Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 13455 depositata il 15 maggio 2024
Rifiuti – Tassa rifiuti (Tari) – Determinazione del tributo ai sensi dell’articolo 1, commi 649
RILEVATO CHE
1. la società S.R. s.r.l. impugnava l’avviso di pagamento emesso dal Comune di Città Sant’Angelo contenente la liquidazione della Tari per l’anno 2017, sostenendo che nell’immobile in cui svolgeva l’attività venivano prodotti solo ed esclusivamente rifiuti speciali, e precisamente imballaggi di natura terziaria su di un’area di 1.132,66 mq.; quindi essa doveva essere esentata dal pagamento del tributo per tali imballaggi, smaltiti mediante aziende terze, anche considerato che mancava l’attivazione e l’effettivo svolgimento del servizio di raccolta differenziata degli imballaggi di natura secondaria da parte del Comune;
1.2 la Commissione tributaria provinciale di Pescara accoglieva parzialmente il ricorso sul rilievo che, per l’attività commerciale che si svolgeva nell’immobile, doveva essere esclusa la tassa per la parte della superficie in cui si producevano in via continuativa e prevalente rifiuti speciali non assimilabili , per struttura e destinazione, ai sensi dell’ 62, comma 3, del d.lgs. 507/1993; precisando che la parte contribuente aveva assolto l’onere probatorio su di lei gravante presentando al Comune la denuncia delle superfici, indicando anche quelle non tassabili e precisando che non si doveva considerare nella superficie tassabile quella parte di essa in cui si producevano in via continuativa e prevalente rifiuti speciali non assimilabili agli urbani ed al cui smaltimento provvedono direttamente a proprie spese i relativi produttori;
1. la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, con la sentenza n. 224/07/2021 depositata in data 24 marzo 2023 e non notificata, confermava la sentenza di primo grado;
1.2 i giudici di appello, nel rigettare il gravame proposto dall’ente impositore, ritenevano condivisibili le ragioni indicate nella sentenza impugnata, osservando che la società contribuente aveva dimostrando che per la raccolta e per lo smaltimento dei rifiuti speciali di tipo terziario si avvaleva di apposita ditta specializzata ed autorizzata, mentre per il tipo secondario veniva smaltito dal cliente quale consumatore finale che ritirava il prodotto. Osservava che la sentenza di primo grado aveva correttamente motivato, affermando che non si considerava tassabile quella parte di superficie in cui si producevano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali non assimilabili agli urbani, in quanto il contribuente provvedeva a proprie spese al relativo smaltimento. Ribadiva che la contribuente, con adeguata documentazione, aveva assolto all’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione, mentre l’ ente si era limitato a richiamare i principi applicabili in materia senza analizzare espressamente le doglianze della contribuente né confutare la documentazione prodotta;
2. contro detta sentenza il Comune di Città Sant’Angelo propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con successiva memoria;
3. la S.R. s.r.l. resiste con controricorso;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo il Comune ricorrente lamenta, ex 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla specifica censura con la quale era stata rilevata l’ erroneità della pronuncia che – sia pure implicitamente – aveva affermato l’esistenza di un divieto assoluto di assimilazione dei rifiuti di imballaggi terziari a quelli urbani, risultando, invece, dal complesso delle norme del Codice dell’ Ambiente in tema di imballaggi che il divieto di conferire imballaggi di cui all’ art. 226 del d.lgs. n. 152/2006 non incide sul potere di assimilazione dei rifiuti di imballaggi agli urbani, riconosciuto dall’art. 198, comma 2, lett. g) del d.lgs. n. 152/2006;
2. con il secondo motivo lamenta, ex 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 641 e 649, della legge n. 147/2013, degli artt. 221, comma 4, 226, commi 1 e 2, 195, comma 2, lett. e), 198, comma 1, e 198, comma 2, lett. g), del d.lgs. n. 152/2006, avendo la C.T.R. del tutto omesso di considerare l’obbligo di privativa comunale;
