CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 15613 depositata il 4 giugno 2024

IMU – Avviso di accertamento – Obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio – Efficacia ultrattiva della sentenza – Base imponibile dell’imposta liquidata – Valore venale dell’area fabbricabile – Cd. metodo di trasformazione

Rilevato che

Roma Capitale propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 14484/2018 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma in accoglimento del ricorso proposto da G.O. Srl avverso avviso di accertamento IMU 2013;

la società contribuente resiste con controricorso.

Considerato che

1.1. va preliminarmente respinta l’eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso per intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata, notificata all’ente locale ad indirizzo P.E.C. tratto dal registro IPA in data 14.1.2021;

1.2. questa Corte ha chiarito (cfr. Cass. 14/12/2021, n. 23445, pagg. 5 e seguenti, per una completa ricostruzione della successione normativa nel tempo) che con la modifica normativa apportata all’art. 28, comma 1, lettera c), d.l. n. 76 del 2020, come convertito dalla legge n. 120 del 2020, è stato stabilito quanto segue: “…fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’articolo 16, comma 12 (ReGIndE), la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell’elenco previsto dall’articolo 6 – ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (IPA), e, ove nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, la notificazione è effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata primario RG n 25278 del 2019 indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID, nella sezione ente dell’amministrazione pubblica destinataria. Nel caso in cui sussista l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie presso organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni, la notificazione può essere eseguita all’indirizzo di posta elettronica certificata espressamente indicato nell’elenco di cui all’articolo 6 – ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, per detti organi o articolazioni“;

1.3. tale modificazione è però applicabile alle notificazioni che siano, come nella fattispecie, successive alla sua introduzione;

1.4. con le modifiche apportate dal D.L. 76/2020 è dunque legittimo fare riferimento al registro IPA nel caso in cui la PA interessata non abbia comunicato il proprio indirizzo PEC nell’elenco previsto dall’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012 (registro PP.AA.);

1.5. la controricorrente ha tuttavia del tutto omesso di allegare e provare tale circostanza, in particolare anche attestando di avere corredato la relata di notifica della specifica che l’indirizzo PEC del destinatario era stato estratto dall’indice I.P.A. perché non presente nel Registro PP.AA.;

1.6. trattandosi di notifica nulla, va pertanto escluso il passaggio in giudicato della sentenza impugnata nella presente sede, atteso che in mancanza di regolarità della notificazione della sentenza impugnata il termine breve per impugnare non decorre;

2.1. a seguire va parimenti disattesa l’eccezione pregiudiziale di giudicato esterno correlata alla pronuncia resa dalla Commissione tributaria regionale del Lazio (sentenza n. 5299 del 19 settembre 2017);

2.2. come già affermato da questa Corte con la pronuncia n.19811/2021 tra le stesse parti, con riferimento all’efficacia ultrattiva della sentenza, “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo” e detta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, “non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente” (così Cass. Sez. U. , 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde, ex plurimis, Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass., 1 luglio 2015, n. 13498; Cass. , 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass. , 22 aprile 2009, n. 9512; cfr. altresì, in tema di ICI, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass., 16 settembre 2011, n. 18923; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675);

2.3. nella fattispecie, la pronuncia in questione ha statuito su di un accertamento di valore che ex se è stato ritenuto inidoneo a dar conto della base imponibile dell’imposta liquidata (per il periodo di imposta 2009), e, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, il valore venale in comune commercio delle aree edificabili (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5), quale elemento variabile con riferimento ai diversi periodi di imposta, non può ascriversi “a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente” (cfr. Cass. , 30 dicembre 2019, n. 34594; Cass. , 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass. , 16 settembre 2011, n. 18923; v. , altresì, in motivazione, Cass. Sez. U. , 28 settembre 2006, n. 25506);

3.1. con il primo motivo di ricorso l’ente locale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ. , “nullità della sentenza per omessa motivazione – motivazione apparente e contraddittoria” e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia fondato la decisione su una motivazione apparente non sufficiente a giustificare e motivare la reiezione dell’appello proposto dall’amministrazione comunale avverso la sentenza di primo grado;

3.2. con il secondo motivo l’ente locale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. , “violazione e falsa applicazione dell’articolo 5, comma 5 del D.Lgs. 504/1992” per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto l’inutilizzabilità del cd. “metodo di trasformazione” per la valorizzazione delle aree fabbricabili a fini ICI;

4.1. il primo motivo va disatteso;

