CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 15617 depositata il 4 giugno 2024

Avviso di accertamento – Iva indebitamente detratta – Fatture emesse – Anticipi su preliminare di vendita immobile da destinare ad uso ufficio – Requisito della strumentalità e inerenza 

Rilevato che

1. L’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso affidato a due motivi per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di Al.Du. avverso la sentenza n. 11422/04/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania con la quale era stato accolto il ricorso del suddetto contribuente avverso avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. del 14.12.2012 della G.d.F. di Catania, aveva recuperato a tassazione, per il 2010, l’Iva indebitamente detratta da quest’ultimo in relazione a fatture emesse da I. Srl per anticipi su un preliminare di vendita di un immobile da destinare ad uso ufficio (studio legale) in quanto, ad avviso dell’Amministrazione, sarebbe difettato il requisito della strumentalità e inerenza non essendo, a tale data, l’immobile ancora adibito all’attività professionale e risultando ancora censito in catasto alla categoria signorile (A/1).

3. Resiste, con controricorso, il contribuente spiegando ricorso incidentale condizionato articolato in tre motivi.

Considerato che

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del D.Lgs. n. 546/92 e 132 c.p.c. per essersi la CTR, con una motivazione omessa o apparente – a fronte della contestazione della indetraibilità dell’Iva in relazione all’acquisto di un immobile da parte del contribuente (avvocato) per difetto di inerenza trattandosi di bene classificato catastalmente come abitazione signorile (A/1) – limitata a richiamare il principio di diritto della giurisprudenza di legittimità, che trovava riscontro anche in quella comunitaria, secondo cui ai fini della detrazione Iva rilevava non già l’astratta classificazione catastale dell’immobile acquistato ma la concreta destinazione dello stesso, senza verificare l’effettiva destinazione dell’immobile in questione, la prova della cui strumentalità per l’esercizio della professione era a carico del contribuente tanto più che, ai sensi dell’art. 19bis1, lett. 1) del d.P.R. n. 633/1972, era esclusa, in linea di principio, la detraibilità dell’Iva per l’acquisto di immobili destinati ad uso abitativo.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 19bis del d.P.R. n. 600/73 (rectius: 633/72) e 2697 c.c. per avere la CTR – dopo avere richiamato il principio di diritto secondo cui, ai fini della detraibilità dell’Iva, rilevava non già l’astratta classificazione catastale ma la concreta destinazione dell’immobile acquistato – omesso di applicarlo alla fattispecie concreta verificando quale fosse effettivamente la destinazione dell’immobile in questione della cui prova era onerato il contribuente tanto più che, ai sensi dell’art. 19bis1, lett. 1) del d.P.R. n. 633/1972, era esclusa, in linea di principio, la detraibilità dell’Iva per l’acquisto di immobili destinati ad uso abitativo.

3. Preliminarmente priva di pregio è l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c. , palesandosi quest’ultimo autosufficiente in quanto sviluppa una sintesi chiara dell’intera vicenda processuale e mette in luce le ragioni a sostegno dello stesso.

4. In disparte l’improprio richiamo al n. 3 in luogo del n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. , il primo motivo è infondato.

4.1. Premesso che – come precisato da questa Corte- la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6 – 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; cass. n. 29124/2021), nella sentenza impugnata, la CTR – confermando la sentenza di primo grado – ha affermato che, benché la variazione di categoria catastale da A/1 (abitazione di tipo signorile) ad A/10 (uso ufficio) fosse stata effettuata in data successiva al 2010, nella specie, ai fini della detraibilità dell’Iva, non rilevava la categoria catastale ma l’effettiva destinazione dell’immobile anche in funzione programmatica.

Infatti, premesso che l’art. 19bis1 del d.P.R. n. 633/1972, precludeva la detrazione dell’IVA assolta in relazione all’acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili “a destinazione abitativa” fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma (imprese di costruzione o rivendita di fabbricati) – con riferimento alla “destinazione” non ci si riferiva all’iscrizione catastale ma all’effettivo utilizzo o addirittura alla funzione programmatica di utilizzazione dell’immobile come strumento per l’esercizio dell’attività professionale, dovendo, ai fini della detrazione dell’Iva, la natura strumentale del bene acquistato essere valutata non in astratto, in relazione solo all’oggetto dell’attività d’impresa, ma in concreto accertando se lo stesso costituisse, anche in funzione programmatica, lo strumento per l’esercizio di detta attività.

Anche sul piano della giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, sentenze C-37/95 e C-100/98 e 147/98) la detrazione Iva poteva essere esercitata senza alcuna limitazione a titolo di spese di investimento sostenute in vista delle operazioni che il contribuente intendeva effettuare senza dovere attendere l’effettivo inizio dell’attività. Evidentemente la Commissione Tributaria Regionale ha motivato il rigetto dell’appello dell’Ufficio sul rilievo che, nella fattispecie in esame, fosse stata sostanzialmente provata dal contribuente, a prescindere dalla categoria catastale, l’effettiva destinazione dell’immobile in questione, anche in funzione programmatica, ad uso ufficio (studio legale). Trattasi dunque di un apparato argomentativo ben al di sopra del “minimo costituzionale”.