2.1 rileva che i giudici di appello non avevano considerato che appariva perfettamente legittimo il Regolamento comunale TARI del Comune di Città Sant’Angelo laddove, all’art. 3, prevedeva l’assimilazione ai rifiuti urbani degli imballaggi primari, degli imballaggi secondari e dei rifiuti da imballaggi secondari e terziari, provenienti da locali adibiti ad uso diverso dalle civili abitazioni, compresi gli insediamenti commerciali, osservando che nel caso in esame era pacifico che si discuteva di rifiuti da imballaggi secondari e terziari, secondo la prospettazione della stessa società contribuente e che, pertanto, sussisteva non solo lo ius impositionis del Comune, ma altresì il regime di privativa, salvo le riduzioni della quota variabile della tariffa nell’ipotesi in cui il produttore dimostri di aver avviato direttamente i rifiuti assimilati al riciclo con apposita attestazione sulla scorta dell’ art. 10 del Regolamento TARI;
3. con il terzo motivo l’ente ricorrente deduce, ex 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992 non avendo i giudici di appello in alcun modo preso in esame le contestazioni sollevate dal Comune riguardo all’efficacia probatoria delle allegazioni della società contribuente a sostegno della produzione continuativa e prevalente dei rifiuti di imballaggi terziari;
4. con il quarto motivo, il Comune ricorrente lamenta, ex 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.P.R. 158/99, dell’ art. 1, commi 649 e 654, legge n. 147/2013 ed art. 13 del Regolamento comunale TARI; per avere i giudici territoriali escluso integralmente l’applicazione della TARI per i locali diversi da uffici e servizi, senza distinguere tra parte fissa e parte variabile della tariffa;
5. il ricorso può trovare accoglimento, nei limiti appresso specificati, sulla scorta dei principi già richiamati nelle sentenze aventi ad oggetto analoga vicenda inter partes (vedi 31626 e 31677 del 2023) che in questa sede devono essere ribaditi;
6. orbene, ai fini di un compiuto scrutinio dei singoli motivi di ricorso deve, preliminarmente, essere richiamato il quadro normativo di riferimento, prendendo le mosse dalla direttiva 94/62/CE, come modificata dalla direttiva n. 12 dell’11 febbraio 2004. Prevede l’art. 2, comma 1, che «la presente direttiva si applica a tutti gli imballaggi immessi sul mercato nella Comunità e a tutti i rifiuti di imballaggio, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici e a qualsiasi altro livello, qualunque siano i materiali che li compongono». Prevedono inoltre i primi due commi del successivo 3 quanto segue: «ai sensi della presente direttiva s’intende per: 1) “imballaggio”: tutti i prodotti composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione. Anche tutti gli articoli “a perdere” usati allo stesso scopo devono essere considerati imballaggi. L’imballaggio consiste soltanto di: a) “imballaggio per la vendita o imballaggio primario”, cioè imballaggio concepito in modo da costituire nel punto di vendita un’unità di vendita per l’utente finale o il consumatore; b) “imballaggio multiplo o imballaggio secondario”, cioè imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche; c) “imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario”, cioè imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione e il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione e i danni connessi al trasporto. L’imballaggio per il trasporto non comprende i container per i trasporti stradali, ferroviari e marittimi ed aerei; La definizione di “imballaggio” è basata inoltre sui criteri indicati qui di seguito. Gli articoli elencati nell’allegato I sono esempi illustrativi dell’applicazione di tali criteri: i) sono considerati imballaggi gli articoli che rientrano nella definizione di cui sopra, fatte salve altre possibili funzioni dell’imballaggio, a meno che tali articoli non siano parti integranti di un prodotto e siano necessari per contenere, sostenere o preservare tale prodotto per tutto il suo ciclo di vita e tutti gli elementi siano destinati ad essere utilizzati, consumati o eliminati insieme; ii) sono considerati imballaggi gli articoli progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti o progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita, a condizione che svolgano una funzione di imballaggio; iii) i componenti dell’imballaggio e gli elementi accessori integrati nell’imballaggio sono considerati parti integranti dello stesso. Gli elementi accessori direttamente fissati o attaccati al prodotto e che svolgono funzioni di