CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 15044 depositata il 29 maggio 2024

Tributi – Avviso di accertamento – IRPEF – Delega di firma – Istituto della reggenza – Indagini bancarie – Presunzione legale relativa di disponibilità maggior reddito – Relazione peritale – Operazioni di versamento incluse nel reddito imponibile o fiscalmente irrilevanti – Accoglimento parziale

Fatti di causa

All’esito di indagini effettuate ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 7), del D.P.R. n. 600 del 1973 sui conti correnti bancari e postali intestati al contribuente, la Direzione Provinciale di Treviso dell’Agenzia delle Entrate notificava a Re.Ve. un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione, ai fini dell’IRPEF, un reddito di 1.994.111 Euro in relazione all’anno 2007. Il Re.Ve. impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, che respingeva il suo ricorso con sentenza n. 65/1/13 del 16 settembre 2013.

L’appello successivamente proposto dalla parte privata veniva parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, la quale, con sentenza n. 1070/19/15 del 16 giugno 2015, rideterminava il maggior reddito imponibile in 436.630,51 euro. Rilevava il giudice regionale:

– che non poteva trovare applicazione, nel caso di specie, la norma di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, in quanto dettata con esclusivo riferimento agli accessi, alle ispezioni e alle verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, artistiche o professionali;

– che, in ogni caso, mediante l’invio di un questionario l’Agenzia delle Entrate aveva “posto il contribuente nel diritto alla conoscenza preventiva dei dati” bancari acquisiti, “in modo da poter presentare delle prove contrarie certe alle presunzioni dell’Ufficio”;

– che “con l’invito a fornire chiarimenti e notizie ed il relativo esercizio di difesa da parte del contribuente”, presentatosi in quattro diverse giornate presso la sede dell’Ufficio, era stata assicurata “l’automatica instaurazione del contraddittorio preventivo”;

– che la parte erariale aveva provveduto a documentare l’avvenuto conferimento della delega di firma al funzionario sottoscrittore dell’avviso di ricevimento;

– che il reddito da recuperare a tassazione doveva essere rideterminato “alla luce dei risultati del CTU”.

Contro questa sentenza il Re.Ve. e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto autonomi ricorsi, notificati, rispettivamente, il 13 e il 18 gennaio 2016.

La parte erariale ha anche replicato con controricorso all’avversa impugnazione.

I ricorsi sono stati avviati alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Nel termine stabilito dal comma 1, terzo periodo, del predetto articolo il ricorrente principale ha depositato sintetica memoria illustrativa.

Motivi della decisione

A) Rilievi preliminari

1. Deve preliminarmente rilevarsi che il ricorso per cassazione del Re.Ve. è da qualificare come principale, essendo stato notificato anteriormente a quello autonomamente proposto dall’Agenzia delle Entrate, il quale va, pertanto, considerato incidentale, pur non rivestendo la forma del controricorso prevista dall’art. 371, comma 1, c.p.c. (sull’argomento si vedano, ex ceteris, Cass. n. 36057/2021, Cass. n. 27680/2021, Cass. n. 448/2020, Cass. n. 5695/2015).

B) Ricorso principale

2. Il ricorso principale è affidato a due motivi.

2.1 Con il primo motivo vengono denunciate:

(a) ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione omessa o meramente apparente;

(b) a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973.

2.2 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente escluso l’illegittimità dell’impugnato avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione dell’atto da parte di un dirigente dell’ufficio finanziario.

2.3 Viene dedotto, in proposito:

– che l’atto impositivo era stato sottoscritto dal dott. Ma.Pa., dipendente della nona qualifica funzionale incaricato della reggenza dell’ufficio durante il breve periodo di assenza per ferie del direttore;

– che tale istituto non poteva trovare applicazione nel caso di specie, non ricorrendo le condizioni all’uopo richieste dall’art. 20 del D.P.R. n. 266 del 1997;

– che, per giunta, nell’atto con il quale era stata affidata la reggenza dell’ufficio al dott. Ma.Pa., prodotto in primo grado dall’Agenzia delle Entrate, non veniva precisato se al predetto funzionario fosse stato attribuito il potere di firmare avvisi di accertamento di importo superiore a 400.000 Euro, limite fissato con la delega precedentemente conferitagli.

2.4 Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 della L. n. 212 del 2000, nonché degli artt. 24 e 111 Cost.

2.5 Viene imputato alla Commissione regionale di aver a torto ritenuto sufficienti ad assicurare l’instaurazione del contraddittorio preventivo con il contribuente la trasmissione di un questionario e il successivo esame “a tavolino” della documentazione contabile da lui esibita in ottemperanza alla richiesta dell’Amministrazione, laddove, invece, soltanto mediante la notifica di un formale invito a comparire si sarebbe garantita al Re.Ve. un’effettiva possibilità di interlocuzione con l’Ufficio in ordine all’attività accertativa intrapresa nei suoi confronti.