5. Il secondo mezzo si profila inammissibile.

5.1. Va premesso che, in deroga al generale principio della detraibilità dell’IVA contenuto nell’art. 19, d.P.R. 633/1972 – che consente all’acquirente di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisti effettuati nell’esercizio dell’impresa ed il bene acquistato sia inerente all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività -, in attuazione della relativa previsione normativa unionale, l’art. 19 bis 1, lett. i), stesso decreto prevede che “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni“.

5.2. La suddetta previsione normativa preclude, quindi, la detrazione dell’IVA assolta in relazione all’acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e a prescindere dall’utilizzo effettivo degli stessi, fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma (imprese di costruzione o rivendita di fabbricati).

5.3. Le disposizioni in esame (art. 19 e art. 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972), inerenti alla materia della detrazione dell’Iva e dei limiti della stessa, unitariamente considerate, comportano, quindi, che, ove l’impresa non svolga attività di costruzione (non applicandosi quindi la deroga alla preclusione), la stessa può comunque portare in detrazione l’IVA relativa all’acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa purché provi, sulla scorta di elementi oggettivi, che l’operazione in concreto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro, e tale onere probatorio risulta, peraltro, rafforzato laddove l’operazione, come nel caso di specie, consista nell’acquisto di un bene per il quale vige espressamente il regime dell’esclusione della detrazione in quanto fabbricato ad uso abitativo, perché compiuto da parte di un’impresa che non esercita in via esclusiva o principale l’attività di costruzione di tale tipologia di fabbricati.

Infatti, in tal caso, oltre che porsi un problema di inerenza dell’acquisto per l’attività di impresa, assume rilevanza il profilo della effettiva riconduzione del bene (fabbricato ad uso abitativo) ad una categoria per la quale non vige l’esclusione della detrazione. Va precisato, a tal proposito, che il sistema dell’IVA è volto ad esonerare l’imprenditore dall’IVA dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purché esse siano a loro volta soggette ad IVA (Corte giust. 16 febbraio 2012, C-118/11, E. A.M., punto 43);

in questo contesto, la Corte di giustizia ha particolarmente fatto riferimento alla necessità di verifica dell’intenzione del soggetto passivo di destinare all’attività d’impresa l’immobile acquistato (Corte giust. 19 luglio 2012, causa C – 334/10); sicché, la questione va risolta, ai fini della corretta interpretazione della previsione normativa in esame nell’ambito della disciplina unionale, nella necessaria verifica, in concreto, dell’inerenza del bene immobile acquistato con l’attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica. In tali termini si è espressa questa Corte nell’ordinanza n. 5559 del 2019, così massimata: “In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l’esercizio della suddetta attività“. Principio, questo, fondato su orientamento nomofilattico assolutamente consolidato (cfr. Cass. n. 3396 del 2020, n. 26748 del 2016, Cass. n. 6883 del 2016, Cass. n. 8628 del 2015; da ultimo, Cass. sez.6 – 5, n. 13259 del 2022).

5.4. Nella specie, il motivo di ricorso, pur prospettando una violazione di legge, da un lato non coglie la ratio decidendi e, dall’altro, tende, in realtà, inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità e in ossequio ai principi sopra richiamati, sostanzialmente accertato che l’immobile in questione, a prescindere dalla classificazione catastale attribuitagli (A/1) al momento della conclusione del preliminare di vendita, fosse destinato, anche in funzione programmatica, ad uso ufficio, ritenendo provata, in concreto, la strumentalità dello stesso per l’esercizio dell’attività professionale (“I militari della GdF disconoscevano l’Iva pagata in quanto ritenevano non presente il carattere della strumentalità rispetto all’attività professionale esercitata in quanto l’immobile non era ancora adibito all’attività professionale ed ancora censito in catasto in categoria signorile……Ai fini della detraibilità dell’Iva ..rileva non la categoria catastale bensì l’effettiva destinazione dell’immobile anche in funzione programmatica..”). Tanto più che – come affermato nella sentenza impugnata – in epoca successiva al 2010 vi fu effettivamente la variazione catastale, il che conferma l’asserita “funzione programmatica” della destinazione dell’immobile ad uso ufficio.

6. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. , la violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992 per avere la CTR erroneamente ritenuto l’eccezione di inammissibilità per violazione dell’art. 53 cit. “non meritevole di considerazione” e, comunque, assorbita sebbene il gravame non esprimesse articolate ragioni di doglianza su punti specifici della sentenza di primo grado.

7. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/92 per avere ritenuto, con una motivazione apparente, non “meritevole di considerazione” o comunque assorbita l’eccezione di giudicato interno formulata dal contribuente con riguardo al capo della sentenza di primo grado (circa l’asserita nullità dell’avviso per difetto di motivazione) non aggredito dal gravame dell’Ufficio.

8. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. , 329 e 346 c.p.c. , 56 del D.Lgs. n. 546/92, in combinato con l’art. 100 c.p.c. , per avere la CTR ritenuto erroneamente “non meritevole di considerazione” l’eccezione di giudicato interno della sentenza di primo grado con riguardo al capo – sulla asserita nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di motivazione – non oggetto di specifica censura in sede di gravame.

9. Il rigetto del ricorso principale rende superflua la trattazione dei motivi del ricorso incidentale condizionato con assorbimento degli stessi.

10. In conclusione, va rigettato il ricorso principale, assorbito l’incidentale (condizionato).

11. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

12. Rilevato che, quanto al ricorso principale, risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. , Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; assorbito quello incidentale condizionato; condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento delle spese processuali che liquida in € 5.800,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.