imballaggio sono considerati imballaggio a meno che non siano parte integrante del prodotto e tutti gli elementi siano destinati ad essere consumati o eliminati insieme». Ai fini dell’attuazione della direttiva è stato emanato il d. lgs. n. 22 del 1997, ed in particolare gli artt. 34 ss. dedicati alla «gestione degli imballaggi», riprodotti dagli artt. 217 ss. del d. lgs. n. 152 del 2006. L’art. 218 di quest’ultimo testo legislativo, per quanto qui rileva, prevede quanto segue: «si intende per: a) imballaggio: il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo; b) imballaggio per la vendita o imballaggio primario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore; c) imballaggio multiplo o imballaggio secondario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita, indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche; d) imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario: imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione ed i danni connessi al trasporto, esclusi i container per i trasporti stradali, ferroviari marittimi ed aerei; e) imballaggio riutilizzabile: imballaggio o componente di imballaggio che è stato concepito, progettato e immesso sul mercato per sopportare nel corso del suo ciclo di vita molteplici spostamenti o rotazioni all’interno di un circuito di riutilizzo, con le stesse finalità per le quali è stato concepito. [……] 2. La definizione di imballaggio di cui alle lettere da a) ad e) del comma 1 è inoltre basata sui criteri interpretativi indicati nell’articolo 3 della direttiva 94/62/CEE, così come modificata dalla direttiva e sugli esempi illustrativi riportati nell’Allegato E alla parte quarta del presente decreto»;
6.1 occorre, quindi, evidenziare che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 1, commi 641, 642 e 649, legge 147/2013, che dispone che: – «Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva» (c. 641); – «La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani …» (c. 642); – «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il Comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione […]» (c. 649); al regolamento, adottato dall’Ente locale, viene, poi, demandato di articolare riduzioni ed esenzioni tariffarie (art. 1, cc. 659 e 682) mentre a carico del contribuente è posto l’obbligo procedurale della dichiarazione (originaria o di variazione; art. 1, cc. 684 e ss.);
7. questa Corte ha già avuto modo di esaminare (vedi , Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032) il suindicato quadro normativo, reputandolo sostanzialmente omogeneo a quello che connotava la disciplina della TARSU ed ha, in particolare, posto in rilievo che il presupposto impositivo della TARI rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (vedi Cass. 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130), giacché la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione, iuris tantum, di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459, tutte citate da Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490);
7.1 deve, ancora, rilevarsi che, in tema di TARI, l’esenzione dal tributo, a differenza del previgente regime (art. 62, comma 3, lgs. 15 novembre 1993, n. 507) che lo correlava a «quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti» (v. Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass. 4 aprile 2012, n. 5377), è ora prevista per quella parte di superficie ove i rifiuti speciali si formino «in via continuativa e prevalente» ed a condizione che i produttori (tenuti a provvedere a proprie spese) «ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente»;
7.2 nelle sentenze di questa Corte nn. 8205 e 8222 del 14 marzo 2022 è stato anche chiarito che la «riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti speciali’ costituiti dagli imballaggi terziari […] non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari», affermandosi che «agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62, co. 3^ cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art.21 co. 7^ d.lgs. 22/1997», precisandosi, ancora, che «La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/19; 703/19; 4960/18; 4793/16 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento)» (così Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n, 8205 e nello stesso senso, Cass. Sez. T, 14 marzo 2022, n. 8222);
