CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 13268 depositata il 14 maggio 2024

Tributi – Rapporti di coassicurazione – Commissioni di delega – Esenzione IVA – Mancanza di prova del pagamento del corrispettivo – Obbligo di fatturazione – Rigetto

Rilevato che

– la società contribuente impugnava l’atto di contestazione n. (…) notificato il 9 maggio 2017, con il quale l’Agenzia delle entrate, in seguito ad un controllo eseguito ai fini dell’Iva a carico della U.A. Spa relativamente ai rapporti di coassicurazione intrattenuti da quest’ultima società con una pluralità di altre compagnie assicuratrici, rilevava che la stessa aveva contabilizzato commissioni di delega per l’importo di Euro 181.219,52 nell’ambito di rapporti di coassicurazione che la legavano alla società ricorrente e che quest’ultima aveva omesso di regolarizzare detti acquisti, per i quali non sussisterebbero quindi valide ragioni di esenzione Iva;

– la Commissione tributaria provinciale rigettava l’impugnazione incentrando la motivazione della decisione sulla mancata applicabilità dell’esenzione Iva;

– appellava la contribuente, insistendo in ordine all’applicabilità dell’esenzione Iva alle operazioni delegate nell’ambito dei contratti di coassicurazione, nonché all’incertezza normativa oggettiva e alla conseguente inapplicabilità di sanzioni;

– la Corte di giustizia di secondo grado con la pronuncia qui gravata ha accolto l’impugnazione, in quanto ha ritenuto non configurabile in concreto la fattispecie sanzionatoria per la quale è stato emesso l’atto di contestazione impugnato, poiché l’assenza del corrispettivo per i servizi acquisiti dall’appellante, con l’assoggettamento di questa a procedura concorsuale, non ha concretizzato il presupposto della fatturazione e conseguentemente, della responsabilità della cessionaria per la mancanza della stessa; ed invero l’obbligo della fatturazione di prestazioni di servizi insorge, secondo il giudice dell’appello, soltanto nel momento in cui si ha il pagamento del corrispettivo, qui non verificatosi;

– ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a tre motivi;

– la società contribuente resiste con controricorso e ha presentato ricorso incidentale articolato in due mezzi di impugnazione; 

Considerato che

– il primo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 8, d. Lgs. 471 del 1997 e dell’art. 21, comma 1, d.P.R. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la CTR errato nel ritenere non dovuta la fatturazione, in assenza di pagamento, in quanto, in realtà, la U. nei rapporti di coassicurazione ha contabilizzato commissioni di delega effettivamente liquidate e non semplicemente maturate per l’importo di € 181.219,52 relativamente alla contribuente;

– il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c. per avere il Giudice di appello fondato la decisione su elementi di prova che, in realtà, evidenziavano la percezione e non solo la maturazione degli importi in favore della contribuente;

– il terzo motivo si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.; secondo parte ricorrente il Giudice dell’appello ha errato nel motivare il proprio avviso, in quanto ha omesso di considerare che il contribuente ha percepito i compensi per l’attivita espletata (delegataria) e, quindi, non ha svolto solamente il ruolo di fruitore di una prestazione;

– i tre motivi di ricorso dedotti possono trattarsi congiuntamente, in quanto frammentazione di una medesima censura;

– gli stessi si rivelano infondati;

– come questa Corte ha chiarito nella propria costante giurisprudenza (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20587 del 07/10/2011) in tema di IVA, il termine di adempimento dell’obbligo di autofattura, stabilito dall’art. 6, comma 8, lett. a), del d. Lgs. n. 471 del 1997, va calcolato (in quel caso trattandosi di cessione di beni per atto della P.A., nella specie, vendita all’incanto in sede di esecuzione immobiliare) assumendo il versamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario come “dies a quo” per la decorrenza dei quattro mesi, alla cui scadenza sorge la necessità di regolarizzazione, irrilevante restando l’emissione del decreto di trasferimento, sia perché, in relazione a tale tipologia di vicende, “l’operazione si considera effettuata”, ai sensi dell’art. 6, secondo comma, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972, “all’atto del pagamento del corrispettivo” (sottolineatura aggiunta);

– tale affermazione è in coerenza con la logica dell’imposta in questione, per la quale ciò che rileva è l’operazione “economica”, e sia perché, essendo il cessionario gravato da un obbligo autonomo rispetto al cedente, è erroneo legarne la decorrenza a fatti diversi dalla mancata ricezione, nella sfera del cessionario, della fattura entro quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione;