4.2. per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. , tra le molte, Cass. 26 giugno 2017, n. 15883; Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. sez. unite 3 novembre 2016, n.22232; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. 27 luglio 2007, n. 16736), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica o giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento;

4.3. nella fattispecie in esame la sentenza impugnata esplicita in maniera sufficiente la ratio decidendi (avendo confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento IMU in quanto basato sul valore venale dell’area fabbricabile calcolata con il cosiddetto metodo di trasformazione), consentendo il controllo del percorso logico – giuridico che ha portato alla decisione, tant’è che, con il restante motivo, il Comune ha potuto censurare compiutamente gli errori di diritto che, secondo l’ente impositore, giustificano comunque la richiesta cassazione dell’impugnata sentenza;

5.1. il secondo motivo va accolto, risultando errata la valutazione della Commissione tributaria regionale nella parte in cui ha reputato il valore di trasformazione (applicato dall’ente locale nell’atto impugnato) in contrasto con il dettato dell’art. 5 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (ndr art. 5 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504);

5.2. il D.Lgs. n. 504, cit., art. 5, comma 5, con riferimento alla determinazione della base imponibile dell’imposta da applicare sulle aree edificabili, dispone che il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1 gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”;

5.3. questa Corte ha, infatti, chiarito che “a detti fini, è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504 del 1992, parametri che, pertanto, devono considerarsi tassativi (cfr. Cass. , ex plurimis, Cass. , 30 maggio 2017, n. 13567; Cass. , 15 giugno 2010, n. 14385)”;

5.4. la Corte ha, altresì, statuito che a detta disposizione, – che rinvia “ad una pluralità di elementi compositi, fondati su dati desumibili da atti amministrativi (ad esempio l’indice di edificabilità e la destinazione d’uso consentita) o da fonti esterne (prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche)” – può senz’altro ricondursi il metodo analitico – ricostruttivo denominato del valore di trasformazione, metodo, questo, incentrato sulla “determinazione del valore dell’area fabbricabile sulla base della differenza tra il ricavato (valore dell’edificato), “come si configurerebbe ad edificazione avvenuta della cubatura realizzabile per l’area presa in considerazione”, ed i costi necessari all’edificazione stessa (costi di trasformazione)” (così Cass. , 20 ottobre 2017, n. 24872; v. altresì, in motivazione, Cass. , 9 marzo 2018, n. 5763; Cass. , 2 marzo 2018, n. 4953)”;

5.5. “la rilevanza, ai fini della determinazione del valore venale in comune commercio delle aree edificabili, dei parametri offerti dagli indici di edificabilità e dalla destinazione d’uso delle aree, dagli oneri di adattamento del terreno e dalla stessa maggiore o minore attualità della potenzialità edificatoria dell’area (Cass. Sez. U. , 28 settembre 2006, n. 25506), dà conto, per vero, del rilievo secondo il quale il criterio analitico – ricostruttivo in questione trova fondamento nello stesso dettato normativo, nel cui contesto la potenzialità edificatoria dell’area viene assunta nella sua concreta, ed obiettiva, dimensione, e non in quella che, in buona sostanza, viene rimessa alle scelte economiche (e di convenienza) del contribuente (secondo una valutazione cui allude la gravata sentenza nel rilevare che “nella realtà del mercato, i prezzi tengono anche conto del fatto che non tutti gli acquirenti sfruttano per intero le potenzialità edificatorie dei beni acquistati”); laddove – come sempre avviene nelle operazioni concettuali legate a complesse metodologie di valutazione – si tratta di verificare la correttezza della concreta applicazione del metodo di stima prescelto, avuto riguardo alla riscontrabilità dei dati fattuali postivi a fondamento ed al rigore del procedimento inferenziale sotteso all’utilizzazione del metodo di stima“;

5.6. “come, poi, la Corte ha ripetutamente rilevato, dalla natura del processo tributario – che non è annoverabile tra quelli di “impugnazione- annullamento”, ma tra i processi di “impugnazione – merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (v. , ex plurimis, Cass. , 30 ottobre 2018, n. 27574; Cass. , 19 novembre 2014, n. 24611; Cass. , 21 novembre 2013, n. 26157; Cass. , 12 luglio 2006, n. 15825; Cass. , 2 dicembre 1993, n. 11958; Cass. , 4 maggio 1990, n. 3718; Cass. , 18 giugno 1987, n. 5352)” (cfr. Cass. 12 luglio 2021, n. 19811);

6. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va dunque accolto quanto al secondo motivo, respinto il primo motivo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, perché applichi i principi di diritto dianzi illustrati.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.