CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 13217 depositata il 14 maggio 2024
Tributi – Avviso d’accertamento – Comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria – Credito erariale – IVA – IRPEF – IRAP – Addizionali – Comunicazione di avvenuta notifica – Invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento – Prescrizione decennale – Rigetto
Rilevato che
A Br.Sa. fu notificata dall’Agenzia delle entrate – Riscossione la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, relativa ad un credito erariale dell’importo di Euro 71.363,80, portato nell’avviso d’accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate a titolo di Iva, Irpef, Irap e addizionali non versate.
L’atto fu impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, che con sentenza n. 70/01/2020 rigettò il ricorso del contribuente, riconoscendo la regolarità della notificazione dell’atto presupposto. L’appello del contribuente fu respinto dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna con sentenza n. 811/09/2021. Il giudice regionale, dopo aver ritenuto non necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle entrate, per quanto qui ancora interessa, ha riconosciuto la regolare notifica del prodromico avviso d’accertamento, sul quale si fondava la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria; ha inoltre rigettato le eccezioni sollevate dal contribuente in ordine alla prescrizione dei tributi, non senza precisare che ad ogni modo avevano trovato compimento atti interruttivi, quali la notificazione dell’intimazione di pagamento, regolarmente ricevuta con raccomandata da famigliare convivente a mezzo Poste Italiane.
Il contribuente ha censurato la sentenza e ne ha chiesto la cassazione, affidandosi a due motivi, cui ha resistito con controricorso l’ente riscossore.
Comunicata al Br.Sa. la proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 bis, primo comma, cod. proc. civ., il contribuente ha insistito sulla decisione.
Nell’adunanza camerale del 22 novembre 2023 la causa è stata discussa e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dell’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, degli artt. 137 e 151 cod. civ., nonché dell’art. 8, l. 20 novembre 1982, n. 890, e dell’art. 2697 cod. civ. Il giudice regionale avrebbe errato nel riconoscere la regolarità della notificazione dell’avviso d’accertamento tramite il servizio postale.
Con un motivo per più aspetti confuso, atteso il richiamo ora all’avviso d’accertamento, ora alla comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, ma evidentemente, considerando la ripresa (alla pag. 8 del ricorso) del riferimento all’atto prodromico impositivo, da intendersi questo l’atto oggetto d’attenzione, si sostiene che risultava assente la spedizione della comunicazione di avvenuta notifica (CAN), nonché “dal retro della attestazione di consegna allegata emerge il seguente inciso “da restituire al C.S. F.” “.
A fondamento della lamentata irregolarità la difesa del contribuente, che comunque riferisce come la notifica fu compiuta nelle mani di Cr.Ma., invoca l’art. 60, comma 1, lett. b-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché le altre norme richiamate nella formulazione della censura, insistendo nella necessità della trasmissione della raccomandata informativa in tutte le ipotesi nelle quali la notifica non sia avvenuta direttamente nelle mani del suo destinatario. Nel copioso sviluppo argomentativo delle ragioni di ricorso la difesa del contribuente sostiene la nullità tanto della notificazione dell’avviso d’accertamento, quanto della notificazione dell’intimazione di pagamento, eseguita sempre senza invio della CAN (ma del quale il contribuente dà atto essere ugualmente avvenuta nelle mani della Cr.Ma.) e con attestazione di consegna da cui emerge la solita dicitura “da restituire al C.S. F”. .
In tale contesto, poi, denuncia che la notifica del fermo amministrativo, sempre prodotto dall’Amministrazione finanziaria a riprova dei numerosi atti interruttivi della prescrizione, sarebbe stata compiuta a mezzo della società privata N. Spa, adombrando pertanto l’illegittimità di quest’ultima per non trattarsi di Poste Italiane Spa, unica società a cui riconoscere anteriormente alla L. n. 124 del 2017 il crisma di regolarità delle notifiche.
Nonostante la proposta di definizione accelerata del giudizio, sul duplice assunto della inammissibilità del motivo per mancata trascrizione in ricorso degli atti di notificazione criticati, e della sua infondatezza, il contribuente ha chiesto la decisione, adombrando che la proposta non avesse tenuto conto né delle irritualità denunciate in ordine alla notifica dell’intimazione di pagamento e del fermo amministrativo (quali atti interruttivi della prescrizione dei crediti erariali, ritenuti quinquennali), mediante società di poste private, né del mancato invio della raccomandata informativa.
Il motivo è infondato.
