili extra-bilancio può dirsi vinta, dal momento che emergevano elementi atti a dimostrare il reinvestimento delle somme nel ciclo produttivo. In particolare il titolare del conto avrebbe affermato che i denari, una volta versati gli assegni sul conto e monetizzati gli stessi in contanti, vennero utilizzati per l’acquisto “in nero” di materiali e semilavorati necessari per le cucine cedute a sua volta “in nero”, e senza che il magazzino venisse contestato. Il tutto sarebbe stato riscontrato dal fatto che “se si fosse trattato di soli utili, sia pure extracontabili, non vi sarebbe stata la necessità di pagare alla banca interessi e commissioni per ottenere gli anticipi sugli assegni, ma essi sarebbero stati negoziati alla scadenza ed incassati per intero”.

Ricorre quindi in cassazione l’Agenzia, affidandosi a cinque motivi.

I contribuenti resistono a mezzo di controricorso.

Considerato che

1. Con il primo motivo del ricorso l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729, cod. civ., 115, cod. proc. civ. e 2697, cod. civ., censurando la decisione nella parte in cui la stessa ha ritenuto inapplicabile la presunzione di distribuzione di utili fra soci di una società a ristretta base sociale in quanto non avvinti da legami di parentela col legale rappresentante.

1.1. Il motivo, per quanto di ragione, e fondato. La presunzione semplice suddetta si fonda sul particolare rapporto fra i soci di una società di capitali allorché essi siano in numero esiguo e quindi si possa ritenere che gli utili occultati siano distribuiti in proporzione alle quote in ragione della natura di tali utili e sulla base della “complicità” che normalmente avvince tale ristretto gruppo, in analogia a quanto la stessa legge (art. 5, TUIR) presume per gli utili ritratti da una società di persone, del pari di norma caratterizzata da rapporti fra soci e dall’esiguità del relativo numero.

Pertanto, la sussistenza di un legame di parentela con il legale rappresentante non costituisce affatto un elemento determinante a fondamento della suddetta presunzione.

Né costituisce ostacolo il fatto che gli utili siano riferiti a società di cui quelle a ristretta base siano a loro volte socie, posto che tale presunzione e applicabile anche in ipotesi di sussistenza di una partecipazione mediata dall’intermediazione di altra persona giuridica (Cass. 10/06/2009, n. 13338).

2. Col secondo motivo si deduce violazione delle stesse disposizioni, ma questa volta in rapporto all’altra ratio decidendi, ritenendo l’Agenzia che erroneamente la CTR abbia ritenuto vinta la presunzione semplice di distribuzione degli utili attraverso le dichiarazioni del legale rappresentate riscontrate come sopra s’è riportato.

2.1. Il motivo è infondato.

Invero ciò che rimprovera la difesa erariale alla CTR è la valutazione della prova contraria, fermo restando che invece il fatto che la prova incombeva sui contribuenti è stato indiscutibilmente valutato dalla CTR stessa, laddove la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. 15107/2013).

In particolare, quindi, viene censurata la valorizzazione delle dichiarazioni del legale rappresentante, che si qualificano come provenienti da soggetto interessato (in quanto socio anch’egli delle due società amministrate) e in quanto i riscontri indicati sarebbero illogici e carenti, per cui l’onere della prova non sarebbe stato assolto.

Trattasi però di una mera censura in ordine alla valutazione della prova, per la quale va osservato che

In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 01/03/2022, n. 6774).

Sempre sotto tal profilo si evince dalla decisione che la stessa ha valutato la prova contraria quale presunzione semplice, ma le presunzioni semplici costituiscono una prova piena alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che sfugge al sindacato di legittimità, salvo il controllo della motivazione nei limiti noti della mera apparenza della motivazione o della mancata considerazione di elementi fattuali oggetto di discussione e forniti del requisito della decisività, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (Cass. 07/06/2023, n. 16141).

Ed ancora la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. 05/08/2021, n. 22366)

3. Col terzo motivo si deduce nullità della sentenza per illogicità della motivazione.

3.1. Il motivo è infondato dal momento che la censura di logicità del ragionamento presuntivo (qual è quello posto alla base della decisione assunta) passa, per come indicato al precedente motivo, per la sua assolutezza, essendo infatti sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, diversamente versandosi in un rinnovato controllo della motivazione oltre i limiti stabiliti dal vigente art. 360, cod. proc. civ.

In altri termini il ricorso per cassazione con cui si facciano valere vizi di motivazione della sentenza a norma dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. richiede la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni o ancora la specificazione di illogicità, tali da attribuire agli elementi emersi in giudizio un significato fuori dal senso comune, o da determinare la mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi nell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e nell’insanabile contrasto degli stessi (cfr. già Cass. 22/12/1997, n. 12960).

Nella specie non può dirsi che si sia di fronte ad una presunzione basata su elementi letti con un significato fuori dal comune, o tale da rendere contrastante o razionalmente incompatibile la decisione con gli argomenti spesi (come premesso limite alla censura), dal momento che la presunzione di mancata distribuzione degli utili poggia da un lato sull’osservazione secondo la quale se le somme versate sul conto sammarinese fossero state utili non avrebbe avuto senso pagare interessi e commissioni per l’anticipo sugli assegni versati; dall’altro non risultava contestata la contabilità di magazzino, e ciò a fronte della giustificazione resa dal Lu.Re. secondo cui il denaro realizzato venne utilizzato per pagare la materia prima utilizzata per le vendite “in nero”.

4. Col quarto motivo si deduce violazione dell’art. 2729, cod. civ., nella parte in cui ritiene la CTR assolto l’onere probatorio, contestandosi la logicità della prova presuntiva.

4.1. Vale in proposito quanto osservato al precedente motivo, cui va aggiunto che in realtà il ragionamento del giudice d’appello si basa non solo sul riscontro delle dichiarazioni del legale rappresentante, ma altresì sulla mancata contestazione delle consistenze e movimenti del magazzino.

5. Col quinto motivo si deduce omesso motivazione su un fatto decisivo, in quanto i relativi avvisi di accertamento, inerenti agli anni 2009, 2010 e 2011, erano diversamente motivati rispetto agli altri, e in particolare si basavano sulla sussistenza per tali annualità di rilevazioni ed annotazioni di notevoli differenze inventariali di magazzino sia positive che negative quali cessioni di beni non fatturate né contabilizzate, acquisti di beni non fatturati né contabilizzati. Gli avvisi nascono appunto per tali annualità dalla valorizzazione come cessioni ed acquisti non contabilizzati.

5.1. In proposito nulla emerge dalla sentenza di specifico con riferimento a tali atti ed a tali annualità, per cui sul punto deve effettivamente ritenersi, pur a fronte del rigetto dell’appello con riguardo alle pretese inerenti tutti gli avvisi di accertamento, un assoluto difetto di motivazione, conformemente a quanto denunciato nello sviluppo del motivo (più che ad un omesso esame rilevante a mente dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., come rubricato) seppur con riferimento solo alle suddette annualità, proprio in relazione al fatto che l’avviso di accertamento attiene al fondamento della pretesa più che costituire un mero documento.

6. Il ricorso pertanto dev’essere accolto limitatamente al primo ed al quinto motivo, con riferimento alle annualità 2009, 2010 e 2011, rigettato nel resto, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto che, in diversa composizione, conformandosi ai principi qui espressi, provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso limitatamente ai motivi primo e quinto, con riferimento alle annualità 2009, 2010 e 2011 e, rigettati gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto che, in diversa composizione, conformandosi ai principi qui espressi, provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.