– detta osservazione di questa Corte deriva dal principio secondo il quale il pagamento delle prestazioni di servizio determina la sola esigibilità dell’imposta, ossia l’attitudine attuale dell’imposta ad essere pretesa da parte dell’erario, e non ne integra, invece, il fatto generatore, da cui scaturisce l’obbligazione tributaria (Cass., sez. un., 21 aprile 2016, n. 8059); è il fatto generatore a determinare l’imponibilità dell’operazione, cui si ricollegano gli effetti previsti dalla disciplina del tributo; e l’imponibilità è indice di capacità contributiva, sicché va necessariamente riferita, nella prospettiva degli artt. 3 e 53 Cost. e per l’esigenza di non trattare differentemente situazioni uguali, a un dato oggettivo omogeneo e insuscettibile di variazioni determinate da scelte casuali e soggettive. Il che non accadrebbe, ove si ritenga che l’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 633/72 costruisca il pagamento come fatto generatore dell’imposta, giacché, in tal caso, l’imponibilità a fini iva sarebbe, irrazionalmente, destinata a mutare non solo in rapporto alla tipologia delle operazioni imponibili, ma anche all’interno di ciascuna di esse, nonché in funzione dell’opzione dell’operatore (che eventualmente anticipi il momento impositivo con l’emissione della fattura);

– in questo contesto, e con riguardo alla normativa italiana, la giurisprudenza unionale ha stabilito che l’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, là dove attribuisce rilevanza a fini impositivi, quanto alle prestazioni di servizi, al dato del pagamento del relativo corrispettivo, non contrasta con l’art. 10 della sesta direttiva «in quanto questa disposizione, pur identificando il fatto generatore dell’imposta con l’esecuzione della prestazione, consente tuttavia agli Stati membri di stabilire che l’imposta diventi esigibile, per tutte le prestazioni, solo con l’incasso del corrispettivo» (Corte giust. 26 ottobre 1995, causa C-144/94);

– la norma nazionale deve quindi essere necessariamente intesa nel senso che la ficta identificazione con il pagamento del corrispettivo («le prestazioni di servizio si considerano effettuate…») investe il compimento della prestazione con esclusivo riferimento alla sua rilevanza ai fini della mera esigibilità dell’imposta;

l’insorgenza dell’obbligazione tributaria si traduce nell’insorgenza degli obblighi propri della disciplina del tributo, laddove il pagamento del corrispettivo identifica soltanto l’estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione (in termini, Cass. 1° aprile 2021, n. 9064);

è allora il pagamento del corrispettivo a identificare quindi l’estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione (in termini, Cass. n. 9064/21): se il legislatore dell’Unione avesse voluto che il diritto a detrazione sorgesse invariabilmente al momento della cessione di beni o della prestazione di servizi, avrebbe potuto collegare il momento in cui sorge il diritto a detrazione al fatto generatore dell’imposta, che non è modificato dalle norme speciali di cui agli articoli da 64 a 67 della direttiva iva, invece che al momento in cui l’iva diventa esigibile, che è soggetto a tali norme (Corte giust. causa C-9/20, G.K. 136, punto 58);

– per conseguenza, nel caso in esame, la mancanza di prova del pagamento del corrispettivo si è riverberata sulla mancanza di prova del superamento dell’estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione e, per conseguenza, dei presupposti di applicazione dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471/97 (così anche Civile Sent. Sez. 5 Num. 16479 Anno 2022);

– conclusivamente, quindi, il ricorso principale va rigettato;

– venendo all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la parte contribuente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata, pur annullando integralmente l’atto impugnato, erroneamente disposto la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio;

– il secondo motivo si incentra sulla nullità della sentenza per violazione degli  artt. 36 e 15 del d. Lgs. n. 546 del 1992, dolendosi della motivazione apparente della stessa, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., sempre riguardo al capo relativo alle spese, che in base alle norme in rubrica esige specifica motivazione, ma in questo caso -secondo la contribuente – ne risulta sostanzialmente privo perché non indica quale aspetto della causa avrebbe carattere “peculiare” né cosa le conferirebbe la pretesa “novità” di modo che non è minimamente possibile comprendere che cosa abbia indotto il giudice, nonostante l’integrale annullamento dell’atto impugnato, a compensare le spese di lite;

– i motivi in parola sono all’evidenza fondati;

– l’art. 15, comma 2 del d. Lgs. n. 546 del 1992, nella formulazione vigente ratione temporis, dovuta alla riformulazione operata dall’art. 9, comma 1, lett. f) d. Lgs. n. 156 del 2015, con il quale è stata, per la prima volta, introdotta nel processo tributario la disciplina della compensazione delle spese di giudizio in modo autonomo rispetto al 3 codice di rito, dispone che «le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate»;

– questa Corte ha già avuto modo di affermare (e ripetutamente) che le gravi ed eccezionali ragioni devono indicarsi esplicitamente nella motivazione, devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, devono essere appunto indicate specificamente e non possono essere espresse con una formula generica in quanto inidonea a consentire il necessario controllo (Cass.02/02/2023, n. 3220; Cass. 01/02/2022, n. 2963; Cass. 23/12/2021, n. 41360);

– nel caso di specie, la motivazione sul punto manca del tutto (ex plurimis, sul difetto assoluto di motivazione quale vizio di nullità della sentenza Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053) né trova fondamento alcuno, dalla lettura della decisione, il rimando – generico e apodittico;

– alla peculiarità e alla novità delle questioni poste, il contenuto delle quali non è minimamente esplicitato in sentenza;

– il ricorso incidentale va quindi integralmente accolto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi ivi proposti e conseguente rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione, cui è demandata altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di Legittimità;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.