Premesso che per stessa ammissione del contribuente l’atto impositivo prodromico (che di per sé, come appresso chiarito, sarebbe già sufficiente), ma anche la successiva intimazione di pagamento, furono notificate nelle mani di “Cr.Ma.”, persona certamente da annoverarsi tra i familiari, questa Corte ha ritenuto che in ordine alla notifica diretta degli atti impositivi, eseguita a mezzo posta dall’Amministrazione senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario – in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario – la notificazione si intende eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza e di deposito presso l’Ufficio Postale, o dalla data di spedizione dell’avviso di giacenza, nel caso in cui l’agente postale, sebbene non tenuto, vi abbia provveduto. In detto procedimento semplificato, posto a tutela delle preminenti ragioni del fisco, il regolamento sul servizio postale ordinario non prevede la comunicazione di avvenuta notifica. E a tal fine la stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 175 del 2018, ha ritenuto legittimo l’art. 26, comma 1, D.P.R. 602 del 1973, sul rilievo che il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati e comunque assicurato dalla facoltà per il contribuente di richiedere la rimessione in termini, ex art. 153 cod. proc. civ., ove dimostri, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, di non aver avuto conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile (Cass., 28 maggio 2020, n. 10131). Tale assunto trovava già riscontro nella medesima giurisprudenza di legittimità, in tema di notificazione della cartella di pagamento, laddove si e affermato che qualora la sua notifica sia eseguita, ai sensi dell’art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 602 del 1973, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non e necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme semplificate concernenti il servizio postale ordinario, e non quelle della disciplina dettata dalla L. n. 890 del 1982 (Cass., 10 aprile 2019, n. 10037; 12 novembre 2018, n. 28872).
Si è infatti affermato che in questa direzione depone proprio il citato art. 26, comma 1, che consente anche agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, ed a tal fine si è precisato che, in caso di notifica al portiere, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, prevedendo, lo stesso art. 26, il rinvio all’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass., n. 14196/2014; n. 3254/16; n. 12083/2016; n. 29022/2017; n. 802 del 2018).
L’interpretazione trova riscontro anche, come già accennato, nella sentenza n. 175 del 2018 della Corte Costituzionale, che ha rilevato come, sebbene non prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica, nell’ipotesi in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere, “non costituisce nella disciplina della notificazione” – nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24, primo e secondo comma, Cost.) del destinatario dell’atto” -, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.
Quanto poi al denunciato compimento della notifica tramite il servizio postale privato N. Spa, a parte che tale circostanza non emerge da alcun dato obiettivo, e di contro nella sentenza, a proposito della notificazione dell’intimazione di pagamento, si riporta che essa sia stata eseguita da Poste Italiane, senza che tale circostanza risulti contestata dal contribuente, in ogni caso la difesa non indica neppure in quale atto la questione della nullità della notificazione, per assenza di abilitazione della società di poste private, sia stata sollevata dinanzi ai giudici di merito, non potendo certo reputarsi che la questione assuma il valore di eccezione in senso lato.
In conclusione, il primo motivo è destituito di fondamento.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 2946 e 2953 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Il giudice regionale avrebbe errato nel mancare di riconoscere la prescrizione dei crediti erariali pretesi.
Il motivo è del tutto destituito di fondamento, atteso che i crediti erariali per cui è causa (Irpef, Irap, Iva e addizionali) hanno prescrizione decennale e l’avviso d’accertamento era stato notificato il 22 ottobre 2012. Tanto è sufficiente a negare il compimento di alcuna prescrizione sino alla notifica della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono le regole della soccombenza e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo.
Devono inoltre trovare applicazione i commi terzo e quarto dell’art. 96 cod. proc. civ.
A tal fine va ribadito che in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, terzo comma, cod. proc. civ. (come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente.
Si è nello specifico affermato che l’ “art. 96 terzo comma, (…), così dispone: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Il quarto comma aggiunge: “Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00”.
Trattasi di una novità normativa (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione “altresì”).
In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale). Non attenersi ad una valutazione del Presidente della Sezione che poi trovi conferma nella decisione finale lascia certamente presumere una responsabilità aggravata.
Quanto alla disciplina intertemporale sull’applicazione ai giudizi di cassazione delle disposizioni di cui all’art. 96 terzo e quarto comma per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380 bis nel testo riformato, rileva la Corte che la predetta normativa – in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del D.Lgs. n. 149/2022 -sia immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023.
Ed infatti la norma di cui all’art. 380 bis c.p.c. (che nella parte finale richiama l’art. 96 commi 3 e 4) è destinata a trovare applicazione, come espressamente previsto dal co. 6 dell’art. 35 del D.Lgs. n. 149/2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1 gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (come, appunto, quello in esame).
Una diversa interpretazione (volta ad applicare la normativa di cui si discute ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023) finirebbe, a ben vedere, per depotenziare fortemente la funzione stessa della norma e contrastare con la sua ratio, che mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa.
Sottrarre proprio la condanna al pagamento di una somma in favore della controparte e di una ulteriore somma in favore della cassa delle ammende al corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo), verrebbe a limitare fortemente la portata applicativa della norma, che dovrebbe attendere verosimilmente diversi anni per vedere riconosciuta la sua piena efficacia, in evidente contrasto con il chiaro intento del legislatore di offrire nell’immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino inammissibili, improcedibili ovvero manifestamente infondati, e consentendo alla Corte di Cassazione di concentrarsi su quelli che invece si presentino meritevoli di un intervento nomofilattico o che, all’inverso, meritino accoglimento, o comunque un attento esame” (Sez. U, 27 settembre 2023, n. 27433).
Si ritiene che, in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma di Euro. 2.000,00 (valutata equitativamente) in favore della controparte e di una ulteriore somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di causa in favore dell’Agenzia delle entrate – Riscossione, che si liquidano nella misura di Euro 7.600,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito.
Condanna inoltre il ricorrente,ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della parte controricorrente e, ai sensi dell’art. 96, quanto comma, cod. proc. civ., al pagamento della somma pari ad Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.