2.6 Si deduce, sul tema:

– che l’emissione dell’avviso di accertamento avrebbe dovuto essere preceduta dal rilascio di copia del verbale di chiusura delle operazioni e non sarebbe potuta avvenire prima della scadenza del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000;

– che l’atto impositivo risultava carente di motivazione, avendo l’Ufficio completamente ignorato le osservazioni formulate dal contribuente “nella fase interlocutoria” di acquisizione della documentazione richiesta.

C) Ricorso incidentale

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c.

3.1 Si sostiene che la CTR, pur affermando di voler fare proprie le conclusioni dell’espletata c.t.u., avrebbe travisato il contenuto della relazione peritale redatta dall’ausiliario, il quale aveva ritenuto prive di giustificazione le operazioni di accredito annotate negli estratti dei conti correnti bancari esaminati dall’Ufficio, tranne una dell’importo di 3.000 Euro.

3.2 Fermo quanto precede, viene posto in evidenza che per superare la presunzione legale relativa della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari ai sensi dell’art. 32, comma 1, nn.2) e 7), del D.P.R. n. 600 del 1973, è necessario dimostrare che le operazioni di versamento sono già state incluse nel reddito soggetto a imposta o sono fiscalmente irrilevanti.

3.3 Si sottolinea, al riguardo, che le movimentazioni in entrata emergenti dalle indagini bancarie svolte nei confronti del Re.Ve. risultavano incompatibili con la causale addotta dal contribuente, il quale assumeva trattarsi di versamenti effettuati in suo favore a titolo di restituzione di prestiti infruttiferi da lui concessi a società di cui era amministratore o socio (l’I.N. Srl, la V. Srl e l’E.C. Srl): ciò in quanto la notevole entità delle somme asseritamente mutuate appariva sproporzionata rispetto alla capacità reddituale delle predette società, quale evincibile dai bilanci acquisiti al processo, che quasi sempre avevano registrato perdite di esercizio.

D) Esame dei motivi

D1) Ricorso principale

4. Il primo motivo del ricorso principale è articolato in due distinti profili di censura.

4.1 Quello concernente il preteso vizio motivazionale della sentenza è infondato.

4.2 Giova rammentare che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012 convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell’inosservanza del c.d. “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nelle ipotesi -che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. (nel processo tributario la norma speciale di riferimento è l’art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992)- di “mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza della mera “insufficienza” o “contraddittorietà” della motivazione; con la precisazione che tale vizio deve emergere dal testo del provvedimento impugnato, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., ex permultis, Cass. n. 20598/2023, Cass. n. 20329/2023, Cass. n. 3799/2023, Cass. Sez. Un. n. 37406/2022, Cass. Sez. Un. n. 32000/2022, Cass. n. 8699/2022, Cass. n. 7090/2022, Cass. n. 24395/2020, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. n. 12241/2020, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. Sez. Un. 8053/2014).

4.3 Ciò posto, deve escludersi che la pronuncia qui impugnata sia affetta da alcuna delle gravi anomalie innanzi indicate, avendo la Commissione di secondo grado osservato in diritto che “l’accertamento è nullo solo se lo stesso non risulta sottoscritto” e che “in tutte le altre ipotesi, in caso di contestazione, l’Ufficio ha l’obbligo di dimostrare l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore”, e quindi acclarato in fatto che “l’Agenzia delle Entrate, con le controdeduzioni presentate in primo grado, ha documentato l’esistenza del potere di firma dell’avviso di Accertamento” (pag. 8 della sentenza, righi 22-27).

4.4 Da quanto precede appare evidente come la motivazione resa sul punto dal giudice d’appello, oltre ad esistere materialmente, sia perfettamente intelligibile, collocandosi senz’altro al di sopra del “minimo costituzionale”.

4.5 Il secondo profilo di doglianza si appalesa inammissibile per le ragioni appresso indicate.

4.6 Va anzitutto rilevato che dalla lettura del ricorso -il quale, sotto questo aspetto, risulta privo di autosufficienza- non è possibile stabilire se la questione relativa all’asserita mancanza della delega di firma rientrasse fra i motivi di impugnazione dell’avviso di accertamento originariamente svolti dal Re.Ve. nel libello introduttivo della lite, né se fosse stata successivamente introdotta nel dibattito processuale con un eventuale motivo aggiunto ritualmente proposto nei termini e nelle forme di cui all’art. 24, commi 2, 3 e 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

4.7 Dalla ricostruzione della vicenda di causa operata in questa sede dal ricorrente si evince soltanto che il tema della delega di firma costituì oggetto di un motivo di gravame avverso la sentenza di primo grado (pag. 4, ultimo periodo, lettera b); motivo poi disatteso dalla CTR sulla scorta del rilievo che “l’Agenzia delle Entrate, con le controdeduzioni presentate in primo grado, a(veva) documentato l’esistenza del potere di firma dell’avviso di accertamento” (pag. 8 della sentenza, quartultimo periodo).