7.3 in ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39. Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012, Rv. 621368 – 01, n. 4793/16, Rv. 639127 – 01, n. 703/2019, Rv. 652499 – 01; 4960/2018, Rv. 649761 – 01; da ultimo Cass. n. 10010/2019, Rv. 653536 – 01, Cass. n. 22980/2021).”(Cass. Civ. 5580/23);
7.4 si è, ancora, precisato che la tassa in questione è doppiamente strutturata: a. in una parte variabile, non dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; b. in una parte fissa, sempre dovuta invece dovuta per intero, sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto astrattamente idonee ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività e dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività (v. , Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222, che richiama Cass. 15 marzo 2021, n. 7187; Cass. 23 maggio 2019, n. 14038 e Cass., Sez. T., 27 febbraio 2020, n. 5360);
8. ciò premesso, passando all’esame dei singoli motivi del ricorso, va osservato che i primi tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi – sebbene ammissibili in quanto rispettosi del principio di autosufficienza (contrariamente a quanto eccepito dalla società controricorrente) sono da ritenere privi di fondamento;
8.1 deve evidenziarsi che, secondo quanto ricostruito in punto di fatto nella sentenza impugnata, nell’area in questione risultano prodotti in prevalenza imballaggi di tipo “terziario” per i quali, come detto, è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani. Ne discende che, sulla scorta dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, vertendosi in ipotesi di prevalente smaltimento di imballaggi di tipo terziario, la sentenza sul punto in esame si appalesa corretta in diritto.
Invero, come evidenziato da Cass. 28030/2023 – riguardante analoga fattispecie- «Ferma quindi restando l’assegnazione ai Comuni della potestà regolamentare di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani (art. 21 decreto Ronchi e successiva abrogazione della L. n. 146 del 5 1994, art. 39), resta che in base alla specialità del regime proprio degli imballaggi (secondari e terziari), tale assimilazione è con riguardo ad essi ex lege preclusa, in modo tale che quei regolamenti comunali che una tale assimilazione abbiano invece previsto (come si assume nella specie) vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 7, in quanto illegittimi (Cass. n. 627 del 19.10.2011; Cass. n. 627/2012; Cass. n. 4793/2016; Cass. 14414/2017; Cass. n. 6358 e 6359 del 2016 ed altre). Dunque, indipendentemente dalla assimilazione per delibera o regolamento, la parte variabile della tariffa non va applicata con riguardo alle superfici di loro produzione continuativa e prevalente. Come detto, si tratta di conclusione che trova conferma anche alla luce del d.lgs. n. 152 del 2006, artt. 221 e 226 i quali recepiscono anch’essi (art. 218) la pregressa definizione e l’articolazione distintiva degli imballaggi, escludendo il conferimento dei terziari ed ammettendolo per i secondari solo in contesto di attivata raccolta differenziata. Ne’ può avere ingresso – sulla base della nozione generale di rifiuto, ricondotta a qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi (art. 183, comma 1″, lett. a) – la distinzione operata in ricorso (e ripresa nella memoria del Comune) tra rifiuti da imballaggi e imballaggi ancora utilizzabili, in ordine ai quali ultimi non si pone in realtà il problema del conferimento e smaltimento se non a loro volta dismessi e, per ciò solo, assunti nella categoria legale dei rifiuti ex art. 183 cit. (Cass. 21130/21 (con richiami anche della Cassazione penale in ordine alla qualificazione di rifiuto: v. Cass. Sez. 3″ Pen. Di Micco n. 48737/2013; Cass. Sez. 3″ Pen. Rizzi n. 50309/2014), dopo aver ribadito che, ai sensi della citata normativa, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dal d.lgs. n. 22 del 1997, art. 21 e che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario, ha poi posto in luce come la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia stata ridisciplinata dal Titolo 2 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente) senza soluzione di continuità (art. 264, comma 1, lett. i), d.lgs. cit.), con il d.lgs. n. 22 del 1997 (abrogato), attraverso disposizioni che recepiscono la Direttiva 2004/12/CE, con la quale è stata integrata