CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 14868 depositata il 28 maggio 2024

Tributi – Avvisi di accertamento – IVA – Azienda in liquidazione – Fallimento – Operazioni soggettivamente inesistenti – Termine dilatorio per emanazione dell’avviso – Controlli “a tavolino” – Contraddittorio endoprocedimentale – Apprezzamento di fatti e prove – Rigetto

Rilevato che

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania veniva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 9046/5/2018 avente ad oggetto gli avvisi di accertamento IVA per gli anni di imposta 2013 e 2014, emessi nei confronti della I.I. Srl, poi in liquidazione ed ora in fallimento, per operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere con fornitori per far figurare operazioni di importazione come intracomunitaria.

2. In particolare, contro gli avvisi di accertamento nn. (…) e (…) con i quali veniva opposto il diniego alla detrazione dell’IVA, la società ricorreva alla CTP deducendo in via preliminare, tra l’altro, la lesione del proprio diritto al contraddittorio procedimentale e, nel merito, la propria estraneità alla frode carosello.

3. Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso introduttivo, ritenendo che la contribuente avesse impiegato la normale diligenza richiesta nel compimento delle transazioni commerciali contestate, in assenza di condizioni oggettive di conoscibilità di essere parte della frode. A sua volta, il giudice d’appello accoglieva l’impugnazione dell’Agenzia, rigettando la riproposta questione preliminare relativa al contraddittorio procedimentale ma, nel merito, a differenza della CTP, riteneva sussistente un compendio di elementi idonei a dimostrare la non estraneità della contribuente alla frode carosello contestata, in particolare circa la consapevolezza da parte della contribuente della partecipazione alla contestata operazione evasiva, oltre che dell’esistenza delle operazioni contestate.

4. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso la contribuente, affidato a due motivi, mentre l’Agenzia non ha svolto difese.

Considerato che

5. Con il primo motivo la ricorrente – ai fini dell’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 12 della legge n. 212/2000, 7 della legge n. 241/1990, 41, 47 e 48 CEDU, per aver la CTR erroneamente stabilito che nel caso di specie il contraddittorio procedimentale è stato regolarmente instaurato.

6. Il motivo non può trovare ingresso. Le Sez. Unite, con la sentenza 29 luglio 2013 n. 18184, hanno statuito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

7. Ulteriore chiave interpretativa è stata poi fornita per i controlli c.d. “a tavolino” dalla sentenza 9 dicembre 2015 n. 24823 (ndr sentenza 8 dicembre 2015 n. 24823), secondo la quale con riferimento ai diritti e alle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini c.d. “a tavolino”. La medesima decisione ha inoltre sancito la necessità di operare, per i tributi armonizzati, una “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, in determinati casi. In tal caso l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio procedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.

8. Sulla base di tali caposaldi, la Corte ha poi affermato (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 701 del 15/01/2019; conforme, Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 22644 del 11/09/2019) che l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio.

9. In ragione del quadro che precede, poiché nel caso di specie è pacificamente intervenuta una verifica fiscale, trova diretta applicazione l’art. 12 comma 7 della legge n. 212/2000 e a riguardo la CTR ha posto in essere un preciso accertamento in un capo della sentenza, peraltro riportato anche nel ricorso, secondo cui al momento della conclusione della verifica fiscale la società è stata resa edotta della facoltà di far pervenire all’Amministrazione finanziaria entro 60 giorni dal rilascio del p.v.c. e, quindi, è stata invitata formalmente al contraddittorio senza che a tale invito seguisse alcuna attività della contribuente prima della notifica dell’avviso di accertamento, intervenuta ben oltre il termine di 60 giorni. I fatti oggetto di accertamento non sono stati specificamente contestati con la censura in disamina, la quale ha semplicemente riproposto le difese di merito ritenendo, erroneamente, che l’Agenzia dovesse nuovamente invitare la contribuente al contraddittorio.

10. È poi inammissibile la parte della censura esposta alle pagg. 7 e 8 del ricorso, in cui la società ragiona sulla mancanza di valore probatorio del p.v.c. ai fini della dimostrazione della soggettiva inesistenza delle operazioni contestate, in quanto segmento argomentativo relativo al merito del tutto eterogeneo rispetto alla rubrica del motivo e allo stesso corpo della doglianza incentrata sul contraddittorio procedimentale.

11. Con il secondo motivo la contribuente si duole, agli effetti dell’art. 360 primo comma nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del D.P.R. n. 633/72, nonché degli artt. 2697 e 2727 e ss. cod. civ., 7 comma 4 del D.Lgs. 546/1992, 111 Cost. e 6 CEDU per avere la CTR mancato di rilevare l’estraneità e l’incolpevolezza della società nella frode fiscale contestata dall’Amministrazione finanziaria.

12. Il motivo è inammissibile, innanzitutto per come è concepito, declinando un ventaglio di paradigmi processuali di censura tra loro incompatibili come ad es. il vizio motivazionale e la violazione di legge, profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, in un cumulo di doglianze precluso per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. 22 settembre 2014 n. 19959).

12.1. Il motivo è inoltre inammissibile anche perché per costante interpretazione giurisprudenziale (Cass. 7 aprile 2017 n. 9097) con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. Infatti, l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Nel caso di specie, dalla sola lettura della doglianza, emerge come sia scoperto il tentativo della ricorrente di ottenere una nuova rivalutazione del merito.

12.2. Infine, è preclusivo della censura anche il principio (Cass. 10 giugno 2016 n. 11892) secondo il quale il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giuduzio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. La ricorrente ha del tutto mancato di tener conto del principio di diritto che precede nel confezionare la propria difesa, ulteriore profilo di inammissibilità della censura.

13. Il ricorso è conclusivamente rigettato per inammissibilità dei motivi. Nulla dev’essere disposto sulle spese di lite, non essendosi costituita in giudizio l’Agenzia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Si dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.