4.8 Nel descritto contesto, deve ritenersi che la questione in esame non potesse trovare ingresso nel giudizio di secondo grado, in ragione della sua novità, ostandovi il divieto posto dall’art. 57, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, norma corrispondente, nel processo tributario, a quella recata dall’art. 345, comma 1, c.p.c., la cui violazione è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. Un. n. 157/2020, Cass. n. 383/2007).

4.9 Quanto, poi, alle doglianze relative all’applicabilità dell’istituto della reggenza, non trattate nella qui impugnata pronuncia, si osserva quanto segue.

4.10 Lo stesso Re.Ve. riferisce che in primo grado l’Agenzia delle Entrate aveva prodotto, in allegato all’atto di controdeduzioni, “un asserito protocollo di reggenza (…) con il quale il Direttore dell’Ufficio (unico soggetto avente il potere di firma degli avvisi di accertamento) affidava la sola reggenza al dott. Ma.Pa., appartenente alla nona qualifica funzionale, dal 22 al 26 ottobre 2012, in quanto avrebbe usufruito di 5 (cinque) giorni di ferie” (pag. 12 del ricorso, ultimi due periodi).

4.11 Egli, tuttavia, non deduce di aver articolato, a seguito della produzione documentale effettuata dalla controparte, un eventuale motivo aggiunto di ricorso volto a contestare la legittimità del conferimento della reggenza dell’ufficio al sunnominato dott. Ma.Pa., o, comunque, l’àmbito dei poteri dallo stesso esercitabili nella veste di reggente, e di averlo poi riproposto in appello.

4.12 A fronte delle evidenziate carenze espositive, la questione prospettata nella presente sede di legittimità dal ricorrente va considerata nuova, e come tale inammissibile (si vedano, sull’argomento, ex multis, Cass. n. 22254/2022, Cass. n. 2254/2022, Cass. n. 509/2018, Cass. n. 10211/2015, Cass. n. 23675/2013, Cass. n. 22909/2005, Cass. n. 14816/2004, Cass. n. 13593/2004).

5. Il secondo motivo è infondato.

5.1 Per consolidato indirizzo di questa Corte regolatrice, in materia di accertamenti relativi a tributi cd. “non armonizzati” (cioè assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale), come l’IRPEF, l’IRAP o l’imposta di registro, non sussiste l’obbligo di instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente in caso di indagini cd. “a tavolino”, per tale intendendosi quelle condotte dall’Amministrazione Finanziaria presso i suoi uffici sulla base delle notizie acquisite da altre Pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente (in conseguenza della compilazione di questi questionari o in sede di colloquio), e non derivanti da una verifica fiscale eseguita con accesso nei locali del soggetto d’imposta (cfr. Cass. n. 17818/2022, Cass. n. 8718/2021, Cass. n. 6383/2021, Cass. n. 24793/2020, Cass. n. 15233/2019, Cass. Sez. Un. n. 24823/2015).

5.2 In una siffatta ipotesi, pertanto, non si pone la questione dell’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 (cfr. Cass. n. 2585/2023, Cass. n. 23729/2022, Cass. n. 10673/2022).

5.3 È stato anche specificato che l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, previsto dall’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973, non costituisce per l’Ufficio un obbligo, bensì una mera facoltà discrezionale, dal cui mancato esercizio non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti (cfr. Cass. n. 34209/2019, Cass. n. 25770/2014, Cass. n. 2450/2007, Cass n. 18421/2005).

5.4 Al surriferito orientamento giurisprudenziale di legittimità si è correttamente uniformata la Commissione d’appello, la quale ha così argomentato la decisione assunta:

(a)”l’art. 12 della L. n. 212/2000 … si riferisce esclusivamente agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, artistiche o professionali””;

(b)”l’accertamento finanziario” di cui si discute “non a(veva) prodotto alcuna verifica o ispezione presso il contribuente, per cui tale normativa non p(oteva) essere presa in considerazione”;

(c)”l’Amministrazione ha titolo di procedere all’accertamento con riferimento ai dati, notizie e documenti acquisiti a seguito dell’esame di conti correnti

(d)”l’attività di rilevazione dei dati bancari ha natura amministrativa e non è retta dal principio del contradditorio preventivo, ma solo dal diritto del contribuente di provare l’esistenza di situazioni che giustifichino le movimentazioni oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria” (pag. 7 della sentenza, periodi quinto-ottavo). Peraltro, è incontroverso che l’accertamento impugnato dal Re.Ve., svoltosi “a tavolino”, concernesse unicamente un tributo non armonizzato (IRPEF).

