Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 15964 depositata il 7 giugno 2024
atto di compravendita sottoposto a condizione sospensiva – effetto traslativo
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 20, 27, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (da ora anche TUR), 1353, 1360, 1523, 1803, 1804 e 1805 cod. civ., contestando al Giudice regionale di aver offerto in termini di vendita con riserva di proprietà una compravendita sospensivamente condizionata al pagamento del prezzo, laddove nella fattispecie l’operazione negoziale non poteva essere ricondotta ad una vendita con patto di riservato dominio, in quanto il coevo contratto di comodato non aveva immesso parte acquirente nel possesso dei beni, ma solo nella loro detenzione, il che non avrebbe consentito all’acquirente di procedere allo sfruttamento edificatorio del bene, il rischio del perimento della cosa restava regolato dall’art. 1805 e non dall’art. 1523 cod. civ. e parte venditrice, in caso di inadempimento del prezzo dedotto come condizione, non avrebbe mai potuto chiedere né la risoluzione del contratto, né il pagamento del prezzo.
Tutto ciò, per sostenere che la volontà espressa nel contratto era quella di una vendita sottoposta alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo, per cui errata era la riqualificazione operata dall’Ufficio ai sensi dell’art. 20 TUR nei termini di una vendita con riserva di proprietà.
2. Con la seconda censura l’istante ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 proc. civ., osservando che l’atto impositivo non aveva contestato la sussistenza di una condizione meramente potestativa in relazione al pagamento del prezzo, avendo riqualificato il negozio come vendita con riserva di proprietà, per cui il tema decisorio doveva essere circoscritto al riconoscimento della correttezza o meno di tale qualificazione, restando precluso al giudice lo scrutinio della tassabilità dell’atto quale vendita soggetto a condizione meramente potestativa ai sensi dell’art. 27, comma 3, TUR.
3. Con la quarta doglianza il contribuente ha denunciato, sempre con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, num. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non essendovi traccia alcuna della ragione per la quale la Commissione aveva concluso che quella del pagamento del prezzo era una condizione che dipendeva dalla mera volontà dell’acquirente.
4. Con il quarto motivo C.P. ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., ponendo in rilievo che, non essendo stato eseguito il pagamento del prezzo, non era stata trasferita la proprietà dei beni, per cui la tassazione prevista dalla menzionata disposizione si poneva in contrasto con il principio di capacità contributiva, giacchè l’indice di ricchezza sottesa al negozio era meramente potenziale, non concreta e nemmeno coercibile, evidenziando ancora la differenza di trattamento tributario rispetto alla diversa ipotesi della promessa di vendita, neppure soggetta a registrazione.
5. Il ricorso va accolto in relazione al suo primo motivo, che assume valore assorbente rispetto alle altre censure, sia pure per ragioni in parti diverse da quelle dedotte.
Nella delineata prospettiva della corretta interpretazione degli artt. 20, 27, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 1353, cod. civ., infatti, va ricordato che la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte, con il solo limite dell’immutazione dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, sempre che ciò non comporti la modifica della domanda, per come definita nelle fasi di merito, o l’integrazione di un’eccezione in senso stretto (cfr. sul principio, tra le tante, Cass. Sez. VI/III, 5 ottobre 2021, n. 26991, che richiama Cass. 28 luglio 2017, n. 18775; 14 febbraio 2014, n. 3437; 22 marzo 2007, n. 6935 ed anche Cass. Sez. I, 3 dicembre 2020, n. 27704 e nello stesso senso, Cass., Sez. III, 31 maggio 2022, n. 17670; Cass., Sez. II, 1° marzo 2022, n. 6728; Cass., Sez. T, 30 marzo 2021, n. 8717).
6. Va premesso, a fronte delle obiezioni critiche mosse dal ricorrente e dalle osservazioni sviluppate dal Sostituto Procuratore Generale, che né l’avviso impugnato (opportunamente ritrascritto nel ricorso) e nemmeno la sentenza impugnata hanno basato e giustificato la tassazione sulla riconosciuta sussistenza di una condizione che fa dipendere gli effetti dalla mera volontà dell’acquirente.
La sussistenza di una vendita sottoposta a condizione risulta, infatti, espressamente esclusa nell’avviso impugnato, secondo cui la previsione (nel corpo dello stesso atto di vendita) del comodato «[…] porta ad escludere la possibilità di inquadrare il contratto nella vendita sottoposta a condizione» (così nell’avviso di accertamento riportato a pagina n. 12 del ricorso), per poi riqualificare l’atto in questione come vendita con riserva di proprietà in ragione dell’orientamento di questa Corte (Cass. civ. Sez., I, 12 novembre 1998, n. 11433, Cass. Civ. Sez. II, 8 aprile 1999, n. 3415) secondo cui «[…] la compravendita immobiliare sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo si inquadra nella fattispecie dalla compravendita con riserva di proprietà», ritenendo l’Agenzia che la «predetta interpretazione è confermata indirettamente dall’espressa previsione nell’atto della retroattività ex tunc degli effetti dell’avveramento della condizione» (così nell’avviso di accertamento riportato a pagina n. 12 del ricorso).