e modificata la Direttiva 94/62/CE. Sicché ai sensi dell’art. 218, comma 1, lett. a) d.lgs. sopra citato, si intende per imballaggio: “il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dai produttore ai consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo”, mentre la successiva lett. f) della medesima disposizione definisce come rifiuto da imballaggio: “ogni imballaggio o materiale di imballaggio, rientrante nella definizione di rifiuto di cui all’art. 183, comma 1, lett. a), esclusi i residui della produzione”, e la lett. g) qualifica “gestione dei rifiuti da imballaggio”: “le attività di gestione di cui all’art. 183, comma 1, lett. d)”. E’ dunque evidente che l’intera problematica della imponibilità degli imballaggi debba in effetti più propriamente riferirsi ai rifiuti da imballaggio [….], senza però che questo induca a conclusioni diverse da quelle fin qui esposte; e ciò proprio per il confluire della nozione (anche) di rifiuto di imballaggio nella definizione legale generale di cui all’art. 183 cit., con riguardo alla fase della loro dismissione ed indipendentemente dalla possibilità di recupero o riutilizzo ad opera di terzi». Poiché la questione attiene, dunque, in generale agli “imballaggi terziari” nella disponibilità della società vale il principio per il quale per gli stessi opera il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale, con conseguente infondatezza di tutte contestazioni mosse dall’ ente impositore;
8.2 nel caso in esame risulta che la Commissione Tributaria Regionale ha accertato, sulla base della documentazione ritualmente acquisita e della allegata perizia di parte (con cui sono state individuate anche le superfici in contestazione), la natura dei rifiuti prodotti ed, in particolare, che nell’area deposito si producevano solo rifiuti terziari e nell’area magazzino vendita la produzione degli imballaggi terziari era prevalente, con conseguente raggiungimento della prova della condizione di cui all’art. 1 comma 649 147/13; da che discende che ipotizzare che in dette aree si producessero anche rifiuti urbani costituisce un inammissibile rivisitazione dell’accertamento di fatto eseguito dai giudici di merito;
8.3 invero i giudici di primo e di secondo grado, con vaglio logicamente motivato ed insindacabile di tutte le risultanze istruttorie fornite dalla parte contribuente, hanno ritenuto raggiunta la dimostrazione di tutti i presupposti della non tassabilità delle superfici in esame (magazzino e vendita); e ciò proprio in ragione di una valutazione di continuità e prevalenza nella produzione in esse di imballaggi non assimilabili. Tanto più a fronte di una disciplina legislativa, qual è quella TARI, che non riconduce la causa di esenzione alla produzione ‘esclusiva’ e totalizzante rifiuti non assimilabili, bensì alle sue caratteristiche di continuità e e prevalenza. Sicchè ben poteva il giudice di merito convincersi del fatto che, pur nella riconosciuta frequentazione dei locali da parte di alcuni dipendenti e di clienti (ma sempre sulla base delle caratteristiche del commercio all’ingrosso e della gestione a distanza di molti ordinativi), la continuità e prevalenza nella produzione dei rifiuti spettava appunto agli imballaggi terziari non assimilabili. Ciò è desunto in sentenza sulla base della perizia tecnica in atti ed appunto della ricostruzione delle modalità ordinarie di svolgimento dell’attività all’ingrosso, comportante utilizzo pressoché esclusivo di imballaggi non assimilabili a fronte di modesto accesso fisico di clientela;
8.4 né risponde al vero l’ affermazione secondo cui la sentenza impugnata avrebbe omesso l’analisi dell’eccezione sollevata dal Comune circa la portata probatoria degli elementi addotti dalla contribuente ed in perizia, avendo i giudici di secondo grado, nel disattendere le censure dell’ente impositore con adeguate argomentazioni e valutando le complessive risultanze istruttorie, chiarito che “… l’appellata ha descritto l’attività svolta dimostrando che per la raccolta e per lo smaltimento dei rifiuti speciali di tipo terziario si avvale di apposita ditta specializzata ed autorizzata, mentre per il tipo secondario viene ad essere smaltito dal cliente quale consumatore finale che ritira il prodotto. Quindi, la sentenza gravata ha ben motivato, affermando che non si considera tassabile quella parte di superficie in cui si producono in via continuativa e prevalente rifiuti speciali non assimilabili agli urbani, in quanto il contribuente provvede a proprie spese al relativo smaltimento. In conclusione, il contribuente, con adeguata documentazione, ha assolto all’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione, mentre l’Ufficio si è limitato a richiamare i principi applicabili in materia senza analizzare espressamente le doglianze del contribuente né confutare la documentazione prodotta”, ricostruzione in fatto che il Comune ricorrente non può in questa sede validamente contestare deducendo una asserita violazione di legge, all’ evidenza non configurabile;