5.5 Alla luce di quanto fin qui esposto, si appalesano ultronee le considerazioni sviluppate in sentenza al fine di dimostrare che nel caso di specie un contraddittorio preventivo fu di fatto instaurato con il contribuente, trattandosi di adempimento non necessario, la cui inosservanza non avrebbe comunque potuto comportare l’invalidità dell’atto impositivo emesso dall’Ufficio. D.2) Ricorso incidentale.

6. Il ricorso incidentale è fondato.

6.1 Per costante insegnamento di questo Supremo Collegio, l’art. 32, comma 1, nn.2), secondo periodo, e 7), del D.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 51, comma 2, nn.2), secondo periodo, e 7), del D.P.R. n. 633 del 1972 stabiliscono una presunzione legale relativa (“iuris tantum”) di disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze delle indagini bancarie effettuate dall’ufficio finanziario (cfr. Cass. n. 19363/2021).

6.2 Detta presunzione -la quale opera unicamente rispetto alle operazioni di versamento nei confronti della generalità dei contribuenti, mentre vale anche per i prelievi nei riguardi dei soli titolari di reddito d’impresa (cfr., ex ceteris, Cass. n. 9066/2021, Cass. n. 547/2020, Cass. n. 8266/2018, tutte pronunciate all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, che ha dichiarato illegittima l’estensione al reddito di lavoro autonomo della presunzione già stabilita dall’art. 32, comma l, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973 per il reddito d’impresa) – è superabile dalla parte privata attraverso la prova contraria consistente nel dimostrare che le operazioni contestate dall’Ufficio sono già incluse nel reddito imponibile dichiarato o risultano fiscalmente irrilevanti (cfr. Cass. n. 1519/2017).

6.3 In tal caso, il giudice di merito è tenuto a verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ogni singola operazione, dandone compiutamente conto in motivazione (cfr. Cass. n. 22047/2023, Cass. n. 10817/2023, Cass. n. 9574/2023, Cass. n. 13112/2020, Cass. n. 10480/2018).

6.4 Tanto premesso, va osservato che nella fattispecie in esame le surriferite regulae iuris non sono state correttamente applicate dalla CTR, la quale, limitandosi “sic et simpliciter” ad aderire alle risultanze dell’espletata c.t.u., ha rideterminato in 436.630,51 “Euro L'”importo complessivo non documentato” da recuperare a tassazione.

6.5 Invero, nessuna puntuale verifica è stata condotta dal giudice d’appello nei sensi esplicitati, non emergendo dalla motivazione della sentenza:

(1) se il contribuente avesse offerto una giustificazione analitica con riguardo a ciascuna delle movimentazioni ritenute dall’ausiliario “documentate” -ammontanti, nel complesso, a 1.557.480,50 euro (1.994.111 – 436.630,51)-, all’uopo indicando e dimostrando la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei vari rapporti, quanto alle diverse causali degli accrediti (cfr. Cass. n. 28135/2023, Cass. n. 22089/2018, Cass. n. 21800/2017);

(2) nell’ipotesi affermativa, se le singole movimentazioni giustificate risultassero fiscalmente irrilevanti o altrimenti riferibili ad operazioni già evidenziate dal Re.Ve. nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2007.

E) Statuizioni conclusive

7. In definitiva, va respinto il ricorso principale e accolto quello incidentale.

7.1 Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384,comma 2, prima parte, c.p.c., la cassazione parziale dell’impugnata pronuncia, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della questione devoluta, uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi e tenendo conto, altresì, in sede di rideterminazione del maggior reddito imponibile, delle indicazioni contenute nella sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023 in punto di deducibilità dei costi presuntivamente sostenuti dal contribuente per la produzione dei ricavi “occulti” accertati dall’Ufficio in virtù della presunzione legale scaturente, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, da prelevamenti bancari non giustificati.

7.2 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c.

8. Stante l’esito dell’impugnazione principale, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia) nei confronti della parte privata che l’ha proposta.

P.Q.M.

 Rigetta il ricorso principale e accoglie quello incidentale; cassa la sentenza impugnata, nei limiti di cui in motivazione, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.