CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 12916 depositata il 10 maggio 2024
Tributi – Avviso di accertamento – Studi di settore – Plusvalenza da cessione di azienda – Percentuali di ricarico – IRPEF – Maggiore addizionale Comunale e Regionale – Maggiore contributo INPS – IRAP – IVA – Sanzioni pecuniarie – Rigetto – nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi
Rilevato che
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, veniva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e rigettato l’appello di To.Ro., titolare della ditta “I.P. di To.Sa.” proposti avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Messina n. 421/04/2016 in relazione all’avviso di accertamento n. (…) relativo all’anno d’imposta 2010.
2. Nel quadro di un accertamento analitico induttivo ex articolo 39 comma 1 lettera d) D.P.R. 600/73 venivano applicati gli studi di settore, anche con riferimento alle percentuali di ricarico riferibili al settore merceologico di riferimento. All’esito, l’Amministrazione finanziaria contestava alla contribuente una plusvalenza derivante da cessione di azienda non dichiarata e riprendeva ad imposizione un maggiore reddito di impresa e chiedeva in pagamento l’importo complessivo di Euro 95.004,50 di cui Euro 28.947,00 per IRPEF, Euro 1.681,00 per maggiore addizionale Comunale e Regionale, Euro 11.587,00 per maggiore contributo INPS, Euro 399,00 quale maggiore IRAP, Euro 8.970,00 a titolo di IVA e infine Euro 43.420,50 a titolo di sanzioni pecuniarie.
3. Il giudice di prime cure disattendeva, tra l’altro, la questione preliminare relativa alla violazione dell’articolo 42 comma 1 e 3 del D.P.R. 600/73 per pretesa mancata allegazione della delega alla sottoscrizione dell’atto impositivo e, nel merito, accoglieva il ricorso introduttivo limitatamente alla plusvalenza da cessione di azienda, confermando l’avviso nel resto. La decisione veniva parzialmente riformata dal giudice di appello, il quale onerava l’Agenzia, con riferimento alla plusvalenza non dichiarata, alla rideterminazione della pretesa tenendo conto della differenza tra il prezzo di cessione dell’azienda e il prezzo di acquisto.
4. Contro questa sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione, che affida a due motivi, cui l’Agenzia delle Entrate replica con controricorso.
Ritenuto che
5. Con il primo motivo di ricorso la contribuente lamenta, con riferimento all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., il fatto che la CTR non avrebbe tenuto conto della violazione o falsa applicazione dell’art. 42 D.P.R. 600/73 con conseguente nullità dell’avviso di accertamento per mancata allegazione della delega del Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate alla sottoscrizione dell’atto e alla funzione di rappresentanza dell’Ente.
6. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
6.1. In primo luogo, come eccepito in controricorso, la delega di firma, sebbene la sentenza impugnata dia conto del fatto che è stata prodotta in giudizio e sia idonea, non è neppure riprodotta in ricorso ai fini di evidenziarne le carenze e così dare prova della necessaria decisività della censura.
6.2. In secondo luogo, il mezzo di impugnazione è anche infondato. È stato più volte affermato (cfr. ad es. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019) che la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni. Da tale principio deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega che, pertanto, può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto.
6.3. Se il contribuente contesta la legittimazione del soggetto, diverso dal dirigente, alla sottoscrizione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare, in omaggio al principio di c.d. vicinanza della prova, il corretto esercizio del potere producendo, anche nel corso del secondo grado di giudizio (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 19190 del 17/07/2019). Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, come accertato dal giudice.
6.4. Infine, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale (tra le tante, si veda Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 24271 del 30/09/2019). Erra dunque il ricorrente a ritenere da un lato che la delega di firma debba essere allegata all’avviso a pena di illegittimità dello stesso e, dall’altro, che sia necessaria la qualifica dirigenziale in capo al delegato.
7. Col secondo motivo, ai fini dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. con riferimento alle contestazioni mosse all’avviso sin dal ricorso introduttivo e poi in sede di appello, nonché l’omesso esame di tale fatto decisivo oggetto di discussione, con riferimento al merito, della ricostruzione del reddito effettuata dall’Ufficio e condivisa dalla sentenza impugnata, a fronte dalla contestazione di inattendibilità della ricostruzione reddituale operata dall’ufficio e di infondatezza dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria.
8. Il motivo è inammissibile.
8.1. Innanzitutto, il mezzo di impugnazione compendia profili tra loro incompatibili, come la violazione di legge e la censura motivazionale.
8.2. Sotto ulteriore profilo, il motivo è inammissibile per doppia conforme con riferimento al paradigma del prospettato vizio motivazionale alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sul merito delle riprese oggetto di accertamento analitico induttivo sia in primo sia in secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n. 206/2021 attuata per quanto qui interessa dal D.Lgs. n. 149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
8.3. In terzo luogo, la censura è chiaramente diretta ad ottenere un nuovo apprezzamento del fatto valutato dal giudice del merito. Va al proposito rammentato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo), sebbene preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti e, come sopra visto, nella fattispecie il fatto storico è indubbiamente stato considerato.
9. Orbene, non vi è dubbio che il giudice ha esaminato il fatto, laddove afferma che “La contribuente ha dichiarato un costo del venduto pari a Euro 40.638,00 (dato dalla somma di esistenze Iniziali e costi d’acquisto meno rimanenze finali, cosi come autodenunciati dalla parte) mentre ha indicato ricavi per Euro 3.510,00, con tali valori le cessioni sarebbero state realizzate con un’apparente, grossa perdita di 27.446,00 e un ricarico negativo del 91,36%, mentre la cessione di beni dovrebbe avvenire ad un prezzo che garantisca un margine di utile e un prezzo ampiamente remunerativo e non certo alquanto rovinoso.
Ciò è ancor più vero se si raffronta con le percentuali di ricarico riferibili al settore merceologico di appartenenza dell’odierna ricorrente, come da studio di settore M13U, da cui ha tratto la congrua (pur prudenziale e bassa) percentuale pari al 19%. La ricorrente avrebbe dovuto fornire tutte le spiegazioni del caso offrendo delle soluzioni parimenti verosimili a supporto dell’innegabile dato di ricavi incoerenti rispetto ai costi di acquisto: ma ciò non è stato fatto rendendo legittimi i maggiori ricavi come accertati dall’Ufficio.”. La valutazione del fatto dell’antieconomicità, anche con riferimento all’applicazione dello studio di settore nel quadro dell’accertamento analitico, con precisi riferimenti al quadro istruttorio del caso di specie, rende inammissibile la censura in disamina, nella quale viene semplicemente riproposta la prospettazione di parte, già avanzata in primo e secondo grado e sempre disattesa.
10. In conclusione il ricorso dev’essere perciò rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 4.300 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.