9. il quarto motivo è Nel richiamare quanto già evidenziato al §. 7.4. va osservato che, nel caso in esame, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dei menzionati principi non considerando che trattandosi di superfici, comunque, potenzialmente idonee alla produzione dei rifiuti urbani, a prescindere dalla mancata produzione in concreto degli stessi e dalla mancata fruizione del servizio pubblico, la parte fissa del tributo era, in ogni caso, dovuta per l’intero. Priva di pregio è sul punto l’eccezione di parte resistente secondo cui tale motivo non sarebbe ammissibile in quanto contenente nuove questioni (in parte di natura fattuale), mai sollevate nei precedenti gradi di giudizio. Dal momento che il tema della controversia è costituito dalla sussistenza dei presupposti dell’imposizione TARI e posto, inoltre, che oggetto del processo tributario è l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato ed alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati, la questione relativa all’obbligo del pagamento della quota fissa non rappresenta una questione nuova bensì un profilo che, alla luce di richiamati principi giurisprudenziali, il giudice di appello investito della questione relativa alla spettanza o meno di tutte le somme indicate nell’avviso di accertamento doveva, comunque, scrutinare;
9.1 tanto osservato si impongono alcune ulteriori precisazioni. Non appare condivisibile la tesi, sostenuta in dottrina, secondo cui un tale orientamento non sarebbe aderente al dettato normativo in quanto l’art. 1, comma 649, legge n. 147/2013, il quale prevede che nella determinazione delle superfici assoggettabili alla TARI non si deve tenere conto di quelle ove si formano i rifiuti speciali, senza operare alcuna distinzione tra quota fissa e variabile. Occorre rilevare che il successivo comma 651 richiama espressamente il D.P.R. 27.4.1999 n. 158 (“Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”, tutt’ora in vigore). L’ art. 3 di tale d.P.R. (“Determinazione della tariffa”) così dispone: «1. Sulla base della tariffa di riferimento di cui all’articolo 2, gli enti locali individuano il costo complessivo del servizio e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. 2. La tariffa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione. 3. Le voci di costo da coprire rispettivamente, attraverso la parte fissa e la parte variabile della tariffa sono indicate al punto 3 dell’allegato 1». Tale allegato, al punto 3, relativo a “Suddivisione della tariffa in parte fissa e parte variabile” stabilisce testualmente: «Secondo quanto disposto al comma 4 dell’articolo 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione. La Tariffa si compone quindi di due parti:….La parte fissa (…) deve coprire i costi indicati nella seguente equivalenza (…). Gli enti locali che conferiscono a smaltimento i rifiuti indifferenziati presso impianti di terzi, richiedono che il soggetto gestore dell’impianto evidenzi, all’interno del prezzo richiesto, la quota relativa ai costi riconducibili all’impiego del capitale (..), al fine di attribuirli nella parte fissa della tariffa. La parte variabile (…), invece, dipende dai quantitativi di rifiuti prodotti dalla singola utenza ». Ciò vuol dire che, nel sistema delineato dal legislatore, la quota fissa e la quota variabile devono coprire integralmente i costi sopportati per la gestione del ciclo dei rifiuti, sia per gli investimenti effettuati sia per l’esercizio del servizio. Inoltre, sempre secondo quanto si ricava dalla norma, la quota fissa incide in misura predeterminata, avendo la funzione di assicurare la copertura degli investimenti, laddove la quota variabile è determinata per ciascuna tipologia di