La stessa sentenza impugnata ha ritenuto che la predetta operazione riceve giustificazione anche sul piano economico «in termini di vendita con riserva di proprietà» e solo quoad effectum equiparata dall’art. 27, comma 3, TUR alla vendita sottoposta a condizione meramente sospensiva (v. pagina 7 della pronuncia in esame).
Risulta, dunque, chiaro che né l’avviso impugnato, né la sentenza impugnata hanno contestato la ricorrenza di una condizione meramente potestativa, avendo la pronuncia in esame comparato le due ipotesi (vendita con riserva di proprietà o sottoposta alla condizione meramente potestativa del pagamento del prezzo) solo sul versante del medesimo trattamento fiscale, pur nella (pacifica) diversità delle due fattispecie.
7. Senonchè, la tesi dell’Ufficio (che risente – come si vedrà – di un’incompiuta lettura delle sentenze di questa Corte citate nell’avviso impugnato; v. Cass., Sez. I, 12 novembre 1998, n. 11433; Cass. Sez. II, 8 aprile 1999, n. 3415), seguita dalla Commissione regionale, non può essere seguita, giacchè la menzionata previsione negoziale di un effetto retroattivo del momento traslativo della proprietà a far data dalla stipula del contratto, risulta consentaneo al meccanismo condizionale, il che esclude, in radice, ogni ipotesi di riconducibilità dell’operazione alla fattispecie della vendita con riserva di proprietà.
Secondo l’art. 1523 cod. civ. «Nella vendita a rate con riserva di proprietà il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata del prezzo ma assume i rischi dal momento della consegna» ed in tal senso il tratto che caratterizza tale fattispecie è il fatto che l’effetto traslativo si realizza ex nunc col pagamento dell’ultima rata.
In tale direzione, la giurisprudenza citata nell’avviso ha chiarito che «[…] la compravendita immobiliare sottoposta alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo […] può inquadrarsi nella fattispecie della vendita con riserva della proprietà, nella quale il trasferimento di tale diritto opera ex nunc col pagamento dell’ultima rata di prezzo, perché la regola generale della retroattività della condizione, sancita dall’art. 1360 c.c., non opera tutte le volte che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere riportati a un momento diverso da quello della conclusione del contratto (Cass. 3 aprile 1980 n. 2167)», con ciò ritenendo legittimo, in relazione alla natura del rapporto ed alla volontà delle parti, che gli effetti del contratto intercorso potessero essere riportati (non al momento della stipula del contratto), ma al momento diverso, espressamente menzionato, del pagamento integrale del prezzo (cfr. Cass. Sez. II, 8 aprile 1999, n. 3415 e, nello stesso senso, Cass., Sez. I, 12 novembre 1998, n. 11433).
Dunque, la riconducibilità dell’operazione alla vendita con riserva di proprietà postula che ne sia preservata la sua connotazione essenziale, ovvero il passaggio differito (al momento del pagamento del prezzo) dell’effetto traslativo, laddove se esso, per volontà negoziale, venga fatto retroagire al momento della stipula del contratto, il meccanismo negoziale partecipa delle caratteristiche proprie della condizione sospensiva, sottoposto, ai sensi dell’art. 27, comma 1, TUR, all’imposta di registro fissa.
8. Nella specie, le parti hanno previsto che l’effetto traslativo, una volta pagato il prezzo, avrebbe avuto efficacia ex tunc, come pure accertato nella sentenza impugnata, per cui va esclusa, sul versante giuridico e per le ragioni innanzi dette, la riconduzione dell’operazione alla fattispecie della vendita con riserva di proprietà, va cioè negata la sussistenza di un diritto reale di aspettativa come precisato da questa Corte in relazione alla previsione di un effetto traslativo ex nunc al momento del pagamento del prezzo (cfr. , Sez. I, 12 novembre 1998, n. 11433), che qui non ricorre, operando, invece, un semplice meccanismo condizionale sospensivo dell’effetto traslativo, disciplinato dall’art. 27, comma 1, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che sottopone l’atto a tassazione in misura fissa, con riscossione della differenza al momento dell’avveramento della condizione o della produzione prima di questa dei suoi effetti alla luce di quanto contemplato dal secondo comma della citata disposizione.
9. Alla stregua delle considerazioni che precedono, che assumono valore assorbente rispetto all’esame degli altri motivi di impugnazione, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari accertamenti in fatto, va decisa, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., accogliendo l’originario ricorso ed annullando l’atto impositivo.
10. Le spese del giudizio di merito vanno compensate, mentre quelle di legittimità si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa merito, accoglie l’originario ricorso ed annulla l’atto impugnato.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida a favore di C.P. nella misura di 6.000,00 € per competenze, oltre a 200,00 € per spese vive, nonché accessori di legge.