utente in ragione della quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fruito e così via. Sarebbe, per vero, del tutto illogico esentare dal versamento della quota fissa un operatore economico che, comunque, per conferire sicuramente al servizio pubblico almeno una parte dei rifiuti prodotti (quelli derivanti da uffici e servizi), ritrae dagli investimenti eseguiti per la gestione del ciclo dei rifiuti una indubbia utilità. Diversamente opinando, la norma non potrebbe andare esente da concreti dubbi di illegittimità costituzionale per violazione degli art. 3 e 53 Cost., risultando del tutto irrazionale una disposizione che esentasse totalmente dal pagamento della TARI soggetti che, comunque, fruiscono del relativo servizio. E ciò tanto più se si considera che per legge (art. 1, co. 654, L. n. 147/2013) deve in ogni caso essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, e che, conseguentemente, la parte di quota fissa non gravante sui produttori anche di rifiuti speciali finirebbe per ricadere sulle altre utenze ed specialmente sulle utenze domestiche;
9.2 una simile tesi appare del resto in linea con la circostanza che la TARI, come TARES e la TARSU, sono caratterizzate, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che le disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica. I servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (cfr. in tema di TARSU Corte cost. n. 238 del 2009, richiamata da Cass. n. 7647 e n. 1981 del 2018);
9.3 condivisibilmente, pertanto, è stato sottolineato e ribadito che «in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, nn. 16994 e 16995; Cass., Sez. 5^, 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., Sez. 5^, 12 agosto 2021, nn. 22772 e 22773; Cass., Sez. 6^-5, 22 ottobre 2021, n. 29542; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2021, nn. 32603 e 32604; Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2022, n. 12850)» (così Cass., Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429). In tale contesto, la Corte ha ritenuto – per quanto più direttamente occupa – che la pertinente disposizione di cui all’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 esprime sulla questione dirimente «una sostanziale continuità regolativa» rispetto alla disciplina della TARSU, come affermato, in modo espresso, dalla pronuncia di questa Corte del 7 luglio 2022, n. 21490 e come già ritenuto nelle menzionate due pronunce del 23 aprile 2020, n. 8088 e 8089, che hanno esteso «alla TARI l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU con riguardo all’art. 62, comma 3, del d.lvo 15 novembre 1993, n. 507»;
10. la sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento del quarto motivo limitatamente alla debenza della quota fissa della TARI per le annualità dedotte, alla stregua del seguente principio di diritto: «alla luce del disposto di cui all’ art. l’art. 1, comma 649, legge n. 147/2013, il quale prevede che nella determinazione delle superfici assoggettabili alla TARI non si tenga conto di quelle ove si formano i rifiuti speciali ed in forza del successivo comma 651 del medesimo articolo – che richiama il d.P.R. 27.4.1999 n. 158 (“Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”, tutt’ora in vigore) in base al quale risulta che la tassa in questione è doppiamente strutturata in una parte variabile ed in una parte fissa – allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o, comunque, non assimilati e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate, lo stesso è sempre tenuto a corrispondere, per intero, la quota fissa sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto potenzialmente idonee ad ospitare attività antropiche inquinanti ed a costituire un carico per il gestore del servizio, essendo destinata detta quota a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e del servizio nell’interesse dell’intera collettività e, dunque, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività»;
11. in conclusione, rigettati i primi tre motivi di ricorso, la sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento del quarto motivo relativamente alla debenza della quota fissa della TARI per l’ annualità oggetto di causa, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata il relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Abruzzo, in diversa composizione